Russiagate: ecco il dossier che "scagiona" James Comey
In un report, il dipartimento di Stato spiega come, nell'emailgate, l'ex capo dell'Fbi licenziato da Trump, non fu "di parte" nei confronti della Clinton
Dopo 18 mesi di lavoro, il dipartimento di Giustizia Usa ha rilasciato e presto diffonderà pubblicamente il rapporto sul filone del Russiagate conosciuto come "emailgate", l'indagine che ha riguardato l'utilizzo da parte dell'allora segretario di Stato candidato alla Presidenza Hillary Clinton di un account e di un sever privato per la sua corrispondenza elettronica.
Secondo le indiscrezioni pubblicate dell'Associated Press, il documento ripercorre i passaggi-chiave dell'inchiesta e della querelle tra Donald Trump, l'allora ex capo dell'Fbi James Comey e diverse altre figure del Bureau, accusato di comportamenti approssimativi, se non addirittura scorretti e dannosi nei suoi confronti.
Sbagliato ma giusto
Tutto ebbe inizio quando Comey, nel luglio del 2016, annunciò pubblicamente e senza ottenere la preventiva autorizzazione del dipartimento di Giustizia che il comportamento della Clinton fu sì negligente, ma non al punto da emettere accuse nei suoi confronti.
Secondo il report, il comportamento "non ortodosso" dell'ex numero uno dell'Fbi violò il protocollo ma non furono motivate da un un interesse politico. "Non fu di parte", stabilisce, per l'esattezza, contrariamente a quanto Trump aveva sempre affermato arrivando a deciderne l'estromissione dall'agenzia.
Un nuovo elemento che fa "tremare" l'Fbi
Altro elemento degno di nota emerso dal dossier è un sms scambiato fra due agenti dell'Fbi, anche loro poi allontanati dal Bureau investigativo.
"Impediremo a Trump di diventare presidente" recita l'sms "incriminato" inviato nell'agosto da Peter Strzok - uno degli investigatori principali sia per l'"emailgate" che per il Russiagate - e un'avvocato dell'Fbi, Lisa Page, sottolineando che, stando ad alcune fonti, potrebbe essere questo l'elemento più dannoso per l'Fbi che emerge dal documento.
"(Trump) non diventerà mai presidente, vero?", replicò Page a Strzok. "No. No non lo diventerà. Lo fermeremo".
Tra i due, noti come gli "agenti-amanti", erano già emersi, nei mesi scorsi, altri scambi di messaggi, passati in rassegna anche al Congresso.