Nuove speranze contro la Sla, dall'Italia
Uno studio operato dall'Istituto Mario Negri e dall'Università di Torino apre la strada a possibili cure contro la tanto temuta malattia
La scienza assesta un colpo che promette di essere decisivo nella lotta a una delle malattie più misteriose e terribili oggi esistenti. È la Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), anche detta malattia di Lou Gehrig, per la quale non esiste allo stato attuale un vero e proprio trattamento specifico. Un articolo di ricerca appena pubblicato sulla rivista accademica internazionale Brain, che ha visto la collaborazione dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs, del Centro dedicato all’assistenza della Sla Cresla e del Dipartimento di neuroscienze dell’università di Torino, finanziate da istituzioni italiane e straniere, è giunto alla conclusione che un enzima, la ciclofillina A (PPIA) ha un ruolo cruciale per il corretto funzionamento della proteina TDP-43 codificata negli umani dal gene TARDBP. A partire dal 2006 con una serie di studi si è capito che questa proteina si accumula nelle cellule cerebrali nella maggior parte dei casi di SLA e nella metà circa dei casi di demenza frontotemporale.
Se è vero che erano state studiate tecniche capaci di rilevare la TDP-43 per diagnosticare la SLA nelle prime fasi della malattia, finora non era perfettamente noto che cosa stava dietro le anomalie relative a questa proteina. Sintetizzando i risultati del loro studio su Brain i ricercatori dicono: “Abbiamo compreso che l’enzima PPIA è il fattore chiave responsabile dell’aggregazione e della localizzazione anomala della TDP-43 nel citoplasma, induce neuro-degenerazione ed è la caratteristica comune dei pazienti SLA”. In particolare, i ricercatori hanno visto che nei topi con SLA, se manca l’enzima PPIA, allora la malattia progredisce rapidamente.
Per comprendere l’importanza dello studio, si potrebbe dire che è come se si fosse compreso il mandante di un omicidio quando prima di conosceva solo il killer. E dunque nel futuro si potrà colpire il mandante per evitare altri delitti.
Queste conclusioni sono coerenti con le conoscenze acquisite in questi ultimi anni, per esempio si sapeva che c’era una carenza dell’enzima PPIA nella maggior parte di pazienti SLA. La scarsità dell’enzima PPIA è stata riscontrata anche in altri modelli cellulari diversi dal topo e nei pazienti con SLA sporadica. Inoltre, è stato identificato un paziente con SLA che ha proprio una mutazione del gene nel cromosoma 7 che codifica per l’enzima PPIA.
Adesso la scienza è chiamata a fare l’ultimo passo e cioè quello di trovare, prima di tutto con esperimenti di laboratorio, un farmaco o una terapia per ripristinare il corretto ruolo delle proteine coinvolte nella malattia. Su questo ora la strada è aperta.
Al momento circa il 50 per cento dei malati muore entro i primi tre anni dalla comparsa della malattia, il 20 per cento entro i primi cinque anni e solo il 10 per cento vive per più di dieci anni. La SLA è una specie di condanna a morte causata da un progressivo deterioramento delle cellule nervose adibite al movimento dei muscoli. I muscoli s’indeboliscono e non riescono più a funzionare correttamente con implicazioni a tutti i livelli e sofferenze atroci. Passi avanti come questo appena fatto dai ricercatori italiani sono quanto di più desiderato da chiunque sia coinvolto con questa malattia.