I medici lombardi al nuovo dg: «Potenziare il territorio»
«Ci aspettiamo che d'ora in poi ci sia un ascolto e una presenza in cabina di regia dei medici di base, perché l'errore più grosso commesso dalla Regione Lombardia durante la pandemia è stato quello di non coinvolgerli in prima persona». Il dottor Andrea Mangiagalli nutre molte speranze nel nuovo direttore generale Welfare Marco Trivelli. Per questo il promotore del gruppo Medici in prima linea, nonché medico di famiglia di Pioltello, ha promosso l'iniziativa di mandare al neo-direttore una lettera aperta già sottoscritta da un centinaio di medici. La missiva, che viene inviata oggi e che Panorama anticipa qui sotto con le prime firme, è un invito ai vertici della Sanità lombarda a fare un cambio di passo, potenziando le strutture sanitarie territoriali. Indipendentemente dal Covid-19.
Lettera al direttore generale welfare Trivelli
Come mai questa lettera adesso? «Perché Trivelli ha già anticipato una volontà di interlocuzione con la medicina generale. Il suo predecessore Luigi Cajazzo non ci avrebbe dato retta: per noi era inaccessibile. Non era un manager abituato a gestire la sanità come invece è Trivelli, che dopo aver fatto rinascere il grande nosocomio di Niguarda dirigeva gli Spedali civili di Brescia».
Perché questo avvicendamento? «Il senso politico di questa nomina è importante: indirettamente è un'ammissione di errori fatti non solo durante la pandemia».
Che cosa chiedete con la vostra lettera aperta? «Noi medici di base e ospedalieri chiediamo in sintesi di rafforzare il territorio attraverso strutture intermedie fra il medico di medicina generale e l'ospedale. Tali strutture, previste dalla legge Balduzzi, sono in sostanza i vecchi distretti, che qui in Lombardia erano stati smantellati».
E nelle altre regioni? «Esistono ancora: sono l'anello di congiunzione fra i medici di medicina generale e i pazienti che hanno bisogno di una visita specialistica. Adesso tutte le visite specialistiche si fanno negli ospedali o in strutture private accreditate. Ma, essendo gli ospedali al collasso, sono rimaste solo queste ultime».
Ai tempi dei distretti invece come funzionava? «I distretti erano radicati nel territorio (ce n'è uno ogni 40.000 abitanti) e avevano un rapporto diretto con i medici di base. Io per esempio ce lo avevo proprio di fronte al mio studio. Era la cosiddetta medicina di prossimità. O, come si dice oggi, la medicina a chilometro zero».
Oggi invece cosa succede in Lombardia? «Le visite mediche fatte in ospedale o nelle strutture private accreditate non riescono a creare una continuità di cura fra lo specialista e il medico di medicina generale. È un po' tutto a compartimenti stagni».
Oltre al ripristino dei distretti chiedete altro a Trivelli? «È necessario un investimento di personale e di strutture, che le leggi adesso dovrebbero consentire. Anche perché ormai hanno capito tutti che dopo 10 anni di tagli bisogna tornare a investire sulla sanità. Altrimenti la prossima volta avremo il doppio dei morti».
Non sarà facile reperire le risorse. «In realtà no. Causalmente la linea di credito prevista dal Mes, 36/37 miliardi di euro, corrisponde proprio ai tagli effettuati negli ultimi 10 anni al servizio sanitario nazionale. A sostenerlo è un'analisi della fondazione Gimbe. Ebbene, con quei soldi torneremmo a 10 anni fa, cioè ai livelli pre-crisi».