Luigi Di Maio e Matteo Salvini
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Salvini e Di Maio: finché tempo non ci separi

Tensioni e polemiche. Ma alla fine i due vicepremier fanno sempre pace. Perché conviene a entrambi per i loro progetti a medio e lungo termine. Matteo, infatti, vuole strutturare meglio la Lega. Luigi, invece, punta a superare la regola del doppio mandato elettivo

Martedì 11 settembre. Dopo un'estate ad alta tensione, complice la riapertura del Parlamento, deputati e senatori tornano a Roma carichi di aspettative. Attendono di sapere da Matteo Salvini se le voci sulle potenziali elezioni anticipate sono realistiche. Pesano i tanti, forse troppi, attriti registrati con il Movimento 5 stelle durante l'estate - per esempio - sui migranti, l'Ilva, l'Europa, l'economia, il ponte di Genova. Né ha alleggerito la tensione l'intemerata dell'ultrà grillino Alessandro Di Battista sui 49 milioni di euro confiscati al Carroccio: "Restituisca il maltolto!", ha urlato dal Guatemala il "Dibba", più infoiato che mai; tesi peraltro accolta, seppur con toni assai più miti, da Alfonso Bonafede: "Le sentenze si rispettano", ha decretato il guardasigilli.

Nervosismi, insomma, che si sommano ad altri. È così che nella Lega cominciano a manifestarsi consistenti malumori verso il M5s, considerato un problema da superare con le elezioni. Anche i seguaci del ministro per l'Agricoltura, Gian Marco Centinaio, non disdegnano il voto ma per altri motivi: ritengono che sarebbe un'occasione ghiotta per "mangiarsi" definitivamente Forza Italia, che temporeggia in attesa di un ritorno in campo di Silvio Berlusconi e rimane ferma nei sondaggi (per esempio di Swg) intorno al 7 per cento. Tutto questo mentre il Carroccio vola al 32,1 e l'M5s cala al 27,9. Niente di meglio per andare alle urne e subito.

5 ragioni per cui Salvini non vuole una crisi di governo

Ma i cultori delle elezioni anticipate dentro e fuori dalla Lega dovranno farsene una ragione: Salvini non pensa affatto a una crisi di governo, anzi. Sempre l'11 settembre, di buon mattino, al Viminale il ministro dell'Interno è stato molto chiaro con i suoi fedelissimi: "Il fattore tempo gioca dalla nostra parte". Quindi, almeno fino alle Europee del 2019, e anche oltre, di elezioni politiche non si parla poiché la Lega è già nelle condizioni ideali per trionfare alle Europee e alle amministrative del 2019. E per cinque ragioni, a quanto risulta a Panorama, esposte da Salvini più o meno così. Prima ragione: "C'è chi guarda i sondaggi, ma il voto è comunque un'incognita, non si sa mai come va a finire, a maggior ragione con un partito come il nostro, che al Sud è ancora troppo leggero. Prima dobbiamo consolidarci, poi potremmo capitalizzare. Avete visto la Svezia? I sondaggi segnalavano un trionfo dei sovranisti, si sono fermati al 17,7 per cento, sono appena all'inizio del cammino".

Seconda: "Se cade il governo Conte, nessuno ci garantisce il ritorno alle urne". Di sicuro il Quirinale farebbe tutto il possibile per evitare le elezioni con un esecutivo istituzionale. Il Pd e Forza Italia già sono pronti a sostenerlo e anche i 5 Stelle. Il perché sta nella terza ragione: "Di Battista. Il tema è uscito dal dibattito, e a noi conviene tenerlo nascosto. Ma per le regole del movimento sul doppio mandato, Di Maio, la gran parte dei ministri e una sessantina di parlamentari sono alla fine del loro ciclo politico. Se si tornasse a votare e non cambiassero le regole, il leader lo farebbe Dibba, mentre Luigi e i suoi se ne tornerebbero a casa loro".

Quarta: "Proprio per questo, al momento i 5 Stelle sono gli alleati ideali. Hanno bisogno di noi per esistere e resistere il più possibile e di certo non possono metterci in difficoltà, perlomeno non più di tanto".

Quinta ragione: "La Lega è già leader del governo. Non guidiamo fisicamente Palazzo Chigi, è vero, però lo guidiamo politicamente e da una posizione di privilegio, che scansa i dossier più scottanti". Insomma, "ci sarà un tempo in cui ci assumeremo anche la responsabilità di guidare il governo, però non bisogna essere impazienti. Quindi, per favore, con i Cinquestelle bisogna essere morbidi. Concediamo loro le cose minori e teniamoci per noi le grandi scelte. È un grande affare politico, il nostro: se non sbagliamo, possiamo vivere di rendita".

Perché prendere tempo conviene a tutti

Il risultato di questa chiacchierata informale si palesa poche ore dopo, per la precisione alle 12.10, quando Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, esce dal Viminale e dà il via libera della Lega alla chiusura domenicale dei negozi, cara a Di Maio e ridimensionata, se non osteggiata, da Centinaio: "Si tratta di un provvedimento che ci chiedono le associazioni dei commercianti schiacciati dalla liberalizzazione selvaggia di Mario Monti e dai vantaggi competitivi della grande distribuzione" ammicca Molinari. E i Cinquestelle eletti, a differenza di Di Battista, applaudono.

D'altronde, come ha mirabilmente spiegato in privato Salvini, hanno bisogno di tenere in piedi il governo per evitare di chiudere anticipatamente la loro carriera politica. Davanti all'opposizione del Dibba, Di Maio può solo sperare di rafforzarsi per cambiare in corsa la regola del doppio mandato elettivo. Per riuscirci ha bisogno di tempo e di ottenere i risultati abbondantemente mancati nei primi cento giorni del governo di Giuseppe Conte. Pochi i provvedimenti approvati, al punto che questo esecutivo - nonostante l'iperattivismo mediatico - detiene il record negativo di produttività della storia repubblicana. Resta l'attesa per la legge di bilancio, ma di sicuro le promesse da campagna elettorale verranno annacquate.

Prendere tempo e far durare il governo può essere utile d'altronde anche alle opposizioni, a Forza Italia come al Pd serve buttare la palla più avanti, altro che urne anticipate. Insomma, di fatto, per ragioni eterogenee, il "fattore tempo" condiziona tutti i leader politici italiani.


(Articolo pubblicato sul n° 39 di Panorama in edicola dal 13 settembre 2018 con il titolo "Finché tempo non ci separi")

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Carlo Puca