Siria, gli obiettivi che la Russia non ha raggiunto
Assad è più forte ma il suo futuro incerto, l’Isis non è sconfitto, sono morti molti civili. Però Putin ora è un interlocutore considerato
Ma siamo proprio certi che in Siria la Russia di Putin — che ha cominciato oggi il ritiro di una parte del contingente militare — con gli oltre novemila raid abbia raggiunto gli obiettivi che il Cremlino aveva dichiarato?
Difesa di Assad
Il primo e probabilmente unico obiettivo davvero assicurato è il salvataggio di Bashar al-Assad e del suo regime.
Su questo non ci sono dubbi. In settembre l’esercito governativo era sul punto di crollare, con oltre 60mila morti e decine di migliaia di disertori. E le roccaforti del nord-ovest a rischio.
Ora, col sostegno decisivo dei bombardamenti dei russi e, a terra, delle milizie sciite irachene, di Hezbollah e degli iraniani, e anche dei curdi di Siria, saldati tutti in questa anomala alleanza con il vicino ortodosso, Assad è sicuramente più al sicuro.
Il futuro incerto di Assad
Ma non si può ignorare che il futuro di Assad resti assai incerto, in un paese profondamente diviso lungo linee settarie, con i sunniti che non si fidano di lui, con i Jihadisti che controllano una parte consistente del territorio e con l’Arabia Saudita, tutte le forze ribelli siriane e probabilmente gli Stati Uniti e la Francia che ancora vorrebbero cacciarlo.
Vittime civili
Certamente fra gli obiettivi di Putin non c’era quello di ridurre al minimo le vittime civili.
Fatto che puntualmente non è avvenuto, perché un’altra delle conseguenze certe dell’impiego massiccio dell’aviazione russa è stato un aumento dei morti fra i civili (le stime parlano di 2000 morti causati dai raid di Putin) e dei profughi, come più volte denunciato dalle varie Ong presenti sul territorio.
L’Isis è ancora lì
Poi c’era l’obiettivo strombazzato di sconfiggere l’Isis e l’estremismo islamico e in generale “il terrorismo”.
Sia l’Isis sia al Nusra sono ancora ben radicati nel paese e tutt’altro che sconfitti.
Le relazioni con la Turchia
Putin ha poi clamorosamente rovinato le relazioni con la Turchia e in particolare con Erdogan.
Loro due, così vicini e accomunati dal protagonismo intollerante dei vincoli dei paesi liberali — per esempio la stampa libera — sono andati pericolosamente vicino allo scontro armato, soprattutto dopo l’abbattimento di un jet russo sul confine fra la Siria e la Turchia.
E, nelle ultime settimane quando è apparso chiaro che i curdi siriani, alleati di fatto di Russia, Iran e delle altre milizie sciite, stavano lavorando per realizzare un enclave territoriale indipendente proprio al confine con il territorio turco.
Il Jet esploso sul Sinai
Va poi ricordato che in novembre del 2015 un aereo carico di turisti russi è esploso in volo sul Sinai egiziano causando la morte di 224 tra passeggeri e equipaggio.
E l’esplosione venne causata da una bomba messa a bordo nell’aeroporto di partenza.
Un atto di terrorismo che è difficile non collegare con l’impegno antisunnita (nei fatti) dei russi in Siria.
Volontà di essere protagonista
Ma forse, il vero obiettivo che aveva Putin -in un mix di rancoroso senso di rivalsa per la sua Russia finita fra le potenze secondarie del mondo e di realpolitik da potenza regionale- era di sentirsi protagonista in uno scenario tormentato; di potersi sedere al tavolo delle trattative con gli Stati Uniti, dai quali tanto si sentiva umiliato dopo l’espansione della Nato nei paesi del Patto di Varsavia; di recuperare un ruolo di credibile interlocutore dopo la fuga in avanti in Ucraina e in Crimea.
Ecco, se era questo l’obiettivo allora probabilmente l’ha raggiunto.
Mossa tattica
Infine, probabilmente Putin ha deciso di uscire dall'impegno siriano prima che si trasformasse in una trappola.
Prima che l'obiettivo di sconfiggere davvero l'isis lo obbligasse a mandare i soldati sul terreno, impantanandosi. Ha deciso saggiamente di evitarlo, esattamente come il rivale Obama che gli osservatori occidentali compiacenti con il Cremlino e desiderosi di machismo a spese altrui continuano a considerare "imbelle".