Sara Giudice replica alle accuse: nessun favore nè soldi alla 'ndrangheta
L'ex candidata al Comune di Milano sullo scandalo dei voti comprati: "E' solo una storia per screditarmi perché ho combattuto il sistema"
"Io e mio padre siamo innocenti e per dimostrarlo posso tornare sul camper e riprendermi tutte le 1028 persone che mi hanno votato". Sara Giudice è un fiume in piena poco prima della conferenza stampa che ha organizzato per riaffermare la sua innocenza e quella del padre Vincenzo: loro non hanno mai pagato la 'ndrangheta per ottenere voti alle elezioni 2011 per il Comune di Milano (in cui non entrò mai nonostante l'ottimo piazzamento dietro al capolista Manfredi Palmeri).
Secondo l'ex consigliera di zona, (chiamata "l'anti Minetti" per aver raccolto firme contro di lei) uno dei motivi principali è la mancanza di fondi a disposizione della sua famiglia: "Non avevamo soldi neppure per fare i cartelloni. Siamo stati aiutati solo da amici, c'è chi guidava il camper e chi distribuiva volantini. Io ero seguita da un gruppo di 10-15 persone". Quindi pur volendo, non avrebbero potuto. Fatto sta che gli aiuti, anche se in minima parte, li hanno avuti e il padre, ex consigliere comunale ed ex presidente della società Metro Engeenering, non è certo una persona che non ha conoscenze. "Ma non di quel genere lì" ribatte ansiosamente la Giudice che rimarca: "Lui non ha fatto favori a nessuno".
Il secondo motivo parte invece da una domanda che rivolge a tutti coloro che le chiedono spiegazioni: "Ma voi pensate veramente che una come me che si è battuta per combattere l'establishment italiano si metta in mano all'ndrangheta?". La Giudice spiega che non sarebbe stata una decisione sensata: "Io ero sotto le luci dei riflettori. Mi conoscevano tutti, mi fermavano per strada (dopo il caso Minetti ndr). Perché mai avrei dovuto fare questa scelta? Se avessi avuto rapporti con certe persone non sarei ora precaria a 27 anni con un contratto che mi scade il prossimo mese. Io sono sicura che tutti i miei voti sono puliti".
Intanto rimane incerta la posizione del padre indagato che ha chiesto di essere sentito al più presto dai magistrati. L'accusa parte da presunti favori che l'uomo avrebbe promesso ad esponenti del clan su alcuni appalti. Il pm della Dda Giuseppe D'Amico ha spiegato che due presunti 'ndranghetisti, Eugenio Costantino e Alessandro Gugliotta, avrebbero raccolto voti per Sara Giudice: la cosca ne avrebbe promessi 400-500, chiedendo in cambio denaro. Vincenzo, però, stando a quanto spiegato dal pm, avrebbe detto di non voler pagare ma avrebbe promesso favori in relazione ad appalti legati ai lavori nelle metropolitane e alle scuole. Uno dei due presunti 'ndranghetisti si sarebbe presentato in prima battuta a Giudice come un avvocato. "Mio padre - racconta la figlia - è uscito dalla procura con un foglio in mano in cui c'è scritto che lui non sapeva chi avesse di fronte. Questo uomo si è presentato sotto falso nome, come c'è scritto nelle carte dell'indagine, dicendo di avere un gruppo a disposizione per sostenermi ma mio padre ha risposto che non ci interessava e che non avevamo un euro. Non è successo altro. Questa storia è solo per screditare chiunque cerchi di cambiare lo status quo in Italia".
La replica alle accuse quindi diventa un'altra accusa: il movente c'è, ma manca un mandante. Forse la stessa 'ndrangheta? "Qualcuno mi ha voluto fare del male perché ho combattuto un certo sistema ma non so chi" sospira. Poi la delusione si fa largo: "Lo sa cosa mi dispiace più di tutto di questa storia? Che se gli italiani ci crederanno, significa che perderanno qualsiasi speranza. Se veramente una ragazza come me fa questo, allora non si può più credere a nessuno".