Il ritorno dell’HIV: l’allarme cresce in Italia, ma l’attenzione cala
Il 1° dicembre, Giornata Mondiale contro l’AIDS, arriva in un momento in cui i casi di HIV sono in aumento in Italia, ma la percezione del rischio è in calo
Nel 2023, le nuove diagnosi di HIV in Italia hanno mostrato un preoccupante aumento, con 2.349 nuovi casi registrati, segnando una tendenza in crescita rispetto agli anni precedenti. Infatti sebbene l’HIV oggi possa essere gestito efficacemente grazie alle terapie antiretrovirali, questi numeri mettono in luce un problema che non può essere ignorato: il ritardo nelle diagnosi.
Purtroppo, il 60% dei casi di HIV viene diagnosticato quando il sistema immunitario è già gravemente compromesso. Questo dato allarmante evidenzia come molte persone convivano inconsapevolmente con il virus, esponendosi a rischi maggiori di complicazioni e contribuendo, senza saperlo, alla trasmissione del contagio.
Infatti grazie all’efficacia dei trattamenti e ai significativi progressi scientifici nella lotta contro l’HIV, l’attenzione pubblica è calata mentre negli anni ’80 e ’90, l’AIDS era considerato un’emergenza che mobilitava l’opinione pubblica. Oggi invece il virus non è più percepito come una minaccia, nonostante i dati dimostrino il contrario.
I numeri
Nel 2023 in Italia sono state registrate 2.349 nuove diagnosi di HIV, con un’incidenza di 4,0 casi ogni 100.000 residenti, concentrata soprattutto tra uomini (76%) e nelle fasce d’età 30-39 e 25-29 anni. L’86,3% delle infezioni deriva da rapporti sessuali, con una prevalenza tra uomini che fanno sesso con uomini (38,6%). Un dato preoccupante è il ritardo nella diagnosi, che riguarda il 60% dei casi, spesso già in fase avanzata. Gli stranieri rappresentano il 36,9% delle nuove diagnosi, con una maggiore incidenza tra le donne. Nel 2023 sono stati notificati 532 nuovi casi di AIDS, in aumento del 20% rispetto al 2022. Le regioni con le incidenze più alte sono Lazio, Emilia-Romagna e Umbria, mentre in Sicilia l’incidenza ha superato quella della Lombardia.
Ne abbiamo parlato con Roberto Cauda, professore di Malattie infettive presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore Campus Biomedico Roma.
Cosa può dirci dell’aumento dei casi di HIV?
«L’aumento delle diagnosi di infezione da HIV, pur essendo relativamente contenuto in termini numerici non deve essere sottovalutato. Negli ultimi anni, nonostante la disponibilità di terapie altamente efficaci, persistono ritardi significativi nella diagnosi, un problema che continua a preoccupare».
Quali sono le cause?
«Vi sono diverse ragioni che spiegano questo trend di aumento ma credo che la causa principale sia una minore attenzione rispetto al passato. Siamo ormai prossimi all’AIDS World Day, che si celebra il primo dicembre, e sebbene molti stiano cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica, è evidente che l’attenzione sul tema è diminuita. Questo calo di attenzione può essere attribuito a vari fattori, tra cui gli strascichi della pandemia, che ha avuto impatti devastanti su molte aree della salute pubblica, incluso l’HIV. La pandemia ha, infatti, distolto l’attenzione dalle malattie non COVID-19, facendo dimenticare a molti la rilevanza di malattie come l’HIV. Un altro elemento è che la percezione dell’HIV è cambiata. Oggi è vista come una malattia meno grave, grazie ai trattamenti antiretrovirali che permettono a chi è infetto di condurre una vita di fatto normale. Tuttavia, questa percezione ha potuto contribuire al relativo abbassamento della guardia, soprattutto tra i giovani e anche tra le persone più anziane, che per diverse ragioni non si sentono più minacciate dalla malattia».
Ci può spiegare la differenza tra infezione da HIV e AIDS?
«In realtà, è importante distinguere tra infezione da HIV e malattia da AIDS. L’infezione da HIV è il contagio del virus, che entra nel corpo e inizia a danneggiare il sistema immunitario, ma che può essere controllata rimanendo asintomatica grazie ai trattamenti. La malattia da AIDS si sviluppa quando l’infezione da HIV non viene trattata adeguatamente e il sistema immunitario è così compromesso da non riuscire più a difendersi da altre infezioni e tumori Oggi, grazie alla terapia antiretrovirale, una persona infetta da HIV può evitare che l’infezione evolva in AIDS, mantenendo una buona qualità. Ma, senza trattamento, l’infezione progredisce e può portare alla malattia conclamata».
Che si intende per “late presenters”?
«Il fenomeno dei cosiddetti “late presenters”, cioè persone che non presentano apparenti fattori di rischio ma che sviluppano comunque l’infezione, è un’altra causa di diagnosi tardive. Alcuni di questi soggetti potrebbero essere più vulnerabili di quanto immaginano, ma il rischio non è sempre precocemente riconosciuto».
Cosa si può fare?
«In questo contesto, è fondamentale riprendere e intensificare l’informazione e l’educazione sulla prevenzione. Non è sufficiente limitarsi a sensibilizzare solo in occasioni particolari come il 1° dicembre, ma sarebbe necessario un intervento educativo continuo, che affronti temi come la sessualità sicura e l’uso di droghe. Questi sono gli ambiti principali di trasmissione dell’HIV e su cui si deve intervenire con campagne mirate e aggiornate. L’informazione non deve più essere relegata a vecchi modelli, come gli spot degli anni ‘80 e ‘90, ma deve essere integrata in un’educazione continua che raggiunga tutte le fasce della popolazione italiana e straniste, anche attraverso nuovi canali e linguaggi più adatti ai tempi come potrebbero essere i social. In sintesi, la sfida più grande oggi non è solo quella di garantire trattamenti efficaci, ma anche di riaccendere l’attenzione collettiva sull’HIV, favorendo una cultura della prevenzione che coinvolga attivamente tutte le istituzioni preposte e le persone, indipendentemente dall’età, o dalla nazionalità».