Sci, crisi finita: boom di presenze nell'inverno 2023
La scarsità della neve non ha bloccato appassionati e turisti, anche sugli Appennini dove a Natale gli impianti erano chiusi. Boom di presenti, non solo per sciare: la crisi Covid è alle spalle anche se...
Lo sci non è morto, ma vive e lotta insieme a noi. Anzi, si evolve perché la grande paura delle stagioni del Covid ha convinto gli operatori del turismo invernale a provare a ripensare un business da almeno 10 miliardi di euro. Con un effetto benefico immediato, se è vero che nelle stazioni sciistiche italiane nell'inverno che ci siamo appena messi alle spalle non solo sono arrivati tanti appassionati di sci e snowboard, ma si sono moltiplicate anche le presenze di chi ha scelto di vivere la montagna d'inverno in modo alternativo. Ciaspole, relax ad alta quota, offerte culturali e gastronomiche: tasselli di un puzzle che va in archivio con piena soddisfazione per gli operatori del settore, in attesa dei bilanci economici redatti nei prossimi mesi in cui si capirà quanto hanno inciso a livello economico siccità e caro energia.
A mettere in fila i numeri oggi disponibili è Valeria Ghezzi, presidente di ANEF (Associazione Nazionale Esercenti Funiviari): "E' andata molto bene. I bilanci sono un'altra cosa ma è andata bene e in tutta Italia, non solo sulle Alpi". Significa anche laddove la scarsità di neve, in alcuni casi drammatica, aveva fatto temere per il blocco totale dell'attività con danni incalcolabili e il timore di dover ricostruire da zero un intero tessuto economico.
E' stato l'inverno del grande ritorno sulla neve?
"I bilanci li faremo poi e sono un'altra cosa. Quello, però, che posso dire è che ci sono state tantissime presenza sia lungo l'arco alpino che sulle Dolomiti e anche al Centro, non solo al Nord. Grande afflusso, ritorno degli stranieri e degli italiani con le settimane bianche".
La crisi Covid è definitivamente superata?
"Lo sci è in salute e la montagna accessibile attraverso gli impianti a fune è un prodotto che funziona".
A dicembre ci sono stati grandi timori sugli Appennini
"La stagione si è salvata anche qui. A Natale erano in calo notevole, nel momento che da solo vale il 30% della stagione. A gennaio ha nevicato e hanno chiuso con un -10% complessivo che rappresenta un risultato straordinario perché solitamente quello che tu hai perso in una stagione non lo recuperi più".
Invece?
"O abbiamo avuto un numero molto superiori di italiani che sciano, come valore assoluto, oppure si è affermata una nuova tendenza secondo cui chi si è fatto una settimana bianca su Alpi e Dolomiti poi ha deciso di concedersi anche uno o più week end vicino a casa. In entrambi i casi un dato positivo".
Gli sciatori non hanno rinunciato alla loro passione?
"Vero ma abbiamo avuto tantissime presenze anche di non sciatori, persone che hanno preso i nostri impianti per salire in quota da pedoni per fare altro. Rispetto al pre-Covid c'è stato un incremento mai visto prima; se una volta ne salivano 50 in una giornata nei mesi scorsi la loro presenza di anche triplicata".
Perché?
"La spiegazione è duplice: l'appeal della montagna da qualche anno viene considerata aria aperta e grandi spazi, sicura rispetto a quello che abbiamo vissuto con il Covid e poi la molteplicità dei servizi che ha cominciato offrire a chi non scia. Non è più solo il solarium, intorno ai presidi in quota si sta sviluppando un'offerta gastronomica e culturale, ci sono musei che vengono riscoperti. C'è un mondo molto attivo e attrattivo".
E' un modello che si è ripensato per lasciarsi alle spalle la crisi pandemica?
"Molte cose esistevano anche prima, il Covid le ha fatte scoprire. Si stanno vedendo i frutti di un lavoro durato anni. In ogni caso è stato smentito chi sosteneva che lo sci fosse morto. E' un prodotto maturo ma che non ha perso il suo appeal anche in un inverno in cui di neve, pure sull'arco alpino, ne è venuta molto poca".
Possiamo chiudere la stagione delle richieste di sussidi per evitare le chiusure?
"Sì".
Cosa vi serve dal Governo?
"In Finanziaria sono stati messi 200 milioni di euro in cinque anni ed è la prima volta, storica, che succede. Non possiamo che ringraziare e rilanciamo con la necessità di lavorare in maniera diversa da come accade in questo momento. In montagna possiamo fare interventi da maggio a ottobre, poi c'è la stagione invernale: le pratiche burocratiche che durano eternità e fanno perdere anni sono un costo esorbitante. Servono speditezza e minore burocrazia e abbiamo bisogno da parte dei media di capire cosa significhi lavorare in montagna".
Che significa?
"Prima di tutto presidio del territorio e prevenzione rispetto al dissesto idrogeologico. Lo diciamo da anni e lo ripetiamo a maggior ragione in questo momento: sono condizioni sine qua non per operare. Facciamo un lavoro che serve a tutti e che ci consente poi di gestire piste e impianti. Ci piacerebbe che l'opera di cura del territorio fosse compresa e apprezzata da tutti".