Shabiha, le milizie fantasma di Assad
Una delle formazioni paramilitari più utili al regime siriano, protagonista della repressione del 2011, è composta da militanti stranieri, molti russi
per Lookout news
Nella lingua corrente la parola è diventata sinonimo di delinquente da strada, teppista o sbandato, ma in realtà questa distorsione si deve alla pessima reputazione che Shabiha si è fatta nei primi anni della sua esistenza. Shabiha, infatti, è un corpo paramilitare siriano fondato agli inizi degli anni Ottanta da un cugino del primo presidente della Repubblica Siriana, Hafez Al Assad, con lo scopo di creare una forza di sicurezza alle dipendenze del governo, autonoma e alternativa rispetto ad altre formazioni analoghe come la polizia segreta.
In origine, la zona delle operazioni di Shabiha si concentrava nei dintorni dell’area portuale di Latakia sulla costa occidentale della Siria, ma ben presto ci si rese conto che oltre alle attività istituzionali di polizia, i miliziani erano coinvolti in traffici e attività poco chiare, che ne compromisero progresivamente la reputazione e portarono fino allo scioglimento del corpo con la salita al potere di Bashar Assad nei primi anni Duemila.
Con lo scoppio delle rivolte antigovernative del 2011, il gruppo paramilitare ricompare nelle cronache siriane con l’accusa di aver partecipato alle repressioni dei moti di piazza attraverso l’utilizzo di agenti “in borghese” infiltrati tra i dimostranti, il che valse la dura condanna delle attività di Shabiha da parte delle Nazioni Unite e l’accusa di crimini contro l’umanità anche a causa dell’avversione della comunità internazionale verso il regime siriano.
Tuttavia, Shabiha nel tempo ha modificato radicalmente la propria organizzazione e l’inquadramento in seno al regime siriano. Nei primi anni della propria esistenza, con l’obiettivo di creare un solido legame con i vertici del regime, il reclutamento avveniva quasi esclusivamente su base confessionale, preferendo personale di fede alawita, setta minoritaria dello sciismo a cui appartiene la famiglia di al Assad, mentra in epoca più recente si segnalano la presenza di operatori provenienti da tutto il Medio Oriente, e in particolar modo da paesi storicamenti alleati della Siria, il cosiddetto “Asse del Male” sciita: iraniani e libanesi ma anche iracheni di religione drusa, e persino russi. Proprio la presenza di un numero rilevante di cittadini russi ha fatto sì che Shabiha fosse indirettamente citata dal presidente Putin durante il suo discorso davanti all’Assemblea Generale dell’ONU nel settembre scorso.
Il numero rilevante di cittadini russi e di altri stranieri nelle fila di Shabiha ha sollevato la questione relativa allo status dei combattenti: ad esempio, non è previsto alcun compenso in denaro per gli arruolati nel gruppo paramilitare, ma soltanto benefit di vario tipo per sé e per le famiglie per evitare di incorrere nelle sanzioni previste dal diritto penale dei relativi paesi di appartenenza. Ai cittadini russi, infatti, è consentito andare a combattere all’estero, purché non a fronte di un pagamento in denaro.
Sono di fabbricazione russa anche le principali dotazioni di equipaggiamento dei miliziani; oltre al grande classico fucile d’assalto Ak-47, i paramilitari dispongono di fucili di precisione SVD Dragunov per le unità di franchi tiratori, mitragliatrici leggere PKM e artiglieria pesante antiaereo DShK 1938.
Per quanto riguarda la fase più strettamente operativa, la Shabiha si presenta come una naturale estensione dell’esercito regolare. Molti combattenti provengono da formazioni regolari siriane e l’esercito fedele ad Assad fornisce loro gran parte dell’equipaggiamento e del personale istruttore, così come procura l’intelligence e supporta a livello logistico le missioni della milizia. L’addestramento militare effettivo, invece, avviene sotto la supervisione del gruppo libanese Hezbollah.