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Russiagate: chi è l'uomo che ha incastrato Salvini

Ecco chi è Gianluca Meranda, l'avvocato al centro dell'inchiesta sui presunti fondi alla Lega

Ci sono altre sliding doors nella vita dell’avvocato-massone Gianluca Meranda, indagato per corruzione internazionale a Milano per il Russiagate leghista. E non sono le porte scorrevoli dell’hotel Metropol, ma quelle di un albergo molto meno famoso. È un tre stelle di Roma e si chiama Piccadilly. Lo snodo, finora segreto, di una vita altrettanto misteriosa che nessuno davvero conosce. Forse neppure la moglie.

Ma partiamo dalla sala centrale del Metropol di Mosca, quasi una tappa obbligata per chi vuole respirare l’aria della storia. Oggi i turisti in quelle stanze possono sorseggiare il borsch, ma un tempo qui uomini senza pietà combattevano la Guerra fredda offrendo agli sfortunati ospiti ben altri menù. Da quelle sale sono passati personaggi come Tolstoj, Lenin, Kennedy e Gorbaciov. La mattina del 18 ottobre del 2018 nel salone centrale, quello delle colazioni, c’erano un gruppo di russi e uno di italiani che parlavano fitto. Tra questi l’ex portavoce di Matteo Salvini, Gianluca Savoini. Ma come spesso succede al Metropol non erano soli. Il vicepresidente di Confindustria Russia, Fabrizio Candoni, è molto chiaro al riguardo: «Al Metropol non si porta nemmeno l’amante, a meno che non ci si voglia fare una recita. Là sei sempre in mondovisione». Le microspie sono numerose almeno quanto i croissant. Ma un uomo adatto a quella recita forse c’era.

Gianluca Meranda è un Maestro venerabile della massoneria. E grazie al grembiulino è entrato in contatto con il mondo slavo nelle sue declinazioni più inquietanti. La sua storia apre piste libiche, ma anche balcaniche. Collega islamismo e religione ortodossa, massoneria e ateismo. Ma soprattutto è un rabdomante del petrolio. Dove c’è l’oro nero, spunta lui. In Libia, Algeria, Russia.

Classe 1970, cosentino, è un tipo che colpisce anche per il look non banale. Un gran frequentatore di cene romane, di circoli sul Tevere, di personaggi di tutto il mondo che blandisce con i suoi modi eleganti e le sue chiacchiere fluenti. Anche perché Meranda è poliglotta, inglese, francese, russo, persino un po’ di svedese. Un avvocato «internazionalista» con studio al fianco del palazzo della Marina militare, la costola italiana del noto Sq law di Bruxelles. Per tutti i suoi clienti erano certificati, ambasciate, grandi compagnie aeree. Insomma una carriera brillante con i figli che studiavano in un elegante collegio del quartiere Flaminio. Una storia di successo. Che procedeva parallela e forse si sovrapponeva a quella di Maestro venerabile della massoneria. Anche se, come vedremo, di quale massoneria non è chiaro.

Ma quando i finanzieri sono andati a bussare alla sua porta, nell’appartamento non certo lussuoso di via Acherusio, hanno trovato l’altro Meranda, quello che l’1 giugno è stato sfrattato dallo studio e che, per problemi economici, teneva gli scatoloni con le sue carte presso un’autorimessa perché non era riuscito nemmeno a pagare la ditta di traslochi che aveva svuotato le stanze del Lungotevere. È lo stesso che era diventato socio del cognato Giovanni in una impresa edile miseramente fallita. Anche la casa in cui sono entrati i militari delle Fiamme gialle non rispecchia l’immagine che Meranda ha sempre cercato di dare all’esterno di sé. Si tratta di una banale truffatore o è finito in giri che lo hanno condotto in disgrazia? Per ora con i magistrati di Milano che lo hanno indagato, insieme con Savoini e il consulente bancario Francesco Vannucci, tace.

Nei giorni scorsi La Verità ha raccontato che sino almeno a inizio anno si è speso per portare in porto l’accordo per il petrolio scontato dei russi, quello su cui, a parole, immaginava di fare una plusvalenza del 4 per cento a favore della Lega. O forse di sé stesso. Per condurre quelle trattative e dialogare con le più grandi compagnie petrolifere russe, da Rosneft a Gazprom, utilizzava la carta intestata di una banca anglo-tedesca che però ha dichiarato che quello non era il suo ruolo e che Meranda agiva in autonomia. Le indagini stabiliranno chi abbia ragione. A noi interessa invece provare a lumeggiare il lato oscuro di Meranda. E che è, in parte, raccontato nelle carte segretate che il Gran Maestro Massimo Criscuoli Tortora ha depositato presso la commissione Antimafia nel 2017, quando venne convocato dal presidente Rosy Bindi per parlare di mafia e massoneria. Infatti la Bindi e i suoi commissari erano convinti che la primula rossa della Piovra, Matteo Messina Denaro, fosse coperto da una loggia deviata trapanese.

Criscuoli Tortora, come si può ancora ascoltare nelle registrazioni della sua audizione su Radio radicale, accettò questa singolare intromissione della politica nella Fratellanza da uomo di mondo. «Abbiamo qualche problema a consegnarvi gli elenchi dei nostri iscritti per via della privacy ma se mi arriva una richiesta ufficiale, se lei me lo ordina, io vi do la chiave della cassaforte e vado al bar» rispose alla Bindi il 24 gennaio 2017. Aggiungendo che «indubbiamente la criminalità ha tutto l’interesse a infiltrarsi nella massoneria e ovunque vi siano lustro e potere». Alla fine, gli elenchi degli iscritti furono sequestrati dalla Finanza in casa del Gran Segretario.

Criscuoli Tortora è un Gran maestro di lunga esperienza. Di famiglia nobile amalfitana (in casa parlavano francese), fisico imponente da ex giocatore di rugby qual è, laurea in economia, è un personaggio che ha navigato il mondo della massoneria in ogni suo lido, incrociando anche personaggi come Licio Gelli e Flavio Carboni. Ma come dice lui, che ha anche fondato l’agenzia di stampa dei massoni, Acacia news, se uno si vuole sporcare lo può fare anche al di fuori della massoneria. Criscuoli Tortora è entrato in massoneria attraverso l’obbedienza della Gran loggia generale d’Italia di Fausto Bruni. Poi per un anno ha condiviso l’avventura di Giuliano Di Bernardo, e ha fatto l’ingresso, una ventina di anni fa, nella storica Serenissima Gran Loggia, nata a Roma il 25 gennaio 1951. Un’obbedienza che è tra i membri fondatori della Confederazione Internazionale delle Grandi Logge Unite.

Criscuoli Tortora è diventato Gran maestro della Serenissima nel 2003 ed è stato vicepresidente mondiale per quasi un lustro fino al 2018. «La massoneria è un percorso iniziatico, ma se io vendo banane e dentro la loggia incontro chi le compra è normale che l’affare lo faccia, nella massima trasparenza, con un mio fratello. Funziona così anche al Rotary» spiega ai suoi adepti. Insomma non è un moralista, ma su Meranda ebbe da dire in tempi non sospetti. È lui che per primo, il 21 ottobre 2015, ha messo sotto i riflettori l’avvocato del Russia-gate, il massone elegante e poliglotta, di cui era stato anche vicino di scrivania quando aveva occupato una stanza nel grande ufficio di Lungotevere per sbrigare gli affari della sua piccola casa editrice. Il Gran maestro ha firmato il decreto magistrale 183, un provvedimento di espulsione immediata a cui l’avvocato calabrese non si è opposto.

L’intestazione era solenne: «Noi Massimo Criscuoli Tortora XIV Gran maestro per i poteri e le prerogative a noi conferiti dalla costituzione e dal regolamento dell’ordine…». Seguivano, come in un decreto presidenziale gli articoli del regolamento dell’ordine violati da Meranda le sue «colpe gravi» e «gravissime». Meranda veniva espulso «per aver attentato all’armonia e all’integrità della comunione massonica italiana Serenissima gran loggia d’Italia e in particolare per la ribellione contro il Gran maestro e le autorità massoniche e la violazione dei principi fondamentali della massoneria comunque posta in essere».

Per il Gran maestro, evidentemente, il disegno dell’avvocato cosentino era chiaro: conquistare la Serenissima per poter sfruttare la struttura mondiale a cui era collegata. In fondo Meranda è sempre stato un uomo di relazioni e in tanti lo ricordano scambiare biglietti da visita in giro per il mondo durante gli incontri tra delegazioni. «La massoneria è una rete di conoscenze e una rete di rispetto» commentano alla Serenissima. Come abbiamo detto, nel suo lavoro, Meranda aveva rapporti con importanti ambasciate: quelle russa, iraniana e indonesiana. E, per esempio, le relazioni con Giacarta, a quanto risulta, sarebbero stati facilitati dalla conoscenza di un noto avvocato massone originario dell’isola asiatica.

L’attivismo di Meranda non destò sospetto in gran parte dei fratelli e molti non apprezzarono la sua espulsione. Anche nei consessi internazionali arrivò al Gran maestro più di qualche segnale di fastidio per quella decisione. E, in Italia, alcune piccole logge hanno continuato a invitare Meranda come ospite d’onore, con tanto di posto a oriente dentro al Tempio. Ma le vicende attuali sembrano dare ragione a Criscuoli Tortora che, all’epoca, inserì alcuni interessantissimi passaggi su Meranda nel dossier segretato che consegnò all’Antimafia a proposito di «situazioni da monitorare». Atti parlamentari che Panorama ha potuto visionare e che potrebbero aprire interessanti scenari anche per gli inquirenti milanesi che stanno portando avanti l’inchiesta sul presunto oro nero di Mosca.

Ma andiamo nel dettaglio. Meranda è entrato in massoneria attraverso la Gran Loggia di via Tosti e oggi farebbe parte della loggia Salvador Allende del Grande Oriente di Francia, l’obbedienza atea, quella che ha abolito la storica figura del Grande architetto e il volume della legge sacra.

Ma tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 si presenta alla Serenissima gran loggia con un piano che secondo Criscuoli Tortora era chiarissimo: destituirlo. Meranda fa entrare con sé una quindicina di fratelli di altre obbedienze come se volesse lanciare un’opa sulla Serenissima. Ottiene di rifondare una loggia, la De dignitate hominis, e di divenirne il maestro venerabile. Il tempio si trovava a Roma in via Terni 62. Meranda in quella nuova avventura porta con sé un generale dell’esercito in pensione, D. P., che aveva operato per quasi tutta la carriera nel Sismi, i servizi segreti esteri, un noto costruttore calabrese, un mediatore italiano di petrolio in Algeria.

Dopo l’espulsione di Meranda, anche i suoi uomini si dimisero in blocco e dopo qualche tempo alla Serenissima seppero che in una «dimora» nel quartiere Appio-Latino, a Roma, si era tenuto il battesimo della Protective, una loggia riservata serba che aveva filiali anche in Ungheria e Romania. Ma che soprattutto era un viatico con la massoneria russa e i suoi gran maestri. I nuovi fratelli avevano alloggiato e preparato la cerimonia d’iniziazione nell’hotel Piccadilly della catena Best Western di via Magna Grecia. Una struttura non certo monumentale come il Metropol, e di sicuro tutt’altro che compromettente, scelta forse perché richiamava alla memoria la statua londinese dell’ammiraglio Horatio Nelson, Gran maestro della massoneria inglese, che si trova a Piccadilly Circus.

Un episodio che Criscuoli Tortora, come risulta a Panorama, ha denunciato nel suo dossier, inserendo, come si legge nelle carte, anche nomi pesantissimi della vecchia nomenclatura serba. Come D. D., ex berretto rosso di Milosevic. Il dossier del Gran maestro elenca, inoltre, un bulgaro S. B., un austriaco W. G., un filippino R. S. E., e un altro ex jugoslavo P. P. che ne formavano un «cerchio magico» borderline.

Il suo braccio destro era, però, un italiano convertitosi all’Islam. Si chiama Gianluigi Biagioni Gazzoli, detto Khaled, e ha una storia davvero interessante. Originario di Misurata (Libia), ha sempre avuto stretti rapporti con il paese d’origine e con le associazioni filogovernative anche ai tempi del colonnello Muhammar Gheddafi. Insegnante di arabo, segretario generale della Unione islamica d’Occidente, la più antica d’Italia, è stato anche candidato alla Camera, nel 2006, per l’Udeur di Clemente Mastella.

Esistono anche su Facebook prove fotografiche dei viaggi all’estero di Khaled e Meranda, per esempio di uno Belgrado, fatto su invito dell’obbedienza serba, la locale Gran loggia. I grembiulini slavi avrebbero quindi messo le radici a Roma e i loro emissari sarebbero gli uomini di Meranda.

Ma nei documenti della commissione Antimafia depositati da Criscuoli Tortora si trovano anche altre presunte informazioni su Meranda che potrebbero essere rivelatrici di una vita che alterna le ambizioni per i grandi affari e le miserie delle piccole transazioni. Della sua compagnia di giro fa parte la guardia del corpo, un muscoloso e rissaiolo frequentatore di palestre e di tribunali fallimentari. Con Khaled, Meranda, secondo il dossier, sarebbe stato due volte a Tirana (città da cui proviene il suo difensore, Ersi Bozheku) per incontrare esponenti locali del mondo arabo e organizzare un master che consentisse l’iscrizione all’albo degli imam in Italia, finanziato e promosso dall’Università di Cosenza, in cui l’uomo mantiene rapporti strettissimi con la famiglia di origine.

In Calabria - secondo le informazioni in mano al Gran maestro - sembra che Meranda curasse rapporti riservati di alcuni parlamentari calabresi. L’avvocato, all’epoca, sarebbe stato impegnato pure ad aiutare un importante uomo politico africano, in quel momento in esilio a Londra, a rientrare in patria per partecipare alle elezioni presidenziali. Meranda sarebbe stato inoltre denunciato, con tanto di segnalazione all’Ordine degli avvocati di Roma, da un ingegnere per un contenzioso con una società internazionale di assicurazioni.

Per lui, la politica è sempre stata la porta d’accesso più facile e veloce per entrare in certi meccanismi. Prima che con quella estera, Meranda ci avrebbe tentato anche con quella italiana. «Provò a entrare in contatto anche con un importante uomo politico di Roma che per dieci anni è stato protagonista delle stagioni del berlusconismo e del renzismo», ci rivela una fonte, «senza però riuscirci». Poi conobbe Savoini. E con lui varcò la porta del Metropol. Le sliding doors che hanno cambiato la sua vita e rischiano di cambiare anche la storia dell’Italia di oggi. © riproduzione riservata

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Giacomo Amadori

(Genova, 1970). Ex inviato di Panorama e di Libero. Cerca di studiare i potenti da vicino, senza essere riconosciuto, perciò non ama apparire, neppure in questa foto. Coordina la sezione investigativa dellaVerità. Nel team, i cronisti Fabio Amendolara, Antonio Amorosi e Alessia Pedrielli, l'esperto informaticoGianluca Preite, il fotoreporter Niccolò Celesti. Ha vinto i premi giornalistici Città di Milano, Saint Vincent,Guido Vergani cronista dell'anno e Livatino-Saetta.

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Simone Di Meo