Samia Nkrumah: la pace può iniziare da una biblioteca
Intervista alla politica del Ghana, che vuole proseguire l'opera del padre Kwuame, leader dell'indipendenza e profeta dell'unità africana. E per questo ha vinto il Pilosio Building Peace Award 2014
Quando Samia Nkrumah entra nella sala dove sarà presentato il suo ultimo progetto, una biblioteca intitolata al padre Kwame che ne raccolga opere e idee, un’anziana si alza, dondola appena il bacino e batte le mani cantando: "Kwame Nkrumah non muore mai", sottinteso vive con te. Samia, 53 anni, è la figlia del leader che portò il Ghana all’indipendenza nel 1957 guidandolo per quasi dieci anni. Fu poi rovesciato da un golpe che costrinse la famiglia all’esilio e alla separazione. Da allora Samia Nkrumah ha vissuto in Inghilterra, in Egitto e in Italia, prima di tornare a casa nel 2008 per rispondere a una chiamata: "Proseguire il percorso incompiuto di Kwame Nkrumah", profeta del panafricanismo e dell’emancipazione del continente, la cui visione politica sembra ormai riabilitata anche nel paese che lo cacciò dal potere.
Ora Samia guida il Convention people’s party, il movimento politico del padre. È tra le prime donne africane alla testa di un partito: "La politica è faticosa" dice. "Bisogna essere pronti a combattere, sopportare attacchi personali anche violenti; molte donne intelligenti semplicemente rinunciano" ammette con un sorriso. Lei ha scelto di combattere con grazia, fasciata in un abito sgargiante e un aspetto curatissimo: "Grazie al burro di karité prodotto dalle donne del Ghana" dice, in parte anche grazie a un programma di microcredito che lei stessa ha voluto. Per questa forza, la passione "nel promuovere il diritto al benessere e all’unità del popolo africano", Samia Nkrumah è stata insignita del Pilosio building peace award 2014 , un premio che l’azienda italiana del settore edile dal 2011 attribuisce ogni anno a chi si è distinto realizzando opere che migliorino le condizioni di vita, favorendo la pace dei popoli. La biblioteca, pensata dalla donna con l’architetto italiano Mario Cucinella, è il simbolo che "investire nella cultura vuole dire investire nella prosperità e quindi nella pace" spiega l’amministratore delegato di Pilosio , Dario Roustayan. Ribadisce Samia Nkrumah: "Lo sviluppo delle potenzialità degli esseri umani era fondamentale per mio padre. Non a caso, un rapporto dell’Unesco del 1965 rilevava che il Ghana era il paese in cui si spendeva di più per l’istruzione in rapporto agli abitanti. Un investimento nella coesione sociale".
Signora Nkrumah, davvero la pace in Africa può iniziare da una biblioteca, dalla conoscenza?
Se la gente prende coscienza, puoi fare qualsiasi cosa. Ma la pace comincia soprattutto con la ricerca di un canale di comunicazione. Noi donne abbiamo la tolleranza e la pazienza necessarie. Quando mio padre era presidente, hanno cercato di ucciderlo 7 volte. Appena tornata in Ghana ho voluto incontrare i figli dei suoi attentatori. Ho pensato che se volevo fare politica non potevo portarmi dentro rabbia o rancore. Ci siamo guardati e ci siamo detti: siamo tutti esseri umani, non è colpa nostra, erano tempi diversi, più duri. Ma per il progresso del paese bisogna mettere da parte le storie personali e voltare pagina.
In molti paesi africani questo non sembra riuscire. Ci sono sempre nuovi focolai di violenza: nella Repubblica centrafricana, in Nigeria, in Sud Sudan. Musulmani contro cristiani, scontri etnici…
Tanti di questi conflitti vengono combattuti in nome della religione o dell’appartenenza etnica, in realtà partono dalla grave ingiustizia nella distribuzione delle risorse. Bisogna partire da qui, dall’equità sociale, dalla soddisfazione di bisogni primari: accesso all’acqua, all’energia, all’istruzione e ai servizi sanitari. Neppure in Ghana, dove l’alternanza al potere avviene in modo pacifico, siamo ancora riusciti a colmare questo divario. Ma una democrazia può dirsi matura se le persone, quando vanno alle urne, votano principalmente chi promette più soldi per pagare il medico o per mandare il figlio a scuola?
A oltre 50 anni dall’indipendenza, chi porta la colpa di questa situazione? I governi africani? Le politiche di sviluppo?
Credo che abbiamo seguito un modello economico sbagliato. Il Ghana da 100 anni esporta oro, cacao, legname, minerali. Dal 2010 anche petrolio. Ma importiamo praticamente tutto ciò che consumiamo. Con costi enormi per la nostra economia e la vita quotidiana. Mio padre capì che la soluzione era cominciare a produrre quello che ci serve. Bisogna seguire l’esempio di Corea del Sud, Malesia, che sono stati capaci di investire nell’industria.
E l’agricoltura non ha un ruolo?
Nel nostro caso è fondamentale anche l’agricoltura. Indubbiamente nel destino economico dell’Africa hanno pesato anche le imposizioni di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, ma se non vuoi che un modello ti venga imposto devi trovare una soluzione diversa. Molti leader sono stati pigri, hanno scelto e scelgono la via più facile: puntare tutto sul commercio delle materie prime. Chi però vuole risolvere un problema senza impegnarsi, è debole, e facilmente esposto alla corruzione.
Molti credono che l’Africa sarà la prossima grande potenza economica. Che cosa manca ancora al continente per vincere la scommessa?
Gli indicatori sono buoni, il Pil di molti paesi, compreso il Ghana s’impenna (l’8,6 per cento nel 2014, ndr), ma i vantaggi che ne derivano riguardano ancora una quota troppo piccola della popolazione. Per poter fare il salto serve un piano di sviluppo. So che i piani di sviluppo sono fuori moda, ma non si migliora stabilmente l’economia senza un progetto. L’altro aspetto importante, che già mio padre faceva notare, è che non ha senso per i 16 paesi dell’Africa occidentale agire come entità separate. Abbiamo lo stesso clima, le stesse risorse: perché non prendere decisioni comuni sul piano internazionale? Bisogna lavorare per l’unità del continente. Cosa può fare un paese come il Ghana di appena 25 milioni di abitanti, da solo? Non ha senso neppure cominciare la competizione con le grandi potenze economiche: Usa, Europa, Cina, India. L’unità è fondamentale, basta vedere cosa avete raggiunto in Europa, nonostante le difficoltà attuali.
Anche al recente vertice Ue- Africa, i paesi africani hanno invocato maggiore parità nei rapporti internazioali, in sintesi meno aiuti più scambi economici: è d’accordo?
Non possiamo rinunciare subito e completamente agli aiuti allo sviluppo, ma certo non stanno funzionando come ci si aspettava. Dobbiamo cambiare approccio. Si parla ancora molto di riduzione della povertà, ma più che concentrarci su come ridurre la povertà dobbiamo lavorare per incrementare la ricchezza. Per questo ci vogliono leader con visioni alternative e coraggiose.
Crede che l’eredità politica di suo padre Kwame sia da conservare per intero?
In principio, assolutamente sì. Bisogna adattarla alle circostanze attuali, ma lui metteva al centro della sua opera il benessere collettivo e questa non è affatto un’idea superata. Nella nostra cultura c’è un simbolo molto importante: il Sankofa, tipico dell’etnia Akan. Viene raffigurato come un uccello con il becco rivolto all’indietro, a raccogliere i pezzi buoni rimasti, per poi poter andare avanti. Ecco: dobbiamo comprendere cosa non abbiamo concluso nel passato, e partire da lì per costruire il futuro.
Lei si candiderà a presidente del Ghana, nel 2016?
Lo vorrei, ma il fatto di essere presidente del mio partito non mi dà diritto automatico alla candidatura. Devo vincere le primarie e c’è molto da fare nei prossimi 2 anni. Per tutti: ma tutti insieme.
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