Siria, la saggezza di Emma Bonino
Tra l’avventurismo francese e l’immobilismo degli Usa, la posizione della piccola e sempre meno influente Italia è l’unica ragionevole. Il focus: armi chimiche - Il duro Assad
Giusto il realismo di Emma Bonino verso la Siria. Tra l’avventurismo della Francia e l’immobilismo renitente dell’attuale leadership degli Stati Uniti, la posizione della “piccola” e sempre meno influente Italia è forse l’unica posizione davvero ragionevole. No all’intervento in Siria. Ovvio che poi la motivazione sia: solo con l’avallo delle Nazioni Unite. Perché, oltretutto, è quasi sempre possibile individuare buoni e cattivi nei diversi conflitti. Ma in Siria, francamente, no.
Fra tutti i leader arabi, quello che sta resistendo di più è il siriano Assad figlio. Dico figlio perché ricordo sempre il padre, in sella per una vita a Damasco. A quei tempi la stabilità del Mediterraneo era insidiata non da Al Qaeda, che non esisteva ancora (esisteva però in Egitto la fratellanza musulmana), ma dalla questione palestinese e dal conseguente terrorismo. Un terrorismo che non aveva colore religioso.
Oggi il quadro è tutto diverso. Le potenze occidentali sono molto meno potenti. Incombe la concorrenza globale sempre più aggressiva dei giganti economici asiatici e del Brasile, mentre la ricchezza petrolifera dei Paesi del Golfo si è incanalata nel supporto alle potenze regionali e alle fazioni islamiche (con significative contrapposizioni tra Arabia Saudita e Qatar). E sottotraccia, nei regimi nordafricani e mediorientali per lo più arabi corre l’insurrezionalismo estremista islamico dei salafiti, dei jihadisti, dei fratelli musulmani e degli alqaedisti, con ambizioni di califfato islamico invasivo ed espansionista. Un arcipelago dell’integralismo e oltranzismo islamico ben più forte e incisivo (e, soprattutto, popolarmente radicato) delle flebili vene liberali della borghesia medio-alta che in Egitto è “la maggioranza del sofà”.
Tutta una premessa, inevitabile, per dire che un eventuale intervento dei Paesi occidentali in Siria risponderà forse all’avventurismo patetico della ex grandeur, la Francia (di Sarkozy prima, in Libia, di Hollande poi, forse, in Siria), e alla stessa competizione tra ex potenze coloniali, ma certo non all’esigenza di difendere gli interessi del mondo libero in Medio Oriente.
Questi ultimi li difende Israele, che necessita dell’appoggio intelligente dell’Occidente e in particolare degli Stati Uniti. Politico e militare. Non a caso, in Israele, il pericolo maggiore per la democrazia e l’assetto dell’area è visto non nei regimi esistenti, ma nell’instabilità conseguente alla rivolta delle piazze, alla cosiddetta (inesistente) “primavera araba”. La stabilità dev’essere l’unico faro di qualsiasi iniziativa occidentale nell’area. Ed è proprio la stabilità quella che gli interventi francesi e occidentali finora hanno contribuito a minare e poi a non ricostituire. In Egitto, in Libia, in Tunisia, in Siria è in corso un braccio di ferro tra l’estremismo islamista da un lato e la strana alleanza tra laici liberali e militari dall’altra.
La Francia, al solito, rompe gli indugi e promette fracassi. E se prevarrà, fracassi saranno in tutti i sensi. Come in Libia, dove il controverso, odioso, pittoresco e crudele Colonnello Gheddafi aveva garantito soprattutto nello scorcio finale della sua leadership, un argine contro Al Qaeda.
Ecco perché fa bene Emma Bonino, il nostro ministro degli Esteri, a indicare la strada della prudenza.