Il ritorno del rétro: nostalgia analogica
In Tv, Il taccuino del commissario Stucky e il successo della serie sugli 883 ambientata a fine anni Ottanta. E poi il telefono a rotella di Affari tuoi e il boom delle vendite di vinili. Sulla «overdose» digitale, vince la voglia di semplicità. O forse, di autenticità...
Potremmo chiamarlo riflusso analogico. O fuga dal digitale. Sono le due facce della stessa medaglia, non si sa qual è il dritto e quale il rovescio, tanto i due sentimenti si alimentano a vicenda. Viene prima l’allergia montante verso tutto ciò che riguarda la tecnologia sempre più sofisticata e invadente? O, all’opposto, tutto parte dalla voglia di una vita più semplice, rassicurante e meno ansiogena? Come spesso accade, è la televisione a svelare i sintomi della nuova tendenza. Niente di clamoroso, forse è ancora solo una mutazione embrionale. Ma i segnali sono lì da interpretare. La prima spia si è intravista con l’inizio della nuova stagione. Su Rai 1, in prima serata, nell’orario di massimo ascolto, è comparso un millennial con in mano una cornetta telefonica degli anni Sessanta. Roba da boomer. Non più lo smartphone usato da Amadeus, Stefano De Martino comunica con «il Dottore» di Affari tuoi (l’autore del programma è Pasquale Romano) con un telefono fisso a rotella. Un salto dal digitale all’analogico. Un «mix match» tra generazioni. Perché un 35enne al timone di un programma ottimista e che qualche volta fa vincere migliaia di euro, con quella cornetta trasmette un messaggio rilassante e complice anche al pubblico stagionato della tv generalista.
Il secondo sintomo dell’evoluzione è il successo della serie sugli 883, il duo pop formato da Max Pezzali e Mauro Repetto che si affermò quando De Martino andava all’asilo. Oltre al pregio di essere un racconto privo di infarinature ideologiche e ambientato in una città come Pavia poco frequentata dai media, Hanno ucciso l’Uomo Ragno (diretta da Sydney Sibilia, prodotta da Groenlandia per Sky Atlantic) ha fatto riassaporare il gusto della vita senza cellulari - ne spunta uno alla fine, ma Pezzali se lo dimentica - senza internet, senza password, senza social, senza app, senza algoritmi, senza intelligenza artificiale. In una parola, senza ansie digitali. Che pacchia, la vita senza internet!, ha annotato qualche osservatore, lasciandosi prendere dalla nostalgia di una quotidianità più easy. All’epoca, se vogliamo mantenere il telefono come paradigma, c’erano le cabine telefoniche a gettoni. Eravamo all’inizio degli anni Novanta, ultimo decennio ancora prevalentemente analogico, quando la rivoluzione dei byte stava gattonando nelle start up della Silicon Valley.
Il terzo indizio che ci avvicina al concetto della prova, ma ci fa fare un altro balzo all’indietro nella nostra macchina del tempo, è l’accoglienza trovata dall’ispettore di polizia cui dà corpo Giuseppe Battiston nella serie di Rai 2 Stucky, tratta dai racconti di Fulvio Ervas e ambientata a Treviso, altra cittadina a misura d’uomo. Muovendosi a piedi tra portici, canali e osterie dove si sorseggia del buon prosecco, Stucky non utilizza smartphone e conduce indagini molto vintage, annotando i suoi appunti su un taccuino e disponendoli poi sul tavolo del locale dell’amico invece di creare file da archiviare nel Cloud. Se una collaboratrice gli illustra l’esito di una ricerca su Google con l’algoritmo la invita ad andare al sodo. La parola chiave di questa rivincita del boomer è tradizione. Tradizionale è il cibo, tradizionale il metodo di archiviazione delle prove, tradizionale il ricorso alla psicologia per orientare le indagini.Se i tre indizi hanno sfumature diverse, di comune tra loro c’è la ricerca di una vita più dolce e confortevole. Rispetto alla tecnologia digitale sempre più sofisticata, ma anche più fredda ed estranea, si cercano strumenti caldi ed empatici. A volte, anche accettando una resa inferiore o più esposta all’usura. I segnali sono diversi. Il ritorno del vinile, per esempio. Nel 2023, per il secondo anno consecutivo, negli Stati Uniti i 33 giri hanno superato i compact disc: 43 milioni contro 37 (certificati dalla Recording industry association of America, l’equivalente della nostra Federazione industria musicale italiana) e questo nonostante gli Lp costino mediamente di più dei Cd, al punto che gli incassi sono quasi il triplo (1,4 miliardi di dollari contro 537 milioni). Fatte le debite proporzioni, la situazione è la medesima anche in Italia. E la tendenza si sta espandendo. Chi predilige una fruizione agile della musica sceglie supporti digitali o attinge direttamente alle piattaforme streaming. Chi la vive come un momento di conforto personale tende a preferire il formato analogico, magari più ingombrante, ma più affettivo. Non si tratta tanto di vagheggiare un nostalgico ritorno al passato. Il riflusso analogico è propiziato anche dagli effetti collaterali della digitalizzazione. Troppo invadente, ansiogena. È sempre così: l’avvento di una rivoluzione tecnologica all’inizio evidenzia i lati positivi. E noi ci entusiasmiamo per i vantaggi che il nuovo Eldorado ci regala.
E che, per carità, nessuno vuole ridimensionare. Anzi. Tuttavia, un po’ alla volta, stanno emergendo anche le conseguenze della rivoluzione. Ai tre indizi che alimentano la nostalgia analogica fanno da contraltare altrettante controprove. Per esempio: il ripetersi di violazioni di banche dati e dossieraggi da parte di soggetti e lobby opache, ha messo in crisi il mito della sicurezza del web. Esistono spie, esistono hacker, esistono truffe online, esistono start up che agiscono nelle zone grigie di un mondo ancora poco regolamentato dalle leggi. Sono situazioni nelle quali è difficile orientarsi e difendersi. Così cresce la diffidenza perché anche l’Eldorado ha i suoi difetti e i suoi costi. Bisognerebbe cambiare spesso le password per evitare gli hackeraggi e le violazioni dei virus. Bisognerebbe fare gli aggiornamenti delle app. Bisognerebbe consultare spesso la Posta elettronica certificata. O, almeno, allertare le notifiche in tempo reale perché ormai il postino non suona più neanche una volta. E gli enti pubblici, sia locali che centrali, hanno preso l’abitudine di comunicare sanzioni e provvedimenti via Pec.Se ai nativi digitali la giungla tecnologica non fa paura, a patirne gli effetti sono gli ultra-50enni e 60enni. Con l’espansione dell’intelligenza artificiale, la foresta digitale promette di diventare ancora più intricata. Quando si chiama il centralino di un’azienda privata con ambizioni d’inclusione e sostenibilità accade spesso che, dopo averti messo in attesa perché «tutti gli operatori sono momentaneamente occupati», risponda un’assistente virtuale dalla seducente voce femminile che ti interroga sul motivo della chiamata, per poi rinviarti alla telefonata «di un nostro operatore sul numero da cui ci sta chiamando». Praticamente, un giro dell’isolato per tornare al punto di partenza. La circolazione stradale è un’altra prateria dell’innovazione a colpi di byte. L’amministrazione comunale di Verona ha fatto un nuovo scatto nel futuro installando in alcuni punti della città sensori dotati di intelligenza artificiale che, con la buona intenzione di migliorare lo scorrimento del traffico, potranno raccogliere dati per vedere se le auto sono in regola, se hanno commesso infrazioni e, intanto, magari elevare un po’ di multe. Perché no?
Il sistema di vita cinese è sempre più vicino. Sorvegliati, monitorati, scannerizzati. Tutto passa dallo smartphone. Ma se gran parte degli adulti, tecnicamente naïf ma dotati di spirito critico, riescono a tenere la giusta distanza da certe seducenti «diavolerie», totalmente indifesi sono i bambini e gli adolescenti. Nell’ultimo anno, in alcuni Paesi del Nord Europa, a partire dalla Svezia, ci si è accorti che l’adozione dei tablet nella scuola materna ed elementare stava riducendo in modo allarmante la capacità di lettura degli alunni. Così, si è deciso di tornare a libri, quaderni e penne per proteggere i loro processi cognitivi e di apprendimento. Meno sicuro è il tentativo di recupero della generazione Z, quella successiva ai millennial, che in un saggio già divenuto un testo sacro di psicologia sociale, Jonathan Haidt ha definito La generazione ansiosa (Rizzoli). L’avvento dell’ansia porta la data di nascita dell’iPhone, anno 2007, e dell’esplosione «dell’iperviralità dei social media» (2009). Un anno dopo, gli smartphone si dotano di fotocamere frontali e, nel 2012, Facebook acquisisce Instagram, completando l’escalation. «La generazione Z», prosegue Haidt, «è la prima della storia ad attraversare la pubertà con in tasca un portale che la distoglieva dalle persone vicine e la attirava verso un universo alternativo, esaltante, instabile, che creava dipendenza». Questa attività, aggravata dai successivi lockdown pandemici, ha cancellato il gioco all’aria aperta, il contatto fisico, il rapporto diretto con amici e famigliari, producendo quella che lo psicologo americano chiama la «grande riconfigurazione dell’infanzia». Forse è il caso di mettere in pausa la rivoluzione…