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La scuola dopo le classifiche

La scuola è finita ancora una volta in prima pagina, come ogni anno, per la pubblicazione dei dati di Eduscopio che fanno sempre discutere. Ma che cosa succede nelle scuole quando i riflettori si spengono?

Anche quest’anno il prezzo è stato pagato. Classifica Eduscopio per tutte le superiori d’Italia, grandi elenchi di scuole organizzate per indirizzo di studi, per città, per territorio, e messe in bella vista su tutti i giornali dalla prima all’ultima, in rigoroso ordine di merito (o di demerito?!) e a corredo il confronto con gli anni precedenti, quest’anno aiutato nella visualizzazione da temibili frecce rosse verso il basso o, al contrario, tonificanti frecce verdi all’insù.

I dati Eduscopio sono interessanti e, se si intende avvicinarsi, richiedono analisi e riflessione, invece spesso sono utilizzati in modo superficiale per spiattellare un elenco buono per un titolo strillato e niente di più. Anziché mettere le scuole una contro l’altra, ad esempio, sarebbe più utile suggerire di guardare altri aspetti che emergono dall’indagine di Fondazione Agnelli, perché l’educazione non è una gara, o una resa dei conti. Lo studio Eduscopio può avere grande utilità per conoscere meglio una determinata scuola, infatti la ricerca studia e pubblica l’andamento degli studenti di ogni scuola nel periodo immediatamente successivo al diploma, sintetizzandone scelte e efficacia dei percorsi. È più utile, e più onesto, considerare questi dati come strumento di approfondimento delle vicende del singolo istituto in sé, anziché avventurarsi in confronti tra realtà che magari sono diversissime per bacino d’utenza, numeri di studenti, percorso.

Sta di fatto che, come ogni anno, l’onda di Eduscopio ha salvato qualcuno e travolto altri, ma come ogni onda è passata e non c’è più. Che cosa resta a una settimana da questi dati?

Resta la scuola modellata da Giovanni Gentile nel 1923 e portata avanti, da destra e da sinistra, sempre come un carrozzone, guardando storicamente al bacino elettorale dei docenti – non certo per quanto riguarda gli stipendi però! – o ai conti pubblici da non disturbare, prima che agli studenti e al loro bisogno di sapere, e in un ambiente bello (sì, bello).

Resta la scuola intesa come contenitore in cui inserire una volta le ore di cittadinanza, una volta quelle di educazione stradale, una volta – l’ultima proposta è questa - quelle di educazione sentimentale, sempre incastrando in fretta e furia progetti con buona pace delle discipline insegnate, colpevoli di essere noiose, vecchie, incapaci di trasmettere valori, visioni, criteri, lungimiranza. Cosa che è esattamente ciò per cui a scuola ci sono da sempre, perché lo sanno fare eccome, lasciando loro tempo, spazio e metodo.

A riflettori spenti, le scuole restano le stesse di prima. Non si pensi che questo diluvio di dati venga utile per una riflessione interna; Fondazione Agnelli vien buona per la promozione e il marketing, per gli open day, per discutere di questo o di quell’istituto al bar, in ufficio, su WhatsApp.

La scuola è la grande immobile e non sarà certo un dato, o un diluvio di dati, a scalfirla.

Così, ancora una volta si riprende il solito ritmo autunnale cadenzato dalle discussioni sulla settimana corta, dagli ultimi docenti ancora da inserire in organico, dai primi colloqui di fuoco tra docenti e genitori su voti e comportamenti inadeguati, tra un corso di formazione, una perdita nei bagni, un’occupazione alle porte, l’ennesimo caso di tensione e di violenza che magari attirerà nuovamente il cronista locale.

Da un Eduscopio all’altro, ciò che manca è un piano a medio e lungo termine che cambi le sorti della scuola, spacciata sempre per priorità da tutti e sempre mortificata alla prova dei fatti, alla resa dei (miseri) conti.

Che bello sarebbe ritrovarsi a discutere, prima del prossimo fuoco di fila di dati che inchioderanno certamente la scuola italiana alla sua mediocrità, che bello sarebbe ritrovarsi a discutere che cosa fare per rendere la scuola italiana un luogo dove andare volentieri. Perché a oggi non è così, né se si lavora, né se si studia. E questo è un grosso problema per tutti.

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Marcello Bramati