Dietro le morti improvvise non c'è il vaccino, ma il Covid e la scarsa prevenzione
Infarti e malori inattesi sono sempre più frequenti ma secondo i cardiologi italiani il vaccino non c'entra. Mentre il coronavirus si
«Come cardiologi abbiamo registrato un peggioramento della salute cardiovascolare ed un aumento dei decessi nell’ultimo triennio, dovuti a patologie legate al cuore». Malori, anzi, morti improvvise. Da inizio anno le cronache raccontano di decessi apparentemente inspoiegabili e che molti provano a collegare con il Covid se non addirittura con il vaccino contro il coronavirus. Ma come stanno davvero le cose lo spiega il Professor Furio Colivicchi, Presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), a cui sono iscritti circa 6000 cardiologi che lavorano nelle strutture del Servizio Sanitario pubblico.
Contrariamente a quanto si pensa non è stato solo il Covid a uccidere migliaia di persone ma anche le malattie cardiovascolari che restano ancora oggi la principale causa di morte in Italia, e sono in continuo aumento e responsabili del 44% di tutti i decessi, con una prevalenza più elevata della media europea (7.499 casi ogni 100mila abitanti) causata dell’età media particolarmente alta della popolazione. Numeri che la pandemia non ha fatto altro aggravare infatti oltre ai casi già esistenti nei soggetti colpiti dal Covid si è riscontrato un aumento del 20-25% di tutte le malattie cardiovascolari soprattutto nei pazienti di età avanzata con comorbidità come ipertensione, diabete, obesità. Numeri confermati nel 2022 dai cardiologi italiani con dati che hanno mostrato come la mortalità per infarto si fosse triplicata passando dal 4.1% al 13.7%.
I vaccini anti-Covid hanno causato l’insorgere di malattie cardiovascolari?
«C’è un bassissima percentuale di soggetti che hanno avuto come effetto collaterale del vaccino delle malattie cardiovascolari, ma questo è un fattore di rischio legato anche ai farmaci. In alcune regioni infatti ho visto che si cerca di istituire il registro delle morti improvvise, che mi preme sottolineare già c’era prima del Covid nel Veneto dal 1993 perché c’era un’alta incidenza di displasia ritmogena, e in Toscana dal 2017, per monitorare soprattutto l’incidenza delle morti giovanili. Anche queste rappresentano una scarsa percentuale».
Quanti decessi sono causati da malattie cardiovascolari?
«Nelle attività di pronto soccorso: per lo scompenso cardiaco gli accessi sono aumentati di oltre il 25% e la mortalità in ospedale dei pazienti scompensati è salita al 15-20% mentre nel periodo della pandemia era triplicata. Invece tra il 2020 e il 2021 c’è stato un crollo delle vendite dei farmaci per la cura dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia di oltre il 20%, questo ci da la misura di una scarsa cura dei due fattori di rischio principali nelle malattie cardiovascolari e degli effetti sulla salute dei pazienti».
C’è una prevenzione adeguata?
«La prevenzione per le malattie cardiovascolari purtroppo viene praticata meno di quanto si dovrebbe e questo comporta una ridotta sensibilizzazione sugli stili di vita che incidono su queste patologie. Ad esempio il fumo è ampiamente sottovalutato nonostante durante il Covid ci sia stata una mortalità superiore nei soggetti fumatori. Eppure la prevenzione dovrebbe essere ancora più determinante dopo il Covid-19 perché ha agito sulle patologie del cuore a diversi livelli: nelle persone colpite dal virus hanno generato infiammazioni di miocardio e pericardio (un fattore che solitamente viene riscontrato in tutti i virus).Anche la sedentarietà, l’aumento di peso e l’obesità infantile sono altri fattori critici da tenere sotto controllo soprattutto quest’ultimo che è in forte aumento».
Come si può migliorare la prevenzione?
«La medicina territoriale dovrebbe evitare che le persone si ammalino coordinandosi con le strutture locali ormai ridotte al lumicino, perché povere di operatori e macchinari. Andrebbe anche implementata la figura dell’infermiere di comunità che in realtà non esiste ma è quella più adatta a svolgere gli esami diagnostici per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Le regioni hanno 20 diversi sistemi sanitari che si muovono autonomamente, alcune in maniera virtuosa come Emilia Romagna e Veneto altre invece sono molto carenti a tal punto che in alcune aree del Paese tipo il Mezzogiorno non esiste nemmeno il Cup per le prenotazioni di visite specialistiche. Questo crea inevitabilmente un problema di accesso alle prestazioni sanitarie che incide sulla salute dei cittadini. A pesare inoltre sulla qualità della medicina territoriale e non solo, è anche il grande carico burocratico della modulistica che toglie tempo alla cura dei pazienti e va assolutamente alleggerito. Per questo come presidente ANMCO ho fatto richiesta al Ministero della Salute di occuparsi di questo tema, ma è un iter lungo che coinvolge sia Aifa che Agenas, quindi non ci rimane che aspettare».