«Esistono già 1400 varianti del Covid»
Ma i vaccini che stiamo usando sono efficaci, ci spiega il Prf. Gerdol, genetista dell'Università di Trieste
Sono il nuovo spauracchio, il grande nemico di scienziati e virologi. Stiamo parlando delle «varianti» del Covid. Dalla brasiliana, alla sudafricana senza dimenticare la più pericolosa, quella inglese, responsabile della seconda e terza ondata. Questo però stando all'oggi, perché quello che ci riserveranno le varianti per il futuro non è dato sapersi, come ci spiega il Prof. Marco Gerdol, genetista all'Università di Trieste.
Quali sono le varianti in circolazione del Covid e perché le varianti del Covid destano più preoccupazione?
«Le varianti di SARS-CoV-2 in circolazione sono moltissime (ad oggi ne sono riconosciute quasi 1400 nel sistema di classificazione Pango, quello maggiormante utilizzato), ma soltanto una piccolissima frazione di esse è caratterizzata da proprietà particolari in grado di conferire un aumento di trasmissibilità o potenzialmente la capacità di eludere la risposta immunitaria anticorpale. L'accumulo di mutazioni nel tempo è un processo naturale, che peraltro accade in modo più lento nei Coronavirus rispetto ad altri virus ad RNA. Tuttavia l'ampia circolazione virale a fine 2020 ha favorito la nascita in modo del tutto indipendente di diverse varianti virali che destano preoccupazione per la loro maggiore trasmissibilità (come la "variante inglese" B.1.1.7) oppure per la possibilità che possano determinare una riduzione dell'efficacia dei vaccini (come la "variante sudafricana" B.1.351 a la "variante brasiliana" P.1)».
I vaccini sono efficaci contro le varianti? Dovranno essere ripetuti ogni anno?
«Fortunatamente tutti i vaccini in fase di distribuzione hanno dimostrato una ottima efficacia nei confronti della variante inglese, che è quella che è largamente predominante in tutta Europa e che verosimilmente continuerà a dominare la scena europea nei prossimi mesi. I dati riguardo alle altre varianti caratterizzate da fenomeni di evasione immunitaria e che tipicamente condividono la mutazione E484K sulla proteina spike in corrispondenza dell'interfaccia di interazione con il recettore ACE2, sono ad oggi piuttosto limitati e contrastanti: i vaccini ad mRNA mantengono certamente un livello di efficacia che, seppur ridotto, si mantiene significativo. Al contrario il vaccino AstraZeneca non ha mostrato efficacia nella prevenzione delle forme lievi e moderate della malattia in seguito ad infezione con la variante sudafricana. Ad ogni modo va ricordato che fino a questo momento questa variante non ha trovato una grande diffusione al di fuori del continente africano e che essa non sembra godere di una trasmissibilità paragonabile a quella della variante inglese».
Tra le ipotesi sull'origine del Covid secondo lei qual è la più probabile?
«Trovo che l'interpretazione data dal recente rapporto dell'OMS sia decisamnente quella più convincente. Lo scenario che prevede un evento zoonotico tramite un'ospite intermedio è coerente con l'identificazione dei primissimi casi tra persone legate direttamente al mercato di Hunan ed altri luoghi in cui venivano venduti animali vivi provenienti dal sudest della Cina, la zona che rappresenta il più grande serbatoio naturale di Coronavirus a livello globale. Animali come cani procioni, tassi e pangolini che sono noti essere particolarmente suscettibili ad infezioni virali di questo genere, e che pertanto rappresentano un veicolo di contagio per l'uomo più probabile in questi contesti rispetto ai pipistrelli. L'ipotesi alternativa per la quale il report OMS lascia una porta aperta, quella dei cibi surgelati provenienti da un paese non meglio specificato, è piuttosto improbabile ed è stata probabilmente presa in considerazione con l'unico scopo di accontentare il governo cinese, che da tempo tenta di smarcarsi da ogni possibile responsabilità. L'ipotesi di un incidente di laboratorio, infine, resta materiale di grande pregio per ispirare la trama di qualche film di spionaggio, ma è stata giustamente definita come estremamente improbabile nel report OMS».
Secondo un recente articolo su Pnas ci 900 virus di origine animale che potrebbero fare il salto nell'uomo e ad alto rischio pandemico cosa ne pensa?
«Sono assolutamente d'accordo con questa valutazione, alla quale va aggiunto che conosciamo ancora davvero molto poco la biodiversità virale, e di conseguenza i virus con elevato potenziale zoonotico potrebbero essere molti di più. Oltre a SARS-CoV-2, abbiamo già assistito a due altri eventi zoonotici documentati che hanno riguardato i Coronavirus in tempi recenti (quelli di SARS e MERS), che fortunatamente non hanno avuto le stesse conseguenze. Inoltre non dobbiamo dimenticare che una frazione non trascurabile degli abitanti di alcuni villaggi nello Yunnan presenta anticorpi che suggeriscono che essi siano entrati in contatto in passato con Coronavirus molto simili a quelli responsabili della SARS e di Covid-19. Non è un caso che alcuni autori, in tempi non sospetti, avessero definito i mercati di animali vivi che si trovano in molte regioni della Cina delle vere e proprie bombe ad orologeria».
Come procede il sequenziamento delle varianti nelle Regioni?
«Procede in modo non uniforme. Salvo alcune eccezioni, come Campania ed Abruzzo, che svolgono un ottimo lavoro di sorveglianza molecolare, le maggior parte delle regioni non è attualmente in grado di produrre dati utili per stimare la frequenza con cui le diverse varianti sono distribuite sul territorio. Sarebbe necessaria una maggiore coordinazione a livello nazionale, con lo stanziamento di fondi appositi per portare avanti questi importanti programmi di sorveglianza ed il coinvolgimento dei laboratori dotati di strumentazioni adeguate, seguendo l'esempio del Regno Unito e della Danimarca. Al momento dobbiamo purtroppo affidarci a degli stringati report mensili dell'ISS, basati su un numero di sequenziamenti davvero molto ridotto».
Che ne pensa della riapertura delle scuole?
«E'un argomento delicato, sul quale sembra ormai si discuta più per contrapposizioni ideologiche che sulla base di evidenze scientifiche. Credo ci siano pochi dubbi sul fatto che la frequentazione delle scuole in presenza rappresenti un obiettivo importante da conseguire per gli studenti, per le famiglie e per tutta la società. Tuttavia il presupposto fondamentale per poter garantire che ciò possa accadere in sicurezza è quello di ridurre quanto più possibile il livello di circolazione virale nella popolazione generale, di modo da consentire un tracciamento efficiente e di scongiurare ulteriori chiusure. Trovo invece che spingere verso la loro riapertura a tutti i costi indipendentemente dalla situazione epidemiologica generale, sostenendo che le scuole siano una sorta di santuario nel quale i contagi non avvengano, sia una strategia che non possa portare molto lontano».