La grana della valutazione
Tempo di scrutini in tutte le scuole italiane e, con le prime pagelle dell’anno, torna d’attualità il tema della valutazione che resta un’attività critica e criticata. Indaghiamone i motivi e cerchiamo qualche soluzione
Gennaio è tempo di pagelle e, con l’imminente pubblicazione dei risultati, torna in auge il tema della valutazione. L’aspetto più dibattuto della vicenda pare essere la media matematica e la sua inevitabile incapacità di essere uno strumento di sintesi definitivo e capace di mettere tutti d’accordo. Il pedagogista Daniele Novara in questi giorni ha sostenuto che uno studente con un 3, un 5 e un 7 – registrati in questo ordine – a fine anno merita 7, definendo “valutazione evolutiva” questa sua proposta. L’intervento ha aperto il dibattito su siti e pagine social dedicate alla scuola, ma anche sui gruppi WhatsApp e tra docenti. L’intento di Novara s’intende: premiare la crescita e non limitarsi al dato aritmetico. Cosa buona e giusta anche se, va detto subito, come non ha senso dar retta al solo responso della matematica, così non va bene applicare uno e un solo schema alternativo, in questo caso l’applicazione della valutazione evolutiva.
Proprio qui sta la questione: valutare non può rientrare in un solo modello, non c’è verso, non ci sta. In primo luogo, il dato aritmetico c’è e non può essere trascurato, un po’ perché la scuola parla con i voti e non ha senso non tenerne conto, un po’ perché ogni polemica e ogni ricorso – effetti collaterali sempre più invasivi nella pratica didattica e valutativa quotidiana - guardano a quello ed è quindi inutile fare corsi sulla valutazione se poi a dettare la linea è sempre l’ultima sentenza reperibile online. In seconda battuta, viene da chiedersi se questa valutazione evolutiva sia applicabile anche nel caso del percorso inverso. Quel che è certo è che una soluzione immediata sarebbe assegnare maggiore dignità alla media ponderata del docente, perché ogni caso ha una storia a sé e un insegnante deve poter avere un certo margine di manovra – nonostante le pressioni – tra tutte le valutazioni che ha raccolto e che concorrono alla formazione in itinere e alla valutazione finale.
Valutare è complicato, sempre. È difficile valutare una prova scritta e ancora di più un’interrogazione orale, ma lo è ancora di più fare sintesi con un solo numero che assommi prove orali, scritte e pratiche, compiti svolti in classe o a casa, lavori assegnati in gruppo o individualmente, e poi ancora valutazioni di quaderni, compiti su supporti digitali, attività di laboratorio, verifiche su porzioni di programma o sommative.
Ci sono griglie di supporto, ma non sempre bastano né servono, perché ci sono errori diversi da prova a prova, ci sono crescite e cali che una tabella non riesce sempre a definire, o a valorizzare.
Ci sono corsi di formazione e di aggiornamento per docenti, ma anche in questo caso si è lontani dal risolvere le questioni, dal trovare una quadra, dal mettersi d’accordo o anche solo dal trovare una certa uniformità.
Ci sono pareri di pedagogisti che espongono correnti di pensiero differenti, dai più duri sostenitori della necessità di bocciare ai propugnatori del superamento della valutazione.
Ci sono i vecchi metodi – la calcolatrice, la media matematica – e ci sono la paura dei ricorsi e le sentenze del TAR che intimoriscono e sbilanciano i decimali in eccesso, ormai quasi sempre, per evitare guai.
Ci sono anche quelli che suggeriscono di fare come avviene in altri sistemi scolastici, riducendo quindi la prova di valutazione a batterie di test a risposta multipla, o comunque chiusa, per rendere oggettiva la valutazione: in questo caso la valutazione sarebbe un aspetto risolto, ma le prove si ridurrebbero a nozionismo buono per una prova preselettiva per qualche concorso, ma la scuola non può abdicare alla complessità della formulazione di un discorso, breve o articolato, orale o scritto per non accettare la decisione di chi è deputato a esprimere un giudizio.
Inoltre, in questo campo non c’è intelligenza artificiale che tenga e che venga in aiuto, a dimostrazione che valutare non solo è difficile, ma ha a che fare con la professionalità, il discrimine, il senso critico di chi si prende la responsabilità di sintetizzare con un numero decimale una preparazione di mesi, o di un intero anno, o di un intero ciclo se si pensa alla maturità, con buona pace di tutto e di tutti, tollerando l’incertezza che porta con sé – perché valutare non è una scienza – quasi ogni voto che si inserisce a registro.
Insomma, ancora una volta servirebbe affidarsi ai docenti, che hanno le loro colpe quando temono, quando si ancorano alle vecchie abitudini, quando non fanno abbastanza, ed è bene invece che si assumano le proprie responsabilità che scaturiscono dalla loro posizione professionale e dal loro ruolo educativo e culturale. Ma per aiutarli in questo difficile compito – di rinnovamento, di studio e di coraggio – occorre un nuovo patto tra scuola e famiglia (tra scuola e società civile!) che vada oltre la prevaricazione, la minaccia di un ricorso per la salvaguardia di una macchia sul curriculum o di un’estate senza debiti. Se si vuole una scuola formativa, bisogna fidarsi dei docenti a cui va garantita stima sociale e serenità, e per questo contano l’ambiente lavorativo, la fiducia percepita e la considerazione che ha la collettività nei confronti del loro ruolo. O saranno ancora una volta nella condizione precaria e incerta di bersagli troppo facili, troppo esposti, senza la tranquillità necessaria per occuparsi di fare scuola pensando a ciò che conta, ma limitandosi a evitare di farsi male.