Semestre italiano alla Ue: il fallimento e il "nulla di fatto"
Si chiudono sei mesi senza infamia e senza lode. Nessun risultato particolare. Per l'Italia, solo successi a metà
La direzione cambia quando ci sono i fatti. La direzione non può cambiare solo nelle intenzioni. E lo stesso Matteo Renzi, nelle pieghe del discorso di chiusura del semestre di presidenza italiano della UE, ammette che i fatti non sono all’altezza delle aspettative. Vuol dire che l’Italia si è comportata bene, lui ha provato a “cambiare verso” all’Europa, qualche segnale è pure arrivato (per esempio, il piano d’investimenti per 315 miliardi di Juncker e l’evidenziazione, sulla carta, delle parole “flessibilità” e “crescita”). Ma in concreto?
Il discorso di Matteo Renzi per la fine della presidenza Ue
C’è sempre stato un prevalente aspetto retorico, politico, d’immagine nelle presidenze nazionali che usano la platea di Bruxelles e Strasburgo come trampolino ai fini del consenso interno. Matteo Renzi l’ha usata bene, è un comunicatore provetto. Gli è bastata all’inizio e alla fine qualche citazione magari scontata ma giusta, da Omero a Dante, sulla falsariga del mito di Ulisse e con l’azzeccata acrobazia fra due generazioni: giovani e vecchi, figli e padri (Telemaco e Odisseo).
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Poi un po’ di sfiziosi (ab)bracci di ferro sui documenti diplomatici forgiati dai tecnici che s’impiccano alle parole come se da un vocabolo dipendesse il futuro del mondo (o quanto meno dell’Europa). La realtà, purtroppo, è che il verso di questa Europa non è cambiato. E che per l’Italia non si può certo parlare di successo.
Abbiamo ottenuto quel poco che abbiamo ottenuto solo a metà. Come la missione Triton che sostituisce Mare Nostrum con mezzi e uomini inadeguati, e la generica ammissione che le frontiere nazionali sono frontiere esterne dell’Europa (ma non farcita di decisioni conseguenti, come una nuova politica del diritto d’asilo). Poi le nomine, con lo specchietto per le allodole della designazione di Federica Mogherini madame Pesc, icona rosa di una politica estera della UE che continua a essere nelle mani dei leader nazionali. Politica comune assente.
Poi, un piano di investimenti che s’intesta la cifra di 315 miliardi, di per sé insufficiente e per di più fasulla (perché è la cifra che dovrebbe in linea teorica esser movimentata da un investimento irrisorio della stessa UE). Infine una diversa e più morbida, accondiscendente valutazione dei bilanci nazionali, ma anche qui stiamo alle carte bollate, per così dire. Nessuna visione. Nessun salto in avanti. Nessuna condivisione reale di uno scatto/scarto diverso da quanto si è visto finora.
I falchi si limitano a osservare il gran movimento dei tordi sotto di loro. L’unico succo del discorso finale di Renzi sta nella polemica nostrana con Matteo Salvini che lo ha (blandamente) contestato dai banchi di Strasburgo, fra l’altro stigmatizzando il deserto dell’Aula (un deserto a cui il Parlamento nazionale ci ha abituati). Ha gioco facile Renzi a dire che solo gli italiani usano i palcoscenici mondiali come passerelle di politica interna. È vero (ma ne fu responsabile soprattutto la sinistra ai tempi del governo Berlusconi). Insomma, una presidenza italiana senza infamia e senza lode, senza veri risultati ma anche senza sfondoni clamorosi. Tutto politicamente corretto e, quindi, inutile. E questa è l’Europa con la quale dovremmo andare alla guerra contro l’Islam dei nuovi Califfi.