Siria: le testimonianze di chi resiste
I racconti di chi cerca di vivere una vita normale, nonostante la repressione
“Quando qualcuno è ricoverato in ospedale, anche se la pallottola ha provocato una ferita profonda, è costretto a tornare a casa per la notte perché teme che gli sgherri del regime scoprano che è stato ferito in manifestazione e che quindi lo torturino”. Omar è nato in Italia ma ha ancora tanti familiari di Aleppo che sente quasi ogni giorno. Sono loro a raccontare la quotidianità di migliaia di siriani che da un anno e mezzo cercano di vivere una vita normale, nonostante la repressione. “La paura di molte persone è di finire in galera per motivi che non sono legati alla politica”, mi spiega Omar “un mio conoscente ha subito delle torture per avere insultato il conducente di un’automobile che gli aveva tagliato la strada. Nell’auto c’erano alcuni membri dei servizi segreti e non hanno avuto pietà”.
Vivere una vita normale è difficile anche per Abdullah, uno studente di un villaggio del nord della Siria che frequenta l’università di Aleppo. Da quando sono iniziate le proteste, ha deciso di tornare a casa per scrivere la tesi, invece di rimanere in città. L’università era diventata troppo pericolosa, anche per chi non manifesta. Su Skype mi racconta che “nelle caserme siriane le torture sono sistematiche. I ragazzi vengono picchiati. I più religiosi devono dire di non avere altro Dio all’infuori di Assad, a volte le ragazze sono stuprate”. Le persone vengono rilasciate dopo pochi giorni, per raccontare le loro storie agli altri studenti e scoraggiarli ad esprimere il loro dissenso dal regime. In particolare, confessano alcuni studenti, è meglio evitare di parlare di politica con gli studenti di Tartus e Latakia. Sono queste le città in cui c’è una forte presenza di alauiti: la confessione religiosa da cui provengono molti dei quadri dirigenti del regime.
Aya vive a Bologna, ma ha deciso di aiutare i bambini che sono rimasti orfani in Siria. Molti hanno perso i loro genitori, uccisi durante le rivolte, e faticano a sopravvivere. “Spesso i bambini che si trovano nei quartieri dove sono avvenuti gli scontri vengono caricati su una camionetta e lasciati in mezzo alla strada”, mi spiega Aya “per le altre famiglie è difficile prendersi cura di loro senza rischiare ripercussioni, così abbiamo deciso di iniziare un progetto per l’adozione a distanza degli orfani della rivoluzione ”. Ad aiutarla ci sono tanti attivisti siriani che assistono questi bambini nel loro paese, nonostante il clima di insicurezza e paura.
I bambini sono le prime vittime della repressione, anche per quanto riguarda i sequestri. Negli scorsi mesi Assad ha concesso l’amnistia a migliaia di detenuti, spesso criminali comuni, e così sono iniziati i rapimenti. “Nei quartieri più benestanti delle grandi città la gente ha paura” mi racconta Aya “ perché ci sono bande armate che rapiscono i bambini e chiedono il riscatto”.
C’è anche chi ha perso i parenti nella rivolta. È il caso di Adam, membro dell’associazione Insaan Watch , che raccoglie i nomi e le storie di tanti siriani dimenticati, verificando la veridicità delle notizie sul campo. “Lo scorso dicembre eravamo in piazza nella mia città nel sud della Siria”, mi racconta, “i ragazzi erano in prima fila e vicino a me c’era mio cugino. I militari gli hanno sparato in testa e lo abbiamo portato all’ospedale. Una parte del suo cervello è stata danneggiata e ora non si può più muovere. Ha due figlie e faceva il sarto, ora la sua famiglia si deve prendere cura di lui perché lo Stato non lo aiuta”. Il suo caso, secondo il regime siriano, non esiste poiché “In ospedale ha dovuto firmare un documento in cui dichiarava di essere stato ferito durante una rissa”.
Negli ultimi giorni la rivolta si è spostata a Damasco. La città era stata risparmiata dai combattimenti, ma ora i ribelli combattono tra le vie della capitale. Basterà questo a decretare la fine di Assad? Nella capitale siriana c’è chi dice con un certo fatalismo: “cadrà il regime ma sarà distrutta anche Damasco” e teme che la dittatura di Assad intenda resistere con ogni mezzo. Dalla collina su cui si trova il palazzo del presidente e dalla montagna che domina la capitale siriana,i testimoni raccontano che si possono vedere le colonne di fumo che coprono la capitale. È questa la fotografia di una rivolta mai così vicina al cuore di un regime che ora rischia davvero di avere i mesi contati.