Singapore: le bellezze della città dell'incontro Trump-Kim
Il Presidente americano e il dittatore nordcoreano si vedranno nella città del Leone. Sofisticato approdo per viaggiatori esclusivi e diplomatici tropicalizzati
E così sarà a Singapore. Un luogo più alieno dallo stile di due viaggiatori atipici come Donald e Kim era difficile immaginarselo. E invece.
Il primo è abituato alla rotta classica del benessere americano, da New York a Miami, che declinato in termini italiani è il Milano-Liguria della borghesia di successo. A volte passa da Mosca, ma non per visitare la tomba di Puskin, piuttosto per Miss Universo.
Il secondo esce di rado dal suo Paese-bunker e se lo fa viaggia in un treno blindato.
Insomma, poco gusto cosmopolita per entrambi. Tutto l’opposto di Singapore, magnifico melting pot etnico e culturale, dove a comporne il mosaico esotico contribuiscono il ceppo malese, quello europeo, quello cinese e quello indiano.
Naturalmente c’è una ragione geopolitica per questa scelta, ed è nella testa di ponte che gli Stati Uniti vogliono mantenere a Singapore, ancorando all’Occidente questa remota punta della Malesia, in un contesto regionale poco amico.
Ma ci torneremo alla fine. Capiamo intanto cosa riserva Singapore di così speciale e perché due personalità dalle modeste curiosità intellettuali e dallo stile non proprio raffinato rischiano di stonare in questo gioiello orientale dove tutto è misura, grazia e riverbero di un elegante passato.
Singapore è il mito di uno scrittore come Somerset Maugham (ma anche di Kipling e di Conrad), ospite fisso al Raffles Hotel, dove la sua camera è oggi una suite che porta il suo nome e conserva lo stesso mobilio dell’epoca. Chi ha avuto la fortuna di essere passato dal Raffles sa che piange il cuore uscire dall’Hotel, tanto è avvolgente la sua atmosfera. Una galleria ricorda tutte le personalità passate di qui, e suggerisce anche altro: la diplomazia che conta a Singapore s’incontra più spesso di quanto non si pensi.
Se ci si fa convincere a lasciare il Raffles Hotel, ci si può perdere a piedi per Emerald Hill, una zona esclusiva che ha conservato l’originale architettura di Singapore. Qui i portici proteggono dal clima tropicale, mentre le doppie porte permettono di far circolare l’aria preservando la privacy degli ospiti. Proprio come in diplomazia, Singapore è il delicato equilibrio del momento pubblico e di quello privato. Ecco perché, bonariamente, Donald e Kim a Singapore sono due elefanti in un negozio di cristalli.
O meglio di preziose ceramiche Peranakan, espressione che indica la fusione tra la cultura cinese e quella malese. La sua barocca ma misurata estetica, fatta di sfarzosi talami nuziali, di complessi abiti ricamati e di ricercati gioielli faranno forse provare un po’ d’invidia a Donald, adoratore seriale dell’oro giallo.
Singapore è anche rinascita. Forse per questo piace ai diplomatici. Dal porto malfamato delle origini con le sue fumerie d’oppio, e passando per la dominazione giapponese, la città-stato si è oggi affermata come un modello di riferimento per il mondo degli affari, ma anche per la qualità di vita.
Per capire cosa siano le regole a Singapore e come rispettarle basta regalarsi il suo cocktail leggendario, lo Sling, sedendosi al Long Bar, l’unico luogo in tutto lo stato dove è ammesso gettare qualcosa per terra. In questo caso, i gusci delle noccioline che accompagnano il drink dal colore arancione per simulare un innocente succo alla frutta e nascondere la presenza di alcool. Un trucco per l’epoca in cui le donne (per bene) non potevano bere alcolici in pubblico. Dissimulazione, arma squisita della diplomazia.
Andranno Kim e soprattutto Donald ai Gardens by the Bay? Sono due padiglioni, entrambi a emissioni zero. Uno raccoglie piante provenienti dall’Africa, dall’America e dal Mediterraneo mentre il gemello è la fedele riproduzione dell’habitat di una foresta pluviale, con tanto di cascate e clima di altura dei 2.000 metri.
Cambierà allora idea Donald sul Clima, così come sembra averla cambiata Kim sulla Bomba? Ne parleranno forse davanti ai Super Trees, cioè l’albero della vita di Expo a Milano trasformato da bel gioco di luci a effettiva macchina green ricoperta di corteccia vivente: 18 alberi ecologici che creano energia fotovoltaica e raccolgono l’acqua piovana.
Forse un drink al tramonto (un po’ di vita Kim!) a quasi 300 metri d’altezza potrebbe sancire la pace. Da lassù s’ammirano i cargo all’orizzonte, ma attenzione: le luci che s’indovinano poco lontano sono quelle dell’Indonesia, e qui capiamo bene perché la scelta è caduta sulla città del Leone. L’America non vuole lasciare quest’avamposto all’Islam alle porte, così come non vuole lasciarlo all’influenza cinese, che già controlla Hong Kong, e soprattutto controlla Kim. Anche lui, in fondo, è in cerca di un po’ d’evasione dai soliti giri.