Che cosa rischia l'Italia con la guerra in Siria
Il nostro Paese, più di ogni altro alleato, potrebbe conoscere una diminuzione sensibile degli scambi commerciali e un aumento pericoloso di profughi. Lo speciale
Per l’Italia la guerra in Siria, anche senza l’intervento punitivo degli Stati Uniti, è già un disastro. Per due ordini di ragioni: una economica e una sociale, entrambe strettamente connesse al nostro sviluppo e alla nostra sicurezza.
Quella economica attiene all’embargo dell’Unione Europea: dall’inizio della guerra civile, il transito quotidiano dei barili di petrolio siriano si è già dimezzato, mentre le commesse delle società di idrocarburi italiane segnano ribassi tali che per esse si rende necessario ripensare le strategie energetiche nel Mediterraneo e rivedere le commesse su cui puntare per l’estrazione di gas e petrolio e per la gestione delle infrastrutture connesse.
Ciò avviene, per di più, in un contesto pluriennale di sensibile diminuzione degli scambi commerciali generali con l’Africa e il Medio Oriente, dovuta soprattutto all’esplosione della guerra in Libia, alla crisi algerina, a quella egiziana e, appunto, a quella siriana.
A seguito delle sanzioni dell’Unione Europea alla Siria, l'Italia perde un volume di commerci e interscambi commerciale che si aggira intorno ai 2 miliardi di euro, tra import ed export. E, come in Libia, rischia di perdere lo status di partner economico privilegiato. E ciò incide anche sull’interscambio di numerosi altri prodotti, tra cui quelli alimentari e della moda, ovvero il core business del made in Italy.
Gli anglo-francesi e lo scippo delle commesse
Con l’avvicinarsi di un conflitto dagli esiti incerti e imperscrutabili, dunque, le cose peggioreranno a nostro danno: gli scambi con il Libano, ad esempio - di cui noi siamo terzo partner commerciale e che rappresenta un ponte strategico per le nostre opportunità nel Levante - se la guerra dovesse conoscere l’escalation che tutti temono, con ogni probabilità subiranno lo stesso rallentamento che già abbiamo visto in Libia, Egitto e Siria.
Se poi il conflitto dovesse allargarsi, sarebbero a rischio anche le commesse con altri importanti partner quali, ad esempio, Turchia e Israele. Più in generale, però, la perdita di un mercato regionale come il bacino del Mediterraneo - teatro dell’instabilità e della crisi più gravi che si ricordino in tempi recenti - potrebbe essere un colpo ferale per l’Italia: per il nostro Paese infatti è vitale, e non solo in tempi di crisi, mantenere ottimi rapporti politico-commerciali con le nazioni che affacciano sul mare nostrum.
Mentre questa guerra rischia di avvantaggiare soprattutto Francia e Regno Unito (leggi Bp e Total per gli idrocarburi e numerose altre società per gli altri beni di consumo), che potrebbero definitivamente affossare il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. A differenza nostra, infatti, entrambi sembrano avere una strategia precisa e solipsistica che tende a scippare in maniera arbitraria e sistematica quanto di buono e prezioso il nostro Paese ha raggiunto in anni e anni di legami tessuti a livello diplomatico e commerciale, pubblico e privato, con gli altri partner mediterranei.
Il rischio sociale e gli sbarchi
Quanto all’aspetto sociale, si profila il rischio - peraltro già palpabile - che gli sbarchi di siriani nel nostro Paese crescano esponenzialmente nelle prossime settimane. Secondo i dati forniti dal Viminale, i profughi che dalla Siria hanno raggiunto il nostro Paese in questi primi otto mesi del 2013 sono stati 2.872 (ma altre fonti addirittura raddoppiano questo numero).
Se ancora non si può affermare che si tratti di un'emergenza (i profughi siriani nel mondo sono oltre un milione), è però evidente che la piaga dell’immigrazione si fa ogni giorno più incurabile e di difficile gestione. Anche per un aspetto non secondario: sempre più spesso, gli immigrati che approdano sulle nostre coste - sovente senza documenti - affermano di essere “profughi siriani” anche quando non lo sono, per avere la certezza di poter essere accolti e non rispediti all’istante nel loro Paese.
Ora, è vero che l’Italia funge solamente da testa di ponte per il Nord Europa - la meta prediletta dai siriani è la Germania – ma è altrettanto vero che non si ha sufficiente contezza del rischio di infiltrazione del terrorismo.
La fuga degli ufficiali dell’esercito siriano
È stato lo stesso vice ministro degli esteri siriano, Faisal Maqdadad, ad avvertire l’Europa (pur con evidenti finalità propagandistiche) che il rischio di una ritorsione del terrorismo di matrice islamica nell’UE è concreto: “Sono stati i gruppi terroristici a usare le armi chimiche, con l'aiuto degli Usa, della Gran Bretagna e della Francia e queste armi, presto, saranno usate dagli stessi gruppi contro il popolo d'Europa”.
Ciò che voleva significare il regime non è soltanto una minaccia diretta al Vecchio Continente, ma piuttosto un appello (certo, interessato) affinché gli europei prendano coscienza del fatto che scatenare una guerra in Medio Oriente comporterà, tra le altre cose, anche un innalzamento del rischio di attività terroristiche in Europa e la proliferazione di cellule jihadiste che, proprio attraverso gli sbarchi incontrollati, possono attingere a un nutrito materiale umano da reclutare.
Solo il 25 agosto, il governo egiziano ha arrestato 150 persone sospette - egiziani, sudanesi e siriani - mentre tentavano di varcare illegalmente il confine tra Egitto e Libia, per poi partire con ogni probabilità proprio alla volta dell’Italia. Stando agli ultimi rapporti dell’UE sull’immigrazione clandestina, l’Egitto è uno dei principali Paesi di transito al mondo e, dalla metà di agosto, i tentativi di emigrazione illegale qui sono aumentati in modo considerevole.
Inoltre, a emigrare dalla Siria non sono solo famiglie, civili o potenziali terroristi: una fonte dell’aeroporto internazionale Rafiq Hariri di Beirut ha rivelato che gruppi di funzionari e ufficiali siriani sono transitati per l’aeroporto, per poi proseguire verso destinazioni sconosciute. Ovviamente, è improbabile che i maggiorenti del regime siriano in fuga per il probabile raid americano sbarchino sulle nostre coste. Mentre non è da escludere che le abili spie dell’esercito tentino di camuffarsi per poi ricostituire in Europa una qualche forma di organizzazione o compiano attentati da attribuire poi ai ribelli.
In ogni caso, l’Italia dovrà trovare o rimodulare la propria strategia per quanto riguarda il Mediterraneo, se vuole sopravvivere al mutato scenario politico-economico che, in un crescendo di aggressività internazionale, agiterà a lungo le acque del nostro mare.