Saluto romano, Flick: «È prevalsa la giurisprudenza consolidata della Cassazione»
L'ex ministro di Grazia e Giustizia commenta in punta di diritto la decisione della Suprema Corte di ieri
Si torna a parlare di “saluto romano” e “chiamata del presente”, rituali esteriori dalla lunga tradizione storica, cristallizzatasi nell’arco temporale del regime fascista.
L’occasione è il testo dell’informazione provvisoria delle Sezioni unite della Suprema Corte diramata all’esito della pubblica udienza dello scorso 18 gennaio che, ricorrendo alla giurisprudenza consolidata del Supremo collegio, cercano di fare chiarezza su una normativa costruita nel corso dell’ultimo settantennio.
Il profilo storico-giuridico
Quell’antico gesto corporeo di tradizione romana si manifestava tenendo il braccio destro completamente esteso in avanti e inclinato di 135 gradi rispetto alla verticale del corpo, con il palmo della mano rivolto verso il basso e le dita unite. L’art. 5 della legge 645 del 20 giugno del 1952, la c.d. legge Scelba, dal nome del Ministro siciliano degli Interni, lo considerò “un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista” capace di integrare il delitto se, “avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione”. Nello specifico occorreva “la condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla 'chiamata del presente' e nel cosiddetto 'saluto romano', rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista”. Quella norma sarebbe stata integrata, quarant’anni dopo, dalla legge Mancino (la n. 205 del 25 giugno 1993) dal nome di un altro ministro dell’Interno, Nicola Mancino: che ne sanzionava il gesto solo se compiuto con la volontà di “compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista”. La pena per tale fattispecie è la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da 200 euro a 500 euro. In essa è contemplato il reato di “istigazione all'odio razziale”, ed è considerata il principale strumento legislativo del nostro ordinamento per reprimere i c.d. “crimini d’odio”.
Il caso giuridico
Il procedimento penale dal quale è scaturita la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite della Cassazione e l’ “informazione provvisoria” diramata il pomeriggio del 18 gennaio dalla Corte, al centro del dibattito politico-giuridico di queste ore, trae origine da quanto accadde a Milano il 29 aprile 2016 nel corso di una pubblica manifestazione commemorativa la data del “29 aprile”, giorno del ricordo per ben tre militanti della destra: Carlo Borsani, militare di spicco della Repubblica sociale italiana, ucciso il 29 aprile del 1949, Sergio Ramelli, militante milanese del Fronte della gioventù, ucciso il 29 aprile del 1975, ed Enrico Pedenovi, avvocato e consigliere provinciale milanese del Msi, ucciso 29 aprile del 1976, proprio a poche ore dalla commemorazione dell’omicidio di Ramelli. Alla manifestazione del 2016 presero parte un migliaio di simpatizzanti che risposero, dunque, alla chiamata del “presente”, eseguendo il “saluto fascista”. I giudici di Appello avevano qualificato i fatti in riferimento all’articolo 2 della legge Mancino, con verdetto poi impugnato davanti alla Cassazione, le cui Sezioni unite penali -proprio il 18- hanno proceduto a riqualificare le contestazioni come violazione dell'articolo 5 della legge Scelba, annullando con rinvio la sentenza impugnata. Insomma occorrerà un nuovo processo d’Appello per stabilire se dall’accertamento dei fatti esistesse il “concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”.
Il testo dell’informazione provvisoria della Suprema Corte
All’esito della pubblica udienza del 18 gennaio 2024 le Sezioni unite della Suprema Corre di Cassazione hanno diramato una “informazione provvisoria” diretta a chiarire che “La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel c.d. “saluto romano”, ritualientrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall’art. 5 della legge 20 giugno 1952 n. 645”, (c.d. Legge Scelba) “ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concretopericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. A determinate condizioni può configurarsi anche il delitto previsto dall’art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1983, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993 n. 205” (c.d. legge Mancino) “che vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno, tra i propri scopi, l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Tra i due delitti non sussiste rapporto di specialità. I due delitti possono concorrere sia materialmente, sia formalmente in presenza dei presupposti di legge».
Panorama.it ha chiesto lumi a Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale e ministro della giustizia.
Presidente Flick, la materia non è delle più agevoli…
«Il testo dell’informazione provvisoria emesso dalle Sezioni unite della Suprema Corre di Cassazione all’esito della pubblica udienza dello scorso 18 gennaio, riporta la giurisprudenza consolidata che si basa sulla costruzione di entrambi i reati previsti dalle leggi Scelba e Mancino (“riorganizzazione del partito fascista” e “incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”) nell’ottica di una prospettiva di pericolo concreto e che si traduce proprio nella prospettiva di una distinzione tra queste due diverse figure giuridiche».
Dunque una distinzione netta tra due storiche leggi in materia di tutela dell’ordine pubblico interno.
«Le Sezioni unite sono state granitiche nel distinguere la Legge Mancino dalla Scelba, in riferimento alla celebre XII Disposizione Transitoria e Finale della nostra Carta costituzionale, che non è solo “transitoria” nel senso giuridico, ma anche e, direi, soprattutto, “finale” nel senso di norma che mette la parola fine al pericolo della riorganizzazione del partito fascista con le caratteristiche storiche del modello che ben abbiamo conosciuto in Italia in quel determinato frangente storico».
Dunque, le Sezioni Unite hanno ancora fatto chiarezza in materia.
«Ogni tipo di comportamento che dovesse tradursi in “istigazione all’odio” (ovvero incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi) lo valuteranno i giudici di merito investiti a seguito del rinvio operato dalla Cassazione, giudici che potranno persino ritenere concorrenti queste due fattispecie di reato che -ripeto- sono e rimangono distinte».
Presidente, lei non si sbilancia sull’esito…
«La valutazione complessiva non può assolutamente basarsi sulla mera analisi dell’ “informazione provvisoria” della Suprema Corte; occorre, evidentemente, leggere le motivazioni…».
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Giovanni Maria Flick, Piemontese di Ciriè, comune della Città metropolitana di Torino, classe 1940, è professore emerito di diritto penale alla Luiss di Roma, dopo aver insegnato negli atenei di Perugia e Messina. Laureatosi in legge alla Cattolica di Milano, nel 1962 è entrato in magistratura svolgendo sia funzioni requirenti che giudicanti presso il Tribunale di Roma. Nominato nel 1996 Ministro di Grazia e Giustizia dal governo guidato da Romano Prodi, il 14 febbraio del 2000 divenne Giudice della Corte costituzionale, nominato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, prima vicepresidente nel 2005 e, successivamente, tra il 14 novembre del 2008 ed il 18 febbraio del 2009, 32esimo presidente. Tra la sterminata bibliografia gli ultimi saggi sono L’algoritmo d’oro e la Torre di Babele. Il mito dell’informatica, scritto con la figlia Caterina (Baldini-Castoldi 2022) e Il filo rosso della giustizia nella Costituzione, Giuffrè 2023.