La storia del debito di Roma
Dagli anni '60 ad oggi ecco come siamo arrivati a un buco da 13,6 miliardi di euro
Ad oggi, anno domini 2016, il debito di Roma Capitale ammonta alla stratosferica cifra di 13,6 miliardi di euro. Il 4 aprile scorso Silvia Scozzese, ex assessore con la giunta Marino poi nominato commissario straordinario dal Governo Renzi per la gestione del piano di rientro del debito pregresso, nel corso dell’audizione davanti alla Commissione Bilancio della Camera, dichiara: “Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune non è stato individuato direttamente il soggetto creditore”. In parole povere, non si conosce nemmeno a chi bisogna restituire i soldi per quasi metà del debito.
1960: il buco nell'anno delle Olimpiadi
Ma come hanno potuto gli eredi della Lupa e dei suoi gemelli battere ogni record di inefficienza nella gestione del proprio patrimonio? Sarà un caso ma le prime notizie riguardanti il debito Capitale risalgono, guarda caso, al 1960, anno in cui la città ospitò le Olimpiadi. Le casse del Comune erano vuote e per realizzare alcuni impianti dovette intervenire lo Stato. Il simbolo dell’inizio della fine venne identificato nella via Olimpica e, per la precisione, la parte di strada che doveva collegare la zona dell’Eur al Foro Italico, totale 8 Km. Durante i Giochi, l’arteria stradale assolse degnamente al suo ruolo. Dopo appena cinque mesi dalla fine della manifestazione, l’Automobile Club Italia denunciò lo scandalo della via Olimpica, una strada in totale abbandono, piena di buche (ora sappiamo anche quando sono nate le buche di Roma). Il costo per la realizzazione ammontava a quattro miliardi 156 milioni di lire, 520 milioni a chilometro, intanto le casse comunali in quel periodo piangevano 300 mld di lire.
1964: il debito tocca i 400 miliardi di lire
Nel 1964, il sindaco Glauco Della Porta dichiarava che per far fronte a questo problema “occorrono la comprensione dello Stato e mezzi di finanza straordinaria”. Intanto il debito era arrivato a 400 miliardi di lire a cui si dovevano sommare più di 180 miliardi di opere pubbliche che si sarebbero dovute realizzare negli anni precedenti ed erano state accantonate.
Sul finire degli anni Sessanta, l’amministrazione capitolina vive uno dei suoi numerosi momenti di scandalo con una media di un sindaco ogni due anni. All’inizio del 1968 il sindaco Amerigo Petrucci viene arrestato per presunti reati commessi come commissario dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia. A lui succede Rinaldo Santini che regge soltanto un anno e mezzo e termina il mandato per l’ennesima crisi comunale legata alla questione finanziaria.
Dal 1970 al 1985: il passivo va 13,6 miliardi di euro
Nel 1970, arriva il quarantenne rampante Clelio Darida. Il democristiano detiene un doppio primato, il primo è quello di sfondare il muro dei mille miliardi. Per la precisione 1200 miliardi di lire dopo appena due anni. Il secondo record è quello di aver lasciato la poltrona superando l’ostacolo dei 2000 miliardi e puntando decisamente verso i 3000. Siamo a 2600 miliardi con una dichiarazione che sa più di sentenza “la nostra situazione non è grave, è disperata”.
Per un decennio, tra il 1976 e il 1985, Roma passa in mano al Partito Comunista, anche perché la Democrazia Cristiana non era stata per nulla oculata. Ma il debito non ha colore politico e, così, tra il disinteresse generale e la giusta comunicazione le casse del Campidoglio continuano a divorare soldi su soldi superando in maniera plastica la soglia dei 5000 miliardi di lire.
Fino al 2001: record di dissesto a 6,95 miliardi di euro
Nel 1993, per la prima volta, il sindaco viene eletto direttamente dal popolo e il privilegiato è Francesco Rutelli che avrà la fortuna di gestire il Giubileo del 2000. Il debito ereditato si aggira intorno ai 9000 miliardi di lire. Secondo una ricostruzione fatta dal giornalista Gianni Dragoni su Il Sole 24 Ore nell’ottobre del 2015 e che ha analizzato la situazione di Rutelli, Veltroni e Alemanno, a fine 2000 grazie anche al passaggio dalla lira all’euro la cifra raggiunta è di 5,93 miliardi di euro. Secondo un calcolo approssimativo dall’inizio alla fine del mandato l’incremento è stato di 2,31 miliardi. Un vero e proprio record del dissesto.
Nel 2001 è il turno di Walter Veltroni, come il predecessore eletto per due mandati in Campidoglio. Con lui il debito vola serenamente e pacatamente tra Festa del Cinema e altri giochi di prestigio verso i 6,95 mld di euro, un miliardo e 21 milioni in più rispetto a Rutelli.
dal 2010 a oggi: la voragine
Nel 2010 con Gianni Alemanno, ex MSI, si perdono addirittura le tracce del debito. Il sindaco nel 2008 stralcia dalla contabilità ordinaria la gestione economica creando una bad company e si auto-nomina commissario del debito pregresso. Per tre anni non si ha notizia di alcun documento ufficiale. Voci di corridoio sostengono che si sia arrivati a una decina di miliardi di euro. Di certo si sa che gli unici che dovranno ripianare il buco saranno i cittadini della Lupa con un prelievo fiscale che arriva fino al 2048.
Nel 2013, finalmente, ricompaiono le carte quando il nuovo commissario al debito Verrazzani comunica in Parlamento i dati ufficiali del debito al 26 luglio 2010 al netto dei crediti da riscuotere e che ammonta a 10 miliardi e 65 miliardi. Per una volta le voci di corridoio erano vere. Ora sotto a chi tocca.