Siria, voci di donne da al Ghouta: Salviamo i bambini!
Un medico e un'insegnante raccontano le atrocità patite dai civili assediati e bombardati. "Tra le nostre mani muoiono innocenti, non uomini armati"
Non accennano a placarsi le violenze sulla zona est della città assediata di al Ghouta, in Siria e ogni giorno medici e attivisti denunciano decine di vittime.
Le ostilità continuano e si estendono, mentre la crisi umanitaria si aggrava di giorno in giorno. Gli operatori umanitari definiscono la situazione delle città “disastrosa”.
Geert Cappelaere, il direttore generale Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa ha affermato che la situazione che hanno riscontrato gli operatori dell’organizzazione nella regione assediata di al Ghouta “è persino peggiore di quella che c’era ad Aleppo est lo scorso anno”.
Le voci di due donne da al Ghouta
Abbiamo raggiunto telefonicamente due donne, Amani e Maram, che hanno raccontato la situazione che vivono sulla loro stessa pelle.
Mentre parlano, si sentono in sottofondo i bombardamenti.
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Bambini siriani piangono in un ospedale di fortuna a Douma, in seguito agli attacchi aerei nel villaggio siriano di Mesraba, nella regione del Ghouta orientale, alla periferia della capitale Damasco, 19 febbraio 2018.(HAMZA AL-AJWEH/AFP/Getty Images)
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Un medico chirurgo
Amani B. è un medico chirurgo e, come altri colleghi, dall’inizio dell’assedio, che dura ormai da cinque anni, lavora in condizioni estreme. “Ogni giorni arrivano nel nostro ospedale circa cento persone, molte delle quali sono donne e bambini. Non riusciamo a curare tutti adeguatamente, manca il personale medico e mancano i mezzi e i farmaci. Questo provoca il peggioramento delle condizioni delle vittime e a volte anche la loro morte. La situazione è altrettanto grave nelle poche strutture sanitarie ancora operative. Vorrei ribadire che queste violenze stanno colpendo i civili, tra le nostre mani muoiono innocenti, non uomini armati. Abbiamo denunciato più volte l’uso di armi chimiche che provocano soffocamento e ustioni che non possiamo curare”.
Da circa venti giorni la popolazione civile è costretta a ripararsi nei bunker sotterranei per sfuggire alla massiccia ondata di bombardamenti, ma lì non ci sono viveri, né acqua potabile. “Il sovraffollamento dei bunker e la mancanza delle minime garanzie igieniche stanno provocando il diffondersi di malattie. La paura e il terrore sono gli stati d’animo più diffusi la gente” ha aggiunto la dottoressa Amani. “Siamo 400 mila civili, circa 100 mila sono i bambini, siamo gente disarmata e pacifica, non siamo noi i terroristi. Ogni giorno vediamo esseri umani a brandelli, è una situazione insostenibile. Vorremmo solo fare appello alle coscienze della gente affinché tutti si mobilitino, non tanto per salvare noi, ma per salvare quel che resta del loro stesso senso dell’umanità”.
Una ragazzina siriana ferita in seguito ai bombardamenti del governo di Assad è curata in un ospedale di improvvisato a Kafr Batna, nel Ghouta orientale, alla periferia di Damasco, il 21 febbraio 2018. (AMMAR SULEIMAN/AFP/Getty Images)
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Madre, insegnante
Tra le sofferenze più atroci a cui è esposta la popolazione civile c’è la malnutrizione, come denuncia Maram, insegnante di inglese e madre. “Siamo circa centocinquanta persone chiuse in un bunker e l’aria è irrespirabile, ma nessuno ha il coraggio di uscire a cercare cibo a causa dei bombardamenti incessanti. I miei bambini, come tutti gli altri, sono stremati. Piangono, hanno fame, sono malati. Il più grande pesa meno di undici chili ed è ridotto pelle e ossa. Mi chiedo perché tutto questo accanimento contro di noi. Persino noi adulti siamo stremati, andiamo avanti mangiando pane raffermo”.
Maram spera che l’Onu o l’Unicef riescano a fare qualcosa, almeno per salvare i bambini. “Tutti sanno”, dice amareggiata, “che qui ci sono donne e bambini. Il regime e la Russia tanno colpendo case, ospedali, negozi, non postazioni militari di Daesh. Non abbiamo più un lavoro, né una casa, ma non vogliamo abbandonare al Ghouta, né la Siria. Questo è il nostro Paese, ma la situazione così è insostenibile. Chiedo a chi può di intervenire sul piano umanitario. Sono una madre e non posso accettare che i miei figli muoiano così”.