Se Monti scivola sui poteri forti
Il professore ha preferito varare una manovra composta all’88% da imposte e solo al 12% da risparmi. Perché ora si lamenta?
Li avete mai visti i professori che si punzecchiano l’un l’altro? Che a stento riescono a trattenere l’ira per l’amor proprio ferito, la gelosia del successo degli “amici” (nei consigli accademici sono tutti “amici” che volentieri si sparerebbero e strozzerebbero a vicenda, magari in nome di un’equazione sbagliata o un’amante senza cattedra)? Avete mai respirato l’aria pesante di uno scontro tra baroni per la promozione dei rispettivi allievi? Soprattutto, avete mai sperimentato di quale concezione abnorme della democrazia siano intrisi certi luminari quando pretendono di non esser criticati, in virtù della loro infinita superiorità intellettuale? Peccato che il governo dei tecnici, l’esecutivo diretto dal Migliore, il professor Monti, già conteso dai club che contano in Italia e nel mondo (Goldman Sachs, Moody’s, Trilateral, Bilderberg, Corriere della Sera, Bocconi, senatori a vita, Vaticano e Commissione Europea), abbia dimostrato un tasso di litigiosità interna e una diversità di vedute, proposte e ricette, come tanti luminari in disaccordo al capezzale di un malato grave, da far disperare quanti avevano creduto nel superuomo e nell’Università della Provvidenza.
Le ultime dal fronte di Palazzo Chigi sono i tre miliardi e rotti di gettito fiscale che mancano all’appello (a dispetto di un tartassamento record), il blocco del decreto Sviluppo, il fallimento del pronto soccorso all’Emilia terremotata, la invisibilità della spending review che dovrebbe finalmente individuare i settori della spesa pubblica da tagliare, e tutto si aggiunge a una sequela di gaffe ed errori tecnici (vedi la paradossale vicenda degli esodati) che nessun politico di lungo corso avrebbe forse commesso.
Ma l’aspetto più urt(ic)ante di tutta la vicenda è questa lamentela del professor presidente Monti, miracolato dall’emergenza, da Napolitano e dai partiti tutti, che dichiara: “Il mio governo e io abbiamo sicuramente perso in questi ultimi tempi l’appoggio che gli osservatori ci attribuivano dei cosiddetti poteri forti; non incontriamo favori in un grande quotidiano rappresentante e voce di potere forte e in Confindustria”. Qui l’allarme diventa massimo. Infatti, al professor Monti non importa avere l’appoggio, il conforto, il sostegno degli italiani che stanno stoicamente affrontando una grandinata di tasse forse inutili, anzi controproducenti. No, a Monti dispiace soltanto che Confindustria e il Corriere della Sera lo abbiano criticato. E neppure si chiede il perché, ma interpreta questo abbandono come il tradimento di un qualche presunto obbligo di accondiscendenza pregiudiziale nei suoi confronti, forse in quanto lui stesso emanazione vivente di quegli stessi poteri forti. Salvo naturalmente essere smentito il giorno dopo, visto che il fondo di oggi sul Corriere della Sera, a fronte di disastri e incapacità evidenti della gestione Monti, dice che l’esecutivo va tenuto in piedi e che non bisogna avventurarsi in elezioni anticipate. E lo dice mettendo in fila una serie di argomentazioni degne di una scalata agli specchi di Versailles. Intanto, i giornali continuano per lo più a tenere sotto traccia le contestazioni al premier, la sua crescente impopolarità e la progressiva implosione dell’esecutivo. Ma “nonno Mario, quello che dice le cose giuste alla tv”, secondo le parole di una bimba di 4 anni approdate agli onori del sito ufficiale del governo, non ha proprio nulla di meglio da fare in questi giorni drammatici che sfidare il ridicolo dolendosi per le critiche di amici professori sul Corriere della Sera, che non sono stati zittiti neppure dalla nomina a consiglieri del suo governo?
Perché, invece, il professor Monti non spiega agli italiani una cosa semplice con parole semplici, come fossimo bambini, e cioè la ragione di quanto ha ricordato in un programma televisivo Luca Ricolfi, forse l’unico editorialista dei giornali dei poteri forti che da mesi solleva qualche obiezione alla politica del governo. E cioè perché, rispetto alle ultime due manovre del governo Berlusconi, in cui si prevedevano prima il 60 e poi il 40 per cento di tagli alla spesa e il resto di tasse, il professore che, libero dal peso della politica, avrebbe dovuto realizzare più tagli e più risparmi ha preferito varare una manovra composta all’88 per cento da imposte e solo al 12 per cento da risparmi? Sarà colpa dei giornalisti?