Servizi segreti: è la spia che fa la differenza
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Servizi segreti: è la spia che fa la differenza

Solo Stati Uniti, Cina, Russia e Israele investono miliardi e possono impiegare tecnologie avanzate. Tutti gli altri, Italia compresa, sono destinati al ruolo di comprimari

Attorno a quel che non si sa si costruiscono le interpretazioni più suggestive. Spionaggio, servizi segreti e messaggi in codice sono ingredienti saporiti. Ma a volte il confine della notizia viene superato e si entra nel terreno minato delle fantasticherie. Nel 2001 una commissione del Parlamento europeo cura un rapporto «sull’esistenza di un sistema globale di intercettazione di comunicazioni private e commerciali, il sistema d’intercettazione Echelon». Ecco, partiamo da qui, dal Grande orecchio di Echelon. Per raccontare la situazione oggi, Panorama ha consultato una pluralità di fonti in ambienti militari e dei servizi, soprattutto stranieri.

Innanzitutto facciamo chiarezza. L’intelligence di ogni paese è di due tipi: «human intelligence» (Humint) e «signal intelligence» (Sigint). La prima comprende le spie in carne e ossa, sebbene non tutte somiglino a James Bond. La seconda è basata sulla raccolta dei segnali elettromagnetici. Basta far vibrare un vetro per produrre onde che possono essere captate con una banale ricetrasmittente: è sufficiente intercettare la frequenza esatta. Da non dimenticare poi la «open source intelligence», che si basa sull’analisi di fonti pubbliche, incluse le cronache giornalistiche.
Le sfide del presente sono dure e inedite. Ma quel che emerge dal presunto scandalo Datagate è il gap tecnologico tra quei paesi, Stati Uniti in testa con Russia e Israele (e Cina), che investono miliardi di dollari in innovazione e ricerca, e sono in grado di impiegare tecnologie da fantascienza, e gli altri, Italia inclusa, che tutt’al più galleggiano. Ecco, attraverso alcuni episodi e qualche rivelazione, lo stato dell’arte dello spionaggio.

C’è chi ci mette anni, chi giorni
«Tutto il mondo usa il Sigint» è il lapidario commento di un funzionario straniero. Questo sistema di intercettazione infatti non è prerogativa americana, l’aveva anche l’Iraq di Saddam Hussein, per intenderci. Il Grande orecchio orwelliano è un sistema di raccolta di onde elettromagnetiche. Ogni conversazione telefonica passa su un ponte radio e, una volta nell’etere, è captabile da chiunque. Per renderla inaccessibile devi criptarla. Poi ci sono tecnologie, come quella americana, che riescono a decrittare in breve tempo anche codici molto complessi. «L’Italia può impiegare anni per decodificare conversazioni americane altamente protette». Non è un caso che le telefonate ai massimi livelli tra i servizi italiani e gli omologhi della Cia avvengano con un telefono fornito dagli americani. L’apparecchio in uso ai vertici del Sismi è schermato, ma è chiaro che non c’è gara: gli statunitensi non reputano i nostri dispositivi così sicuri. Le conversazioni tra apparati governativi italiani passano per la rete del Centro decisionale nazionale di Forte Braschi, a Roma, ma, giura la fonte, «gli americani ci mettono poco a decriptarle». La sede del Consiglio supremo di difesa vanta invece una protezione speciale. In ambienti d’intelligence straniera non si fa mistero del fatto che «tutti sapevamo di essere intercettati dagli Usa, del resto è difficile tenere testa agli americani».
La vera questione è il divario tecnologico fra paesi che, seppure alleati, competono tra loro sullo scacchiere internazionale. C’è il club dei paesi anglosassoni (Usa, Nuova Zelanda, Australia, Gran Bretagna, Canada) che condividono signal intelligence con speciali garanzie da parte Usa. C’è poi un’ampia platea di paesi alleati, tra cui Italia, Francia e Germania, che scambiano informazioni Sigint e mettono in allerta in caso di rischi. Sapendo di essere intercettabili e intercettati. «Una volta il vicecapo dell’Fsb (i servizi segreti russi, ndr) mi ha domandato, incredulo, se fosse vera la notizia che con la riforma dei servizi l’Italia ha introdotto il reclutamento per concorso. Quando ho confermato, ha trattenuto a stento il riso». Come dire, porte aperte agli infiltrati.

Le intercettazioni «a fascio»
A seconda della tecnologia di cui disponi, il Sigint consente di conoscere il contenuto delle conversazioni. Nulla di diverso, spiega una fonte giudiziaria, dalle intercettazioni «a fascio» che la magistratura italiana ha più volte impiegato. Nel caso del latitante mafioso Vito Roberto Palazzolo, la Procura di Palermo dispose intercettazioni a fascio che registravano tutti i flussi telefonici in entrata e in uscita tra Italia e Sud Africa. Ma anche durante il soggiorno in Tunisia di Bettino Craxi i pm di Milano disposero un identico controllo tra l’Italia e la Tunisia. Un Sigint artigianale era quello di Gioacchino Genchi, l’ex consulente informatico delle procure di mezza Italia, abile nell’analisi statistica di migliaia di dati ricavati dai tabulati telefonici.

Quell’incontro tra Berlusconi e Blair
In Italia l’ex premier Silvio Berlusconi è stato ampiamente intercettato, e non solo da parte statunitense (soprattutto per i rapporti con Vladimir Putin). Ricordate l’incontro tra Berlusconi e il premier inglese Tony Blair il 15 febbraio 2002 a Villa Madama? Tempo dopo il Sunday Telegraph riportò il contenuto di un documento top secret, rinvenuto nel quartier generale dei servizi iracheni bombardato dagli americani, secondo il quale durante quel summit a due Blair faceva riferimento a «cose negative decise dagli Usa a proposito di Baghdad».
Il documento aggiungeva che Mosca aveva consegnato a Baghdad una lista di killer da impiegare in Occidente. Qualcuno riferì a Saddam di quel colloquio tra Berlusconi e Blair. Chi ha origliato a Villa Madama? Secondo fonti riservate, sono stati agenti russi agli ordini di Putin.

L’assistenza italiana al Vaticano
Recentemente Il Giornale ha pubblicato le dichiarazioni di un «ex alto funzionario della nostra intelligence» secondo il quale l’incontro tra Giovanni Paolo II e il ministro iracheno Tarek Aziz nel 2003 fu intercettato dagli 007 italiani. Le cose andarono diversamente. Ben prima dell’incontro tra il Pontefice e l’ex braccio destro di Saddam, i servizi italiani, ben insediati in Iraq, entrarono in possesso del canovaccio cui Aziz si sarebbe attenuto seguendo le istruzioni del regime. È vero anche che in diverse occasioni il capo della sicurezza del Vaticano ha chiesto aiuto ai servizi italiani. E l’Italia, a volte, ha risposto mettendo a disposizione le sue apparecchiature, come per la visita di Giovanni Paolo II in Bosnia nel 2003 dove aleggiava il rischio di un attentato.

Aerei e navi spia in Europa
Gli 007 italiani non hanno fornito assistenza soltanto al Vaticano. Hanno addestrato e formato al Sigint anche le unità del Mukhabarat egiziano ai tempi di Hosni Mubarak e faranno altrettanto, si prevede, con i libici. L’Europa è percorsa da aerei Sigint che «captano ogni radiazione elettromagnetica, che poi tentano di decifrare». Nel Mediterraneo si aggira per tutto l’anno una nave italiana, costruita da Finmeccanica, che svolge la medesima funzione: capta tutto quello che può captare.

Cooperazione e subalternità
La cooperazione Sigint ha un ruolo cruciale nella lotta al terrorismo, che rimane «la criticità numero uno in Italia e nel mondo». Se ogni radiazione elettromagnetica che finisce nell’etere è alla portata di chiunque, c’è però chi è più bravo di altri a raccogliere e decriptare. Come difendersi dalla subalternità tecnologica è la grande questione. Il rischio è che, anche per l’ipertrofia della politica, in Italia vengano inserite in ruoli chiave persone prive delle competenze per elaborare risposte adeguate alle sfide.
Per un paese finanziariamente dissestato colmare il gap tecnologico è impossibile. Bisogna imparare a difendersi dalle invasioni altrui. «Se hai sete e mi chiedi un bicchiere d’acqua, io te lo porgo senza battere ciglio. Ma se ne hai già bevuto 6 litri e continui a domandarmi acqua, io mi insospettisco». Ecco, si può collaborare tenendo presente questo «mismatch». Neutralizzare il più possibile gli scambi critici senza alterare i connotati di un’alleanza politica e militare richiede capacità di analisi. L’indignazione a buon mercato serve a poco.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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