Quel pasticcio all'italiana della sospensione dei termini
La Rubrica - Lessico Familiare
La questione parrebbe riguardare solo gli addetti ai lavori, ma in realtà coinvolge una vasta platea di cittadini, tutti quelli che hanno in corso procedimenti di separazione, divorzio, regolamentazione di figli naturali avuti durante una convivenza, insomma tutti i procedimenti che riguardano il c.d. diritto di famiglia.
Andiamo con ordine: tutti sappiamo che i processi sono scanditi da termini e udienze. Già nel 1941 un Regio Decreto, per consentire ai magistrati (e agli avvocati) di godere di un periodo di riposo, ebbe a stabilire che, in estate, l’attività giudiziale dovesse essere sospesa.
Originariamente il periodo interessato era più amplio poi, con successivi interventi normativi, è stato ridotto dal 1° e il 31 agosto. Questo significa che, fuori da determinate materie e da casi di conclamata urgenza, nel citato periodo non vi sono scadenze di atti, udienze, termini di impugnazione.
Agosto, Tribunale mio non ti conosco.
Senonché, qualche settimana fa, dagli studi legali che si occupano di diritto di famiglia si è levato un grido di stupore, un ‘no’ prolungato unito ad imprecazioni assimilabili a quelle espresse dopo l’errore decisivo di un rigore in una finale mondiale.
E’ stata infatti resa nota l’ordinanza della Corte di Cassazione del 23 giugno 2023 con cui gli Ermellini hanno dichiarato che la sospensione feriale dei termini non si applica alle cause che abbiano ad oggetto alimenti, articolando le motivazione in un legalese tale da coinvolgere anche i procedimenti di separazione, divorzio e assimilati.
Questo significa che, ferie o non ferie, dal 1° al 31 agosto per avvocati, magistrati e parti di questi giudizi non esiste pausa: bisogna depositare memorie, fare udienze, espletare tutta quell’attività connessa alla difesa, senza soluzione di continuità.
“Scusi Signora, so che è in vacanza a Viserbella con i figli, ma dovrebbe tornare perché c’è un termine il 16 agosto per produrre documenti, sottoscrivere un mandato, e concordare la lista dei testimoni”: questo è quello che accadrà.
La disperazione degli avvocati è però secondaria rispetto a quella dei giudici i quali, fin dal giorno successivo alla sciagurata notizia della sortita della Cassazione, hanno chiarito a mezza voce di non voler nemmeno considerare l’abolizione della sospensione feriale.
E così sono fioccati provvedimenti ‘a nastro’ in cui i magistrati di ciascun Tribunale, nel concedere determinati termini processuali, hanno espressamente esonerato le Parti dall’applicare l’ordinanza della Suprema Corte.
In pratica: assegno questi termini ma chiarisco fin d’ora che io – Giudice – aderisco alla sospensione feriale (sottinteso: non depositatemi nulla ad agosto).
Da ultimo sono intervenuti i Tribunali nella loro collegialità: Parma e Roma, per esempio, che hanno sottoposto ai raggi X l’ordinanza della Cassazione interpretandola restrittivamente, di fatto statuendo con appositi comunicati che questa non sarebbe applicabile ai procedimenti di separazione e divorzio.
Il 25 luglio scorso, poi, l’Organismo Congressuale Forense ha fatto appello al Ministero della Giustizia, perché intervenga immediatamente, nel rispetto del percorso di collaborazione intrapreso con l’Avvocatura, ed emani al più presto un provvedimento normativo per fare chiarezza sul punto.
Il colmo è che anche la politica sta per andare in ferie – se non lo è già - e, quindi, se ne parla a settembre, quando metà dei legali avranno depositato memorie e appelli in agosto e l’altra metà eccepirà decadenze e prescrizioni, scatenando un putiferio nelle aule.
Insomma, un pasticciaccio all’italiana che nasce – come sempre – dalla mancanza di chiarezza delle sentenze e dal mancato raccordo tra poteri.
E nelle pesti ci finiscono i cittadini unitamente a chi, tra mille difficoltà, riforme impreviste e tutt’altro che semplificatorie, cerca di sopravvivere a una giustizia che proprio non riesce a essere chiara, semplice, fruibile.