La cura contro il Covid è lontana e forse impossibile
Ad inizio pandemia gli esperti avevano indicato il 2023 come data per la cura definitiva. La realtà è che le varianti stanno cambiando le cose
Se davanti ai batteri si ricorre agli antibiotici, stroncandoli con la forza delle penicilline o di altri principi attivi parimenti efficaci, con i virus, come il Covid, è necessario scendere a patti: perché eradicare del tutto le malattie che provocano non è al momento possibile. Si può riassumere così, la lotta impari che da ormai quasi tre anni si combatte nei laboratori di tutto il mondo alla ricerca di nuovi farmaci che possano mettere un deciso freno alla pandemia. Mentre una nuova ondata di positivi al Sars-CoV2 è già realtà, con la complicanza di una campagna vaccinale che va a rilento e una stagione influenzale che si preannuncia lunga e pesante, abbiamo però già a disposizione farmaci efficaci quali gli anticorpi monoclonali, gli anti virali e gli anti infiammatori che –grazie all’incessante lavoro di ricerca di questi anni- per fortuna riescono già ad alleviare i sintomi più pericolosi e a guarire la stragrande maggioranza dei malati.
LE CURE (QUASI) DEFINITIVE ALLO STUDIO
Ma è lecito o possibile, per tutti noi, sperare in una cura che possa essere, se non del tutto, almeno in parte risolutiva? O quella contro il Covid sarà comunque una lunga guerra di posizione fatta di avanzamenti e passi indietro, in un’altalena di speranza e pessimismo?
“La risposta non è così semplice” spiega il professor Roberto Cauda, direttore UOC Malattie infettive, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e componente dello Scientific Advisory Group dell’Ema “E’ indubbio che, trovandoci di fronte a una malattia causata da un virus e non a malattie batteriche -contro le quali, trovando l’antibiotico giusto, si procede con sicurezza verso la totale guarigione- sia tutto più complesso. Ma a mio parere, la ricerca è a un punto grazie al quale possiamo essere moderatamente ottimisti. Diverse molecole sono già in sperimentazione, e anche se traslare dal laboratorio alla real life non è così scontato, probabilmente nei prossimi mesi arriveranno nuovi farmaci che ci permetteranno di derubricare ulteriormente la malattia, come già successo in passato con altri virus come quello dell’Epatite C, l’HIV e virus erpetici”.
MOLECOLE CONTRO I RECETTORI
Minimo comune denominatore di questi farmaci sui quali fanno ricerca i laboratori di praticamente tutto il pianeta è il focalizzarsi sui recettori ACE, vera porta d’ingresso del virus nell’organismo: “Le nuove molecole di cui si sta parlando molto nelle ultime settimane all’interno della comunità scientifica” continua Cauda “al momento sono state sperimentate solo sugli animali, ma potrebbero presto avere un impiego nei trial clinici, e sono molto promettenti. Si tratta di molecole ricombinanti che bloccano il legame tra RBD (receptor binding domain, ndr) del virus con il recettore ACE 2. Quindi, cercando di semplificare, si cerca di impedire che il virus si attacchi alle cellule tramite questa “chiave”, che è lo spike, dove la toppa è invece l’ACE 2.
Poi c’è un’altra molecola, Ensovibep che, tramite una singola iniezione, bloccherebbe la spike in tre diversi punti coinvolgendo quindi tutte e tre le unità della proteina: in questo modo fermando proprio quella che è definita l’entry, cioè l’entrata del virus nell’organismo. I risultati al momento sono promettenti, potrebbe essere una chiave di volta”.
Non solo: dalla memantina, farmaco brevettato negli anni Novanta per le malattie neurologiche come il morbo di Alzheimer, e nato da un medicinale antinfluenzale utilizzato addirittura nei primi anni ’60, si è partiti per sviluppare la molecola NMT5 che si sta rivelando molto promettente: “Proprio in questi giorni è uscito su Nature Chemical Biology uno studio dell’Università di San Diego” spiega ancora Cauda “su questo nuovo anti virale NMT5, che ovviamente non è ancora stato approvato: in caso lo fosse, potrà essere somministrato per bocca ed è diverso dal Paxlovid, perché altera il virus e fa in modo che non possa più replicarsi”.
L’IMPORTANZA DEL PAXLOVID
E a proposito del Paxlovid, c’è anche da dire che il fatto che questi trial sulle nuove molecole siano ancora in fase di sviluppo non deve assolutamente farci pensare che si combatta ancora a mani nude verso Sars-CoV2, perché le armi già a nostra disposizione sono comunque efficaci, e tutto fa pensare che lo resteranno anche a dispetto delle temute mutazioni: “Mentre i monoclonali risentono delle nuove varianti, e infatti contro Omicron ne abbiamo a disposizione solo un paio, il Paxlovid è indifferente alle mutazioni virali e quindi mantiene inalterata la sua efficacia” conclude il professore Cauda “L’antivirale Paxlovid, tra l’altro, che ora per fortuna si usa molto più di un paio di mesi fa, e con ottimi risultati, permette di ridurre il rischio di ospedalizzazione e di morte specie nei soggetti fragili per età e per patologia. Questo consente di guardare a COVID-19 con occhi diversi rispetto agli inizi, perché oggi abbiamo a disposizione farmaci efficaci, antivirali e non solo, che se somministrati tempestivamente funzionano e il paziente guarisce. Siamo ad un punto di partenza molto avanzato che ci permette già di salvare molte vite, in attesa che arrivino nuovi farmaci e terapie ancora da scoprire”.