Il caro prezzo della maternità surrogata
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Salute

Il caro prezzo della maternità surrogata

Da chi si trasferirà all’estero per tutto il tempo necessario, a chi adotterà il figlio «surrogato» del partner. Ecco come le coppie ricorrono ancora alla gestazione per altri.

Disappunto e senso di impotenza. Ma anche desiderio di andare avanti. C’è un ventaglio di sentimenti, spesso opposti, che affiorano nelle storie degli aspiranti genitori che avevano intenzione di attivare - e in qualche caso avevano già avviato - la Gestazione per altri (Gpa) all’estero, ma che si sono scontrati con l’approvazione della legge, il 16 ottobre, che rende la maternità surrogata un «reato universale», perseguibile anche se effettuata in altri Paesi da cittadini italiani.

Per quanto la normativa non sia ancora stata pubblicata in Gazzetta, e non abbia valore retroattivo, la decisione del Parlamento ha creato uno tsunami fra chi cercava un figlio all’estero in rispetto (fin lì) delle normative italiane. E, nello specifico, della legge 40 del 2004 che prevede pene severe per chiunque pratichi o promuova la Gpa sul territorio nazionale. Emblematico il caso di Letizia, 43 anni, insegnante fiorentina che con il compagno Alessandro, meccanico, aveva già organizzato tutto. «Avevamo appuntamento subito dopo le elezioni americane con la donna che ci era stata indicata dall’Agenzia cui ci siamo rivolti a Ormond Beach, in Florida (in molti degli Stati Uniti la “commercial surrogacy” è legale, ndr). Sarebbe stato il nostro secondo viaggio là, quello decisivo. La legge però ha cambiato la prospettiva, mentre la scelta era già fatta, e così adesso ci troviamo davanti a un bivio: proseguire, e rischiare, o fermarci».

Esattamente come lei, centinaia di coppie italiane hanno dovuto ridefinire (alcuni solo momentaneamente) i loro piani, per non incorrere nelle sanzioni esemplari previste dalla nuova normativa chiamata «legge Varchi», ovvero la reclusione da tre mesi a due anni e una multa che varia tra 600 mila e un milione di euro. «Alcune coppie che conosciamo» continua Letizia «stanno valutando se trasferirsi all’estero per un periodo. In questo modo, dopo essere diventati genitori, potrebbero poi rientrare senza problemi. Almeno così sembra. Di certo è assurdo, soprattutto alla luce dell’imperante denatalità, porre un veto a chi, come noi, dopo anni di tentativi non è riuscito ad avere figli e ha come unica alternativa, perché l’adozione è praticamente impossibile, ricorrere alla Gpa». Dopo mille tentennamenti, Letizia confessa che anche lei ha un piano. Lo ha condiviso con il compagno, che alla fine ha accettato: «Mia sorella si è detta disponibile a portare avanti una gravidanza per noi. Abbiamo già tentato un’inseminazione domestica, utilizzando lo sperma di mio marito. Adesso siamo in attesa di sapere come è andata. In alternativa abbiamo un piano B». Quale? «Abbiamo consultato uno studio legale internazionale specializzato in diritto di famiglia e diritti umani. Ovviamente loro non ci hanno detto niente, ma ci hanno fatto capire che registrando il bambino solo a nome di Alessandro, e poi facendolo venire in Italia, attendendo abbastanza a lungo da non dare nell’occhio, potrei richiedere a mia volta l’adozione, sfruttando la stepchild adoption».

Ovvero alla materia disciplinata dalla legge 184 del 1983 (art. 44, comma 1b) che evidenzia la possibilità di adottare il figlio del coniuge, a patto che ci sia il consenso del genitore biologico e questo rappresenti un vantaggio per il soggetto. «Sappiamo che dovremo affrontare il Tribunale per i minorenni, ma non ci spaventa. Per adesso abbiamo deciso di aspettare l’esito di questo primo tentativo. In alternativa ci prenderemo un anno sabbatico dai nostri lavori e, con i risparmi, andremo a vivere in Florida per realizzare il nostro sogno. Non si può impedire a una donna che si sente madre di diventarlo».

La questione morale sollevata da Letizia - e su cui in Italia si è dibattuto per anni in quanto «questione morale» è anche pagare una donna, evidentemente in difficoltà economiche, per partorire un bambino da cui si deve separare - riguarda decine di coppie in Italia, etero e gay. Trenta sono quelle che si sono rivolte all’Associazione Luca Coscioni, la cui segretaria nazionale Filomena Gallo rivela: «In alcuni casi si trovano già all’estero, in attesa del parto, o hanno avviato il percorso presso cliniche straniere. La maggior parte di queste persone, che hanno scelto di rispettare il divieto italiano, si sono rivolte a cliniche in Paesi dove la consapevole e libera scelta della donna è al centro della procedura. Se avessero voluto agire nell’illegalità» prosegue l’avvocata «non sarebbe stato necessario rivolgersi a cliniche di altri Paesi. Stiamo lavorando per attivare ogni possibile procedura per cancellare la legge Varchi dal nostro ordinamento, proponendo delle alternative concrete. Non possiamo pensare che un divieto risolva il problema, anche perché è difficile immaginare che il Paese interessato - quello dove i potenziali genitori operano nella legalità - possa collaborare con le procure italiane per qualcosa che non viene reputato illegale».

Di opposto avviso l’eurodeputata Susanna Ceccardi, che ricorda: «Quella contro l’utero in affitto è una battaglia di civiltà che vede me e la Lega in prima fila. Dobbiamo riaffermare il principio per cui il corpo delle madri e dei figli non può mai essere ridotto a merce. Anche a livello comunitario stiamo cominciando ad andare nella giusta direzione, come dimostra l’accordo raggiunto lo scorso gennaio al Consiglio europeo per aggiungere la maternità surrogata ai tipi di sfruttamento contemplati dalla direttiva Ue contro la tratta di esseri umani». Il riferimento è alla recente revisione della direttiva dell’Unione su questo tema. Nel gennaio 2024, il Consiglio dell’Ue e il Parlamento del continente hanno infatti raggiunto un accordo provvisorio per aggiornare la direttiva 2011/36/Ue - che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 15 luglio 2026 - includendo tra le forme di sfruttamento - oltre al matrimonio forzato e all’adozione illegale - la maternità surrogata. Si tratta di una modifica che mira a riconoscere la gravità e la rilevanza di tali pratiche come forme di tratta di esseri umani. In particolare, lo sfruttamento della maternità surrogata viene considerato tratta quando una donna è costretta o ingannata a portare avanti una gravidanza per conto di terzi, ma non pone veti alla Gpa effettuata in modo altruistico e consensuale (senza ricevere compensi).

Si stima che nel 2023 circa 250 coppie - per il 90 per cento eterosessuali - abbiano fatto ricordo alla gestazione per altri. Fra queste ci sono M. e S., che vivono in provincia di Rovigo, e che stanno insieme da oltre dieci anni. «Dopo numerosi tentativi falliti di concepimento e diverse procedure di fecondazione assistita, abbiamo deciso per la maternità surrogata. Ci siamo rivolti a un’associazione in Grecia, dove la Gpa altruistica è legale e regolamentata dal 2002, consentita solo per donne single e coppie eterosessuali, sposate o non sposate, e richiede l’autorizzazione di un tribunale prima del concepimento. Dopo aver ottenuto l’approvazione legale, abbiamo conosciuto una ragazza disposta ad aiutarci. Non potevamo credere alla sua generosità». Ma per quanto generosa, l’operazione ha avuto un costo. I due hanno speso circa 60 mila euro per tornare a casa, dopo circa tre anni dai contatti iniziali, con il loro primo figlio. «È stata un’esperienza difficile, ma ne è valsa la pena» affermano. «Al momento ci stiamo mettendo d’accordo con la stessa donna per dare un fratellino o una sorellina a nostro figlio. In questo modo i bambini sarebbero fra loro legati biologicamente a tutti gli effetti. In conto abbiamo già messo, senza rimpianto, di dover lasciare per sempre il nostro Paese. Trasferendoci ad Atene, come stiamo progettando, la legge non dovrebbe riuscire a perseguirci. Quello che vogliamo fare qui è del tutto legale».

Diverso il discorso per il caso di cronaca di pochi giorni fa, quando due uomini italiani sono stati fermati all’aeroporto di Buenos Aires mentre cercavano di imbarcarsi su un volo diretto a Parigi, con la neonata avuta da maternità surrogata. Secondo le prime indiscrezioni e indagini locali sarebbe frutto dell’intervento di un’agenzia al centro di un racket incentrato sullo sfruttamento di donne vulnerabili. C’è un mondo oscuro che sa dove trovarle - e vendere i bambini che devono portare in grembo - ai quattro angoli del pianeta. Dall’Uruguay, all’Ucraina, alla Nigeria, il giro d’affari della «maternità a pagamento» è in crescita: 3,8 miliardi di euro nel 2016; 11 miliardi nel 2022; 33 forse nel 2027, com’è stato ricordato alla Conferenza internazionale sulla Gestazione per altri tenuta a Roma in aprile. Il racket dello sfruttamento serve per aggirare le norme, anche se il riconoscimento di queste attività come reato universale metterà un grosso freno, almeno in Italia. Ma nelle sfumature tra l’abominio e il desiderio di diventare genitori, la questione - che sia morale o pratica - ci accompagnerà ancora a lungo.

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