E le stelle non si fanno più guardare
Una persona su tre, al mondo, non ha mai visto la Via Lattea. Colpa dell’inquinamento luminoso che riguarda ormai gran parte del pianeta
Come si sarebbe concluso l’ultimo verso dell’Inferno di Dante ai giorni nostri? «E quindi uscimmo a riveder le stelle, ma in verità non ne vedemmo molte...». Il sommo poeta e la sua guida avrebbero tutt’al più intravisto qualche astro disperso su un fondale sbiadito. Colpa dell’inquinamento luminoso che, dicono gli ultimi studi, riguarda ormai l’80 per cento dell’umanità. Non solo: sopra metà degli habitat naturali, il cielo notturno resta in qualche modo illuminato.
In parte sono luci che provengono direttamente dalle città, in parte, anche quando i centri abitati sono lontani, è un bagliore soffuso, che pervade lo spazio nascondendo stelle, costellazioni, comete di passaggio. Tanto che una persona su tre, al mondo, non ha mai ammirato la Via Lattea, in Italia addirittura tre su quattro.
Non fosse abbastanza la scomparsa del cosmo, la start-up russa StarRocket ha annunciato il progetto degli «orbital displays»: una flotta di cubesats (minisatelliti grandi quanto una scatola da scarpe) che, pare nel 2022, verranno lanciati in orbita per un’inedita pubblicità spaziale. Giunti a 500 chilometri di quota, dispiegheranno vele di mylar che, riflettendo la luce solare, comporranno nomi di marchi e prodotti visibili da terra. Da punto di vista pubblicitario, una trovata geniale. «I marchi sono una parte meravigliosa dell’umanità» sostiene il ceo di StarRocket, Vladilen Sitnikov. Per astrofili, astronomi e amanti dello spazio, un’idea demenziale.
Ma se di colpo, anche solo per pochi minuti, ci fosse un blackout notturno? Se il pianeta si spegnesse, come si accenderebbe il cielo? «Con una visibilità ottimale vedremmo a occhio nudo migliaia di stelle. Oltre all’Orsa maggiore e minore, la costellazione di Andromeda, quella di Orione, che nell’antichità era un gigante, la costellazione di Cassiopea, molto riconoscibile perché a forma di W, quella del Cigno, fatta a croce, e quella della Lira con la sua stella tra le più luminose. E poi vedremmo la nostra galassia, una fascia lattiginosa e molto luminosa: la nostra casa nell’universo» risponde Amedeo Balbi, astrofisico a Tor Vergata e scrittore (a maggio uscirà L’ultimo orizzonte, Utet).
Fino alla prima metà del secolo scorso, l’inquinamento luminoso non era certo un problema. La notte erà lì, sopra le nostre teste, con tutta quella roba lucente da osservare. «Se pensiamo agli anni Venti, i telescopi più potenti erano costruiti in luoghi che adesso sono completamente contaminati, come visibilità, come le colline intorno a Los Angeles o, a Roma, l’osservatorio sul monte Porzio» continua Balbi. Per esplorare le oscurità cosmiche, gli astronomi oggi utilizzano in remoto telescopi situati a migliaia di chilometri di distanza, che puntano i loro giganteschi specchi dal deserto del Cile, dalle Canarie, dalle Hawaii. E gli astrofili, quelli che non hanno un mestiere tra le mani ma un’irreprimibile passione stellare, loro si rifugiano in montagna. Dal balcone di casa vedrebbero tutt’al più Venere, la stella dell’alba (o della sera). Che poi non è una stella ma un pianeta. Così vicino al Sole da rifletterne i raggi, e anche così appresso a noi che lo scorgiamo lucente e allegro come una lampadina.
Fabio Falchi, docente di fisica al Fermi di Mantova, ricercatore dell’Istil, Istituto di scienza e tecnologia dell’inquinamento luminoso, e presidente dell’Associazione Cielobuio, nel 2016 con il suo team ha realizzato la più ampio atlante delle luci della Terra, una sorta di cartalogo dettagliato, zona per zona, ripreso da scienziati di tutto il mondo.
Dalla mappa veniamo a sapere che l’Italia, insieme alla Corea del Sud e agli Stati Uniti, è uno dei luoghi più abbaglianti del pianeta. Tra i più bui, almeno di notte, Canada e Australia. E, in Europa, alcune (poche) località in Scozia, Svezia e Norvegia.
Ma come, la nostra Italietta? Sì, perché di notte abbiamo il rapporto più alto fra luce artificiale prodotta e numero di abitanti» spiega Falchi. «Con la luce inquiniamo, pro capite, il doppio dei tedeschi. E gli inglesi ancora meno dei tedeschi. In Italia, i luoghi dove si può ancora ammirare un cielo notturno denso di stelle sono nel nord dell’Alto Adige, al confine con l’Austria, in Sardegna, in qualche punto della Maremma. Le luci della Val Padana si irradiano fino alle Alpi, inquinando anche i cieli svizzeri e austriaci, e agli Appennini. Per vedere la Via Lattea in tutto il suo splendore, un’emozione mozzafiato, sono dovuto andare in Cile, quasi vent’anni fa».
A parte lo spettacolo cosmico «sospeso a tempo indeterminato»,le conseguenze della contaminazione luminosa dell’ambiente ricadono sugli ecosistemi naturali. La vita sulla Terra, la nostra compresa, si è evoluta per miliardi di anni con l’alternarsi giorno-notte. La luce e il buio hanno scandito l’esistenza di predatori e prede, dato il ritmo a comportamenti come la riproduzione, il sonno, la ricerca di cibo. Se questa pressione evolutiva si affievolisce, certe specie vanno in crisi. È come avere una luna piena perenne.
Secondo Christopher Kyba, scienziato tedesco del Research Center for Geoscience che da anni studia questo fenomeno, «per gli animali notturni, l’introduzione delle luci artificiali è stato il più drastico cambiamento mai verificatosi. I cieli sono migliaia di volte più luminescenti di 200 anni fa. E solo adesso ci stiamo rendendo conto dei danni provocati sulle specie notturne, come le tartarughe di mare, che vivono negli oceani ma di notte depongono le uova sulle spiaggie, per gli anfibi, per moltissimi uccelli». Spegnere le luci del pianeta non è realistico, neppure auspicabile. Basterebbe progettare nuove fonti di illuminazione calibrate verso il basso, senza dispersioni di luce in alto. «In Italia lo si sta facendo, grazie anche alle proposte della nostra associazione» dice Falchi che ha pubblicato anche un libro basato sulle sue mappe ("Atlante Mondiale dell'Inquinamento Luminoso"). «Le normative regionali contro l’inquinamento luminoso prevedono già questo tipo di schermatura, non pongono però limiti alla quantità di luce emessa».
Fra qualche anno, il team di Falchi produrrà un’altra mappa aggiornata dell’illuminazione terrestre. Nel cielo notturno che ci aspetta, troveremo forse anche i cuboidi volanti di mister Vladilen. Resterà accesa, forse, la solita benintenzionata Venere. L’unico pianeta trasvestito da stella per ricordarci che, dietro quel cosmo «finto», ce n’era un altro straordinario, tanto tempo faun altro straordinario, tanto tempo fa.