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Nel mondo cresce la disuguaglianza, e nuoce gravemente alla salute

L'1% più ricco possiede più del restante 99% della popolazione. Molti studi dimostrano che questo gap incide sull'aspettativa di vita

Il rapporto appena reso pubblico da Oxfam sulle disuguaglianze di reddito nel mondo racconta parecchie verità sconvolgenti. Si comincia con l'ormai proverbiale 1% più ricco della popolazione mondiale che possiede più del rimanente 99%. I ricchi continuano a diventare sempre più ricchi e si tratta di una ricchezza che non è prodotta dal lavoro, ma proviene in molti casi da eredità, rendite e sfruttamento. La riprova arriva dal fatto che si stima che nel 2016 nel mondo siano state 40 milioni le persone schiavizzate nell'ambito del mercato del lavoro, tra cui 4 milioni di bambini.

Aumenta la ricchezza ma per pochi

Nel complesso il Pil mondiale è cresciuto nel 2017, il che dovrebbe essere una bella notizia per tutti noi, a giudicare da quello che certa politica va ripetendo, e cioè che se aumenta la produzione e migliorano i numeri dell'enonomia ne beneficiano tutti. Purtroppo però non è così, perché l'82% dell'aumento di ricchezza prodotto nel 2017 ha arricchito ulteriormente l'1% più ricco, mentre metà della popolazione più povera del pianeta non si è accorta di nulla.

Il gap quindi aumenta e questo è un problema che ci riguarda tutti: Oxfam ha calcolato che 7 persone su 10 vivono in un paese in cui negli ultimi 30 anni la disuguaglianza invece di diminuire, come sarebbe auspicabile, è aumentata. Oxfam porterà questi dati al meeting di Davos dove da martedì 23 gennaio si daranno appuntamento i big dell'economia, dell'industria e della politica mondiale. La richiesta ai governi è di fare in modo che entro il 2030 il reddito complessivo del 10% più ricco della popolazione non sia superiore al reddito del 40% più povero. Occorrono salari dignitosi, maggiori investimenti nei servizi essenziali e una maggiore progressività della tassazione. Non proprio l'agenda dell'attuale presidente americano Donald Trump, che toglie le tasse ai ricchi e vuole smantellare Obamacare, il sistema messo in piedi dal suo predecessore per garantire un'assistenza sanitaria a una platea più ampia di americani.

Il titolo del rapporto di Oxfam potrebbe essere uno slogan politico: Ricompensare il lavoro non la ricchezza. Nel corso dell'ultimo anno, ci ricorda Oxfam, "il numero dei miliardari è aumentatocome mai prima: uno in più ogni due giorni. Attualmente vi sono nel mondo 2.043 miliardari (valore in dollari), e nove su dieci sono uomini". "La ricchezza dei miliardari", si legge nel rapporto, "si è accresciuta di 762 miliardi di dollari nell'arco di 12 mesi, un incremento che, a titolo comparativo, rappresenta 7 volte l'ammontare delle risorse necessario per far uscire dallo stato di povertà estrema 789 milioni di persone".

Le ingiustizie sono molteplici, profonde e intrecciate. "Il lavoro pericoloso e scarsamente pagato della maggioranza della popolazione mondiale alimenta l'estrema ricchezza di pochi. Le condizioni di lavoro peggiori spettano alle donne, e quasi tutti i super ricchi sono uomini". Attualmente nel mondo 42 persone possiedono la stessa ricchezza dei 3,7 miliardi di persone meno abbienti della Terra. E ancora: i quattro uomini più ricchi di Indonesia possiedono più dei 100 milioni più poveri. E negli Stati Uniti le tre persone più ricche possiedono lo stesso patrimonio della metà più povera della popolazione, circa 160 milioni di persone.

Poveri da morire

Che i paesi più poveri siano anche quelli dove l'aspettativa di vita è più bassa è noto da decenni. Organizzazione mondiale della Sanità, Onu e altre istituzioni compilano periodicamente le loro classifiche che vedono agli ultimi posti paesi come il Sierra Leone o lo Swaziland, dove il cittadino medio a stento può sperare di arrivare a 50 anni, e ai primi Giappone, Svizzera, Hong Kong e Italia, tutti appena sopra o appena sotto gli 83 anni. Se 30 anni di differenza tra paesi ricchi e paesi poveri vi sembrano tantissimi, sappiate che anche chi vive da povero in un paese ricco campa molto meno dei suoi connazionali facoltosi.

Questo si è dimostrato drammaticamente vero in particolare negli Stati Uniti, dove il servizio sanitario non è universale e gratuito per tutti i cittadini e dove quindi avere i soldi o non averli fa una differenza ancora maggiore che in altri paesi sulla qualità delle cure e in ultima analisi sull'aspettativa di vita. Lo rilevava uno studio apparso lo scorso anno sulla rivista medica inglese The Lancet che dava conto dell'aumento della disuguaglianza di reddito osservata negli Usa tra il 1980 e il 2015 avvertendo che a questo aveva corrisposto anche un aumento della disuguaglianza nella longevità.

Le crescenti disuguaglianze di sopravvivenza rilevate sono fatte risalire dagli autori principalmente a due fattori. Il calo dei redditi reali registrato a partire dal 2001 tra gli americani con un reddito basso e medio e il fatto che l'associazione tra reddito e aspettativa di vita è diventata più forte col passare del tempo. "Fattori quali l'innovazione tecnologica, l'aumento della segregazione geografica, l'incarcerazione di massa, la ridotta mobilità economica potrebbero aver contribuito a un gradiente più marcato tra reddito e salute e alla crescente importanza della povertà come fattore di rischio per problemi di salute".

In soldoni l'analisi suggeriva che l'1% più ricco vive fino a 15 anni in più rispetto all'1% più povero della popolazione e lo stesso divario nell'aspettativa di vita si è ampliato negli ultimi decenni, rendendo la povertà un potente indicatore della morte. Più di un terzo degli americani a basso reddito evita le cure mediche a causa dei costi proibitivi. Rincara la dose un altro lavoro uscito sempre lo scorso anno su Jama, che ha analizzato l'aspettativa di vita in diverse contee degli Stati Uniti e appurato che "le disparità geografiche nell'aspettativa di vita tra le contee sono ampie e in aumento" per una combinazione di fattori socioeconomici e di etnia, fattori di rischio comportamentali e metabolici e fattori di assistenza sanitaria. Conclusione? Nelle contee più povere si vive fino a oltre 20 anni di meno che in quelle più ricche.

Ragazzi più vulnerabili nei paesi a basso reddito

Anche fuori dagli Stati Uniti la correlazione tra disuguaglianza di reddito e disuguaglianze di salute rimane, anche se in alcuni casi è più sfumata. Uno studio sui dati relativi a 103 paesi, pubblicato a maggio 2017 su BMC Public Health, ha messo a confronto i coefficienti Gini (un indice utilizzato per calcolare le disuguaglianze) con i dati relativi alla ricchezza nazionale (Pil) e i tassi di mortalità tra bambini, adolescenti e giovani fino a 24 anni nei paesi a basso e medio reddito.

Quello che gli autori hanno scoperto è che all'aumentare dell'indice di disuguaglianza aumentava anche la mortalità dovuta a tutte le cause e quella legata a malattie trasmissibili in entrambi i sessi e in tutte i gruppi di età. L'aumento del Pil era inversamente correlato alla mortalità per malattie sia trasmissibili sia non trasmissibili, ma il prodotto interno lordo non era un indice utile per prevedere la mortalità negli adolescenti.

Cioè mentre una maggiore disuguaglianza si traduceva sicuramente in una maggiore mortalità tra i più giovani, un Pil più alto non era necessariamente garanzia del contrario. Per questo gli autori concludevano che, per migliorare la mortalità degli adolescenti nei paesi a basso e medio reddito, sarebbero preferibili politiche volte a ridurre la disuguaglianza di reddito, piuttosto che dare priorità alla crescita economica a tutti i costi.

Istruzione, residenza, reddito

In Italia sappiamo che esiste una differenza di aspettativa di vita tra chi ha fatto solo le scuole dell'obbligo e chi si è laureato pari a circa 4 anni per gli uomini e due per le donne. Anche il quartiere di residenza dice molto sulla longevità, e di sicuro è strettamente collegato a reddito.

Uno studio svolto a Torino suggerisce che chi vive in quartieri "socio-economicamente svantaggiati, come le periferie a Nord di Corso Regina Margherita e Mirafiori Sud, ha una speranza di vita di circa 4 anni inferiore a quanti risiedono nei quartieri più ricchi, in collina, o nelle zone del centro alto-borghese. In sostanza ogni chilometro che allontana dalla collina e avvicina alla periferia Nord della città fa perdere 5 mesi di speranza di vita.

Che la zona di residenza sia un effetto del basso reddito, di per sé legato a un'aspettativa di vita più breve, o una concausa della mortalità precoce, dal momento che i quartieri poveri sono magari più rumorosi, inquinati, percepiti come meno sicuri, l'effetto è comunque quello di un divario di 4 anni tra i privilegiati e i meno abbienti, segno che la disuguaglianza di status socio-economico si riflette anche da noi sulla salute delle persone.

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Marta Buonadonna