Lo shale gas Usa che salverà l'Europa è un bluff
Nonostante le promesse di Obama arriverà da noi solo tra due anni e nel frattempo quello russo continuerà a essere fondamentale. Ma non è vero che a Putin perdere il mercato Ue non farebbe male
di Evgeny Utkin*
Poco tempo fa il presidente Barack Obama ha promesso di portare il gas americano in Europa, per convince Bruxelles a unirsi agli Usa sulla strada delle sanzioni contro la Russia. Sull'altro fronte, però, circolano voci che se l'Europa dovesse vedersi chiudere i rubinetti del gas da Mosca, la Cina si accaparrerebbe immediatamente tutto il gas libero sul mercato, guadagnando due volte: sia sulle difficoltà russe che su quelle europee.
Detta cosi, senza calcolare il fattore tempo, queste parole sono scatole prive di contenuto. Anzi, di più, sono affermazioni false, se parliamo di domani, tra qualche giorno o qualche mese. Probabilmente, le parole di Obama cominceranno ad avere un po' più di peso solo fra un paio di anni, quando potranno diventare concrete e passare dalla propaganda ai fatti.
Grazie alla "shale gas revolution", gli USA sono diventati i primi produttori di gas al mondo scavalcando la Russia, e da netti importatori dell'oro blu sono diventati quasi autosufficienti, con la prospettiva di diventare persino esportatori. Beati loro, che grazie al gas a buon prezzo sono diventati di nuovo competitivi in diversi campi e hanno aumentato la propria forza lavoro di centinaia di migliaia di persone.
Grazie a questi numeri, tutto il gas che arrivava negli USA si liberava sul mercato e (parzialmente) arrivava in Europa, anche se la maggior parte ha preso la rotta dei mercati asiatici in grande espansione o colpiti da incidenti imprevedibili (come Fukushima).
Attualmente nel mondo ci sono tre mercati di gas: gli USA, con prezzi locali bassi, l'Europa con prezzi triplicati, e l'Asia, dove i prezzi raddoppiano rispetto al Vecchio continente. La svolta dello shale gas americano ha fatto scendere i prezzi del gas europeo, ma molto poco. Il fattore maggiore di questo fenomeno è stata la crisi economica, la diminuzione dei consumi e anche l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili.
Vediamo i numeri. Gli USA adesso producono circa 650 miliardi di metri cubi di gas all'anno (666 miliardi nel 2012, dati World Oil & Gas Review 2013), ma ne usano 700 (710 nel 2012). Secondo le previsioni ne useranno di più, ma il potenziale di crescita di produzione almeno nel medio termine è basso. Questo significa che, se non iniziano a seguire un bel programma di efficienza energetica all'europea, utilizzeranno tutto il gas che producono, di tanto in tanto vendendolo a prezzi molto alti (quindi all'Asia o nel periodo molto freddo in Europa, quando - guarda caso - anche negli USA fa freddo e i prezzi sugli hub energetici sono più alti dei prezzi dei contratti a lungo termine).
Ma tutto questo accadrà non prima che vengano ultimate le strutture: terminali di liquefazione, navi per il trasporto del gas, rigassificatori. Al momento esistono diversi progetti sia sulla creazione di nuovi terminali di liquefazione che sulla conversione di rigassificatori esistenti in terminali di liquefazione, ma, come sostiene il presidente dell'Eni Giuseppe Recchi nel suo libro "Nuove energie. Le sfide per lo sviluppo dell’Occidente ", il primo gas americano sul mercato europeo potrà arrivare solo nel 2016.
Ovviamente, il tutto avverrà in pompa magna, con la bandiera americana che sventola sulla tolda della nave, ma con poco gas al suo interno e - soprattutto - a un prezzo molto simile a quello già fissato sul mercato europeo. E, ancora, è bene ricordare che quel gas serve alla stessa America, quindi più che di mossa commerciale sarebbe meglio parlare di una precisa azione politica.
E la Russia? Anche la Federazione produce quasi 650 miliardi di mc gas all'anno (643 nel 2012), ma ne usa per il mercato domestico solo 460. Di conseguenza, nel piatto restano quasi 200 miliardi di mc che sono pronti per essere venduti all'estero, preferibilmente all'Europa. Al momento è impensabile sostituire questo gas, anche se in futuro, con lo sviluppo delle fonti rinnovabili e l'aumento di altre importazioni (anche dall'Azerbaijan), si potrà pensare di diminuire il suo peso nel paniere europeo, ma non di escluderlo del tutto.
Ergo, più che la scelta politica, in questo caso prevale l'economia. La Russia ha bisogno dell’Europa (per vendere il suo gas) almeno quanto l’Europa ha bisogno della Russia (per comprare quel gas che non le arriva da altri fonti).
Se al momento prendiamo per buono lo scenario di un blocco totale delle forniture russe in Europa a causa delle sanzioni, o per sviluppi negativi della crisi in Ucraina, la Russia potrebbe decidere di vendere il gas direttamente alla Cina. Ma, si sa che il presidente Vladimir Putin preferisce l'Europa, anche perché fino ad adesso Bruxelles è stata più affidabile e più generosa nei pagamenti di quanto potrebbe esserlo Pechino, anche se bisogna considerare che se l'Europa non volesse più acquistarlo, allora la strada cinese non sarebbe affatto chiusa.
Anzi, da tempo è aperta: sono già state definite tutte le strade del gas con le rispettive autorizzazioni. Sul tavolo Mosca-Pechino ci sono contratti decennali già pronti, manca solo il prezzo. In caso di sanzioni dure, i russi dovranno cedere alla necessità di fare grossi sconti alla Cina, e dopo la costruzione del mega gasdotto è solo questione di pochi mesi.
Ma è pur vero che al momento è difficile immaginare lo scenario di un blocco totale delle forniture russe, uno scenario masochista per l'Europa, almeno per i prossimi 5-10 anni. Ovviamente, si può pensare di sviluppare lo shale gas in Europa. Una strada fortemente sostenuta da Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni, che qualche mese fa parlando di politiche energetiche europee sulle pagine del Financial Times ha detto: "O siamo disposti come gli americani ad abbracciare lo shale gas o saremo costretti ad abbracciare Putin".
Era poco tempo fa, ma adesso il panorama si è modificato. Scaroni, in un'intervista al Corriere della Sera , ammette possibili difficoltà per la costruzione del gasdotto South Stream: "dal un punto di vista commerciale, dovremmo essere favorevoli a South Stream, che permette di evitare il rischio di transito in Ucraina e che poi verrà costruito dalla Saipem, di cui siamo azionisti. Ma la chiave di lettura della politica dell’occidente potrebbe essere diversa, perché la costruzione di South Stream sancirebbe i legami tra la Russia e l'Europa in materia di energia. Il tema è complicato dal fatto che l’intera crisi viene gestita da una commissione europea che sta per scadere e con la prospettiva di elezioni a maggio".
Come a dire che nelle questioni economiche la politica ci mette sempre lo zampino. La carota dello shale gas americano potrebbe essere un argomento a favore delle compagnie europee per cercare di abbassare i prezzi del gas russo. Ma sia Putin che Alexey Miller, amministratore delegato di Gazprom, sanno quanto c’e di vero in questa storia. Anche la Russia ha lo shale gas, ma finché continuerà ad avere quello tradizionale da vendere a volontà di certo non lo sfrutterà. E all'interno della Federazione russa il gas costa ancora meno che negli Stati Uniti.
Guardando solo ai rischi che corre l'Italia, anche in un scenario catastrofico di chiusura dei rubinetti russi è certo che Roma non patirà emergenza di gas. Grazie alla diversificazione delle fonti (in Italia il gas russo conta solo per il 28%) e grazie alla primavera e alla naturale diminuzione dei consumi per il riscaldamento non ci saranno problemi fino all'autunno, ma poi sarà necessario fare delle scelte. Solo che, nel caso, eventuali conseguenze di scelte sbagliate non le pagheranno né Obama né Putin, bensì i consumatori, che si vedranno recapitare bollette esorbitanti.
* economista e direttore di Partner N1