Fumo alternativo: «Il divieto non è la soluzione»
L’ipotesi dell’Unione Europea di bandire le sigarette elettroniche all’aperto contraddice la scienza e rischia di alimentare in modo considerevole il mercato illegale. Lo spiega Umberto Roccatti, presidente di Anafe
Si avvicina il tramonto, vino e cocktail riempiono i bicchieri, sul tavolo qualche stuzzichino aiuta a tenere a bada l’appetito. È la scena tipica di un aperitivo in piazza in una città italiana qualunque. Un rituale che, in futuro, rischia di perdere un suo protagonista: la sigaretta elettronica.
Per sostenere e dare efficacia al suo «Beating cancer plan», il piano per portare il consumo del fumo sotto il 5 per cento entro il 2040, l’Unione Europea continua a esplorare misure drastiche. L’ultima ipotesi in ordine di tempo è stata una raccomandazione, non vincolante per gli Stati membri ma comunque rivelatrice di un orientamento, che mira a vietare l’utilizzo dei dispositivi di nuova generazione nei grandi spazi pubblici esterni, alle fermate degli autobus e persino, per l’appunto, nei dehors dei locali come bar e ristoranti.
«È un abominio, una norma dal sapore orwelliano che finisce per equiparare i prodotti a rischio ridotto al fumo combusto tradizionale. Il che, in pratica, significa andare scientemente contro la scienza» protesta Umberto Roccatti, presidente di Anafe, l’Associazione nazionale produttori fumo elettronico aderente a Confindustria.
Più che arrabbiato, Roccatti è preoccupato. Scandisce a memoria gli studi che sanciscono «l’incontrovertibile minore tossicità della sigaretta elettronica: parliamo di livelli inferiori al 95 per cento»; richiama le analisi che sottolineano «la non esistenza di vapore passivo all’aperto»; ricorda le conclusioni della Cochrane, «la regina delle ricerche», la sintesi di decine di approfondimenti indipendenti, secondo la quale la «e-cigarette» rientra tra i supporti più efficaci per smettere di fumare, superando metodi come le gomme o i cerotti alla nicotina.
Non mancano gli esempi virtuosi di un approccio responsabile al fenomeno, diffusi dall’Inghilterra alla Nuova Zelanda fino alla Svezia, «raggiunti dando la giusta rilevanza ai prodotti a rischio ridotto». Intanto, l’Unione Europea procede in direzione contraria: «Livellando tutto e rischiando di fare un autogol clamoroso perché preferisce un atteggiamento ideologico».
Umberto Roccatti, presidente di Anafe, l’Associazione nazionale produttori fumo elettronico aderente a Confindustria.
Le eccezioni esistono non soltanto all’estero: Roccatti cita la volontà del Comune di Milano di vietare l’uso delle sigarette nelle aree pubbliche all’aperto, «a meno che non sia garantita una distanza di dieci metri. Ma ciò solo per il fumo combusto, non per quello elettronico. È una norma che, ponendosi nell’ottica di una differenziazione, può avere un’incidenza concreta sulla salute pubblica».
La posizione di Anafe, comunque, non è quella di una libertà indiscriminata per gli utilizzatori: «Siamo favorevoli a un divieto all’aperto nei luoghi in cui c’è una preponderanza di bambini e ragazzi, come uno zoo, un parco giochi o a tema». Tenere i minori lontani dalla sigaretta elettronica, d’altronde, è un tema caro all’associazione, che in tal senso chiede aiuto: «Non possiamo fare tutto da soli. Abbiamo bisogno della collaborazione delle forze dell’ordine, perché i più giovani comprano per lo più sui mercati paralleli online, sui canali Telegram o attraverso i social media».
Roccatti è anche vicepresidente di Ieva, la Independent european vape alliance che segue il tema a livello comunitario unendo 18 associazioni nazionali: «Abbiamo diverse proposte per la Commissione europea. Siamo favorevoli a introdurre norme più stringenti per i packaging dei prodotti o per innalzare ulteriormente i limiti alla pubblicità, che comunque sono già quasi totali. Il nostro è un atteggiamento collaborativo, che finisce per scontrarsi con gli sbarramenti imposti da Bruxelles».
Al di là delle ricadute disastrose su un’intera filiera industriale, le restrizioni indiscriminate «potrebbero portare alla nascita» continua Roccatti «del più grande mercato illegale in Europa dopo la marijuana». Ciò perché il divieto non spegne il consumo: «Il nostro è un settore con decine di milioni di utilizzatori, che smettendo di fumare e passando alla sigaretta elettronica hanno visto migliorare la qualità della loro salute da ormai 15 anni. In tanti, se costretti per esempio a rinunciare ai loro aromi preferiti, prenderanno strade alternative».
Non è solo un’ipotesi: «In Olanda, dove gli aromi delle e-cig sono stati dichiarati illegali, è già successo. La domanda si è spostata online o si è rivolta al contrabbando nelle strade dello spaccio». Amplificando a dismisura i rischi: «I consumatori sono entrati in contatto con altri tipi di sostanze e con le droghe. Hanno comprato prodotti che, a differenza di quelli venduti sui mercati ufficiali, non sono controllati, dunque decisamente nocivi per la salute».
In sintesi, secondo Roccatti, l’atteggiamento oltranzista dell’Unione Europea contiene «una deriva devastante». Il pericolo «di consegnare nelle mani delle mafie straniere un mercato dove il Made in Italy è un’eccellenza».