Sedazione palliativa o eutanasia: le differenze
Sedazione profonda o tecniche per portare alla fine vita: un po' di chiarezza sulle diverse pratiche
Si tende spesso a confondere la sedazione palliativa con l'eutanasia, anche se sono due cose completamente diverse: la prima è legale mentre la seconda nel nostro paese non lo è. Per capire in che cosa consiste questa pratica e come si differenzia dall'eutanasia, abbiamo chiesto aiuto a Italo Penco, presidente della Società Italiana di Cure Palliative.
1. Che cos'è la sedazione palliativa?
Preciso che questo non è il primo caso di un malato di Sla che muore in sedazione, sono anni che accade perché sono malati che a un certo punto diventano molto critici: arrivano nella fase finale della malattia con una sintomatologia refrattaria a qualsiasi trattamento farmacologico. In questi casi c'è questa possibilità di sedare il malato. La sedazione può essere più o meno profonda, l'essenziale è che domini la sofferenza indotta dal sintomo.
2. Su chi viene praticata e quando?
Su malati in fase terminale spesso oncologici, ma anche affetti da altre malattie, tra le quali appunto la Sla, e in generale tutte le malattie che nella fase avanzata presentano sintomi che creano molta sofferenza e sono refrattari alle cure. Tipicamente dolore o dispnea, cioè difficoltà a respirare e sensazione di soffocamento. Ma anche angoscia da morte, quella sensazione di profonda ansia e terrore associata alla consapevolezza che si sta avvicinando quel momento.
3. E' il paziente che deve chiederla?
Certo, è il malato che deve decidere. E' lui che deve dichiarare di non riuscire più a sopportare un sintomo. I famigliari non possono assolutamente prendere per lui questa decisione. Né avrebbe senso sedare un malato incosciente, che non è in grado di esprimere questo desiderio anche perché, essendo incosciente, non ha bisogno di sedazione. Diverso è il caso in cui ci si trova di fronte a situazioni di delirio, in tal caso la decisione deve essere presa dall’équipe curante.
4. Chi applica la sedazione palliativa?
A un malato in stadio avanzato di malattia si consiglia di affidarsi a una equipe di cure palliative. Per poter applicare queste cure è necessario che ci siano persone formate appositamente per affrontare queste situazioni. Idealmente bisognerebbe tendere a una pianificazione anticipata delle cure, il malato deve sapere cosa potrebbe succedere e come potrebbe reagire. L'informazione viene prima di tutto. La legge n. 38 del 2010 garantisce a tutti il diritto ad accedere alle cure palliative. Perciò, quando se ne presenta la necessità, occorre cercare un’equipe specializzata sul territorio. Questo è essenziale per impostare un modello di cura che mira a essere sempre più incentrato sul sollievo e sul benessere del malato. Non siamo abituati a pensare al benessere come associato alla malattia, ma in realtà una persona che nonostante la malattia non soffre e riesce a stare con la famiglia, assistito adeguatamente può provare benessere.
Spesso però negli hospice, strutture pensate proprio per questo, arrivano persone con un’aspettativa di vita molto bassa: il 30-40% sopravvive solo una settimana. Dovrebbero arrivare prima per essere accompagnati in questa fase finale della malattia.
5. In che cosa consiste la terapia?
Esistono farmaci specifici che vengono utilizzati in questi casi. Si tratta di molecole indicate per sedare la sofferenza. La morfina non è il farmaco di elezione per la sedazione, può essere utilizzata con altri farmaci se ci sono indicazioni specifiche e soprattutto se il malato era già in terapia con oppiodi.
6. Quali sono quindi le principali differenze con l'eutanasia?
L'eutanasia è la volontà di porre fine alla vita per mezzo di un farmaco su sua esplicita richiesta. Con la sedazione palliativa invece, che è un atto terapeutico, si vuole liberare il malato dalla sofferenza. Con la sedazione palliativa non si accelera la morte del paziente, ma lo si accompagna e lo si aiuta quando i sintomi non sono più gestibili con i farmaci. Posso sedare il paziente a diversi livelli, lo faccio fino al punto in cui non sente più dolore e sofferenza. Una volta iniziato il percorso non sappiamo quando la persona morirà. Mediamente però la sopravvivenza è di tre o quattro giorni. Parliamo di persone che avrebbero impiegato lo stesso tempo a morire, ma soffrendo.