Specchietti per ruminanti
In questa storiella c'è uno col Pizzetto, un calcolo sbagliato, uno specchieto rotto, una frattura ideologica e un risarcimento autobiografico. Tutto per duecento euro. E come premio il titolo di un bel film.
"La vita, come commentario di un’altra cosa che non afferriamo, e che è lì all’altezza del salto che non spicchiamo.
La vita, un balletto su un tema storico, una storia su un fatto vissuto, un fatto vissuto su un fatto reale."
Julio Cortazar, Il gioco del mondo
Sto arrivando, mancano sei isolati e arrivo a scuola, parcheggio, prendo le bimbe e mi accompagnano dal dentista. Due anni di succo di limone ogni mattina hanno reso lo smalto dei miei denti poroso come un panno vileda; mate, caffè, vino rosso e qualche sigaretta occasionale hanno fatto il resto, così ho deciso di stemmetere. Col limone.
Guido e rumino pensieri, e non tanto per dire. Penso alle vacche findelmondane dagli occhi fermi, sereni o profondi o serena e profondamente ignoranti, gambe possenti ancorate a terra, che muovono la mandibola in senso orario come faccio io per evitare il clak temporo mandibolare.
Faccio attenzione, davanti a me una macchina di scuola-guida va lento, inchioda, sorpassa una macchina in doppia fila, metto la freccia (se non metti la freccia sei una troia), sorpasso anche io e sento un rumore secco, come di ramo spezzato. Guardo lo specchio retrovisore, poi il mio specchietto, ma niente. Avrò pestato un ramo o mi avranno buttato qualcosa, sarà caduta una castagna o sarà il rumore delle famose fratture ideologiche dopo tanto ruminare.
Sono a tre isolati da scuola quando la macchina in doppia fila mi affianca al semaforo, e uno con capelli corti, pizetto e due auricolari bluetooth bianchi, che gli pendevano una da ogni orecchio come tubi da sgorgo, abbassa il finestrino e urla:
- E va bene che mi rompi lo specchietto, ma scappare no, dai…-
Mi giro e lo guardo con la faccia di vacca ruminante quale ero e tento di capire se era un amico che mi faceva uno scherzo, ma impossibile. Guardo il suo specchietto ed era rotto. Allora non erano fratture ideologiche.
- E chi scappa?- dico io - Scostiamo. -
Dai pizzetto, scostiamo. E modera i termini che qui la regina del dramma findelmondano per eccellenza, quella cresciuta a dulce de leche e telenovelas, sono io. “Scappare” a me per uno specchietto, pizzetto, non me lo dici.
Scendiamo dalle macchine, saliamo sul marciapiede, ma non abbiamo niente da accarezzare e guardare attentamente, con un mix di rabbia e sconforto, come fanno tutti negli incidenti, perché lo specchietto rotto è rimasto del lato della strada. Allora Pizzetto mi guarda e rincara:
- E no, eh, perché va bene tutto, eh?, ma scappare.. dai, su! -
- Ma smettila con questa cosa di scappare. - Pizzetto - Non me ne ero accorta. Ti chiedo scusa. Facciamo la costatazione? Devo prendere le mie figlie a scuola.
- No, guarda, lo so che è uno specchietto di merda, ma la macchina è nuova. Se facciamo la costatazione sale il premio. - Mi chiedo cosa fa uno ad avere un'assicurazione allora - Mio padre è carroziere, dammi duecento euro e siamo a posto.
C’è un lampo di luce dato dal dubbio negli occhi della vacca al pascolo. Lo trovo troppo organizzato per un fortuito incidente stradale. Allora vado a controllare il mio specchietto (c’era qualcosa da guardare e carezzare, c’era!), e sì, era rigato e mezzo chiuso, un po’ storto. L’avevo preso allora, Pizzetto.
- Va bene, non li ho qui. Dimmi dove, e te li porto domani, ti lascio i miei dati.
Mentre gli parlo vedo che ha del gel sui cappelli corti e irti. Ma Pizzetto mi interrompe l’osservazione quando, tentando una espressione sarcastica, ridacchia. He he he, ho gel e pizzetto, petto in fuori, un metro quaranta d’altezza, auricolari bluetooth bianchi che mi grondano dalle orecchie, parcheggio in doppia fila, inseguo una donna per uno specchietto, la accuso di fuggiasca, ma non sono un coglione, bimba, che ti sia chiaro, sembra dire con la sua risatina
- E no no no, domani no. He he, mi rompi lo specchio, scappi…-
- Aridangate con scappi. Va bene, allora facciamo la costatazione.
Dico tirando fuori il telefono per chiedere a una amica di dire alle mie tre figlie che non le ho abbandonate, ho solo inciampato con mammolo, e per chiamare al dentista per dire che mi tengo i denti macchiati fino al prossimo appuntamento, quando Pizzetto propone di fare un bancomat. Va bene, vai tu mammolo che ti seguo perché non so dove c’è un bancomat qui.
Nel tragitto mi è venuto un leggero timore che fosse un ladro o qualcosa, ma poi pensavo alla sua faccia e mi rassicuravo. Se lo mangiano a colazione, i ladri.
Parcheggiamo male coprendo passo carrai e furgoni di consegne, metto le quattro frecce (una santa) e attraverso. Arrivo al bancomat e pizzetto mi segue.
- Ma cosa fai? - Mammolo - Dove vuoi che vada che la mia macchina è là? Vai e tieni calmi i furgoni che siamo parcheggiati malissimo. Faccio il bancomat e arrivo.
E’ ubbidiente però, gira sui tacchi e va. Prelevo e torno in macchina, mi siedo, abbasso il finestrino, e gli do i duecento euro. Lui sente un po’ d’imbarazzo. Mi porge la mano e dice:
- Giacomo - per dire.
Le stringo la mano e quando sento che è sudaticcia e molle gliela stritolo.
- Mercedes -
- Non sei italiana - dice lui socchiudendo gli occhi nel tentativo di un’espressione perspicace.
- Sei un genio - dico mentre sciolgo la stretta. Gli mancava solo la battuta per il nome automobilistico.
Se ne va. Dopo due passi si gira e dice in tono paternale:
- La prossima volta, Mercedes, stai più attenta però, va bene? -
Gli avrei stretto la testolina fino a vedere la sostanza grigia uscire dalla cannuccia degli auricolari bianchi, una specie di reset, un dono ai suoi parenti di primo grado, per il barista vicino a casa sua, pizzetto con la testa vuota tutto da riprogrammare. Ma mi sarebbero rimaste le mani piene di gel.
- Vai a fare il maestrino a tua nonna - Pizzetto - Chiamerei i vigili e vediamo se con la macchina in doppia fila l’assicurazione ti copre lo specchietto. Mi insegui, ti chiedo scusa, lascio tre bimbe fuori da scuola e arrivo tardi dal dentista a sbiancare i miei palettoni perché sei così disperato per i duecento euro che non puoi attendere fino a domani, li cerco e te li do. Ma non mi fare il maestrino. Vai tranquillo e contento e fai qualcosa di buono, porta fuori a cena tua moglie per esempio. -
E me ne sono andata.
Lo so, è inutile rispondere, forse mammolo aveva le cannucce alle orecchie con lo zecchino d’oro a palla e non mi ha nemmeno sentito. Ma non ho risposto perché sentisse lui. Ho risposto per risarcire me di quelle volte nelle quali sono stata zitta. E non per buona, ma per confusa. Per quella propensione a sentirmi nel torto e chiedere scusa, come quando una moto d’acqua mi investì mentre scrivevo con un bastone un nome sulla sabbia, e io aiutai il pizzetto di turno che, volendo fare lo splendido, ha perso il controllo del suo mezzo andando a finire sulle mie ginocchia e si è incagliato nella sabbia. Lo aiutai a spostare il mezzo in acqua, e quando era seduto sopra la moto pronto per ripartire disse: “prossima volta stai attenta, però!”. Rimasi con i miei quindici anni, il bastone in mano e le ginocchia doloranti sulla battigia a guardarlo mentre se ne andava, guardavo con occhi di vacca incredula. Ogni tanto qualcosa mi sorprende e torno là.
Ma questa volta ero pronta, pensavo mentre andavo a prendere finalmente le bimbe, ma non riuscivo a capire come. Poi ricordai. Avevo visto il film Pianeta Verde di Colling Serrau, film francese del anno ’96, e ho ripetuto la scena dello specchietto quando lui dice, dopo aver chiesto scusa in tutti i modi, “E’ terribile, pancione, quello che ti è successo, è terribile!”
Mi domando se ero pronta perché avevo visto il film, o se in cambio c’è una parte di me che si ispira a ciò che vede, impara, e per farmi guarire, ripete a mia insaputa.
Le bimbe salirono in macchina e tra canti e il racconto di Pizzetto e lo specchietto arriviamo dal mio dentista, il Raikkonen dell’estrazioni doppie dei denti dei giudizio, dove loro hanno disegnato sui fogli mentre l’igienista mi lucidava i dentoni.
Siamo tornate a casa, ormai era buio e freddo, la giornata arrivava alla fine e nel bilancio avevo duecento euro in meno da una parte e dall’altra, a compensare, il calore di casa mia (tanto che è ancora piena di zanzare) il profumo di soffritto, che come sanno bene in napoletani, è la premessa dei momenti che scaldano il cuore e la pancia, profumo che accompagna conversazioni sincere in cucina, un malbec, un sorriso splendente, tre bimbe che cantano, suonano e raccontano le vicissitudini della vita che inizia a muoversi tra gli altri; avevo una utopia da pianeta verde, e la capacità di rispondere, dopo aver chiesto scusa se ho commesso un errore, ai momenti-pizzetto della vita.
Forse alla fine il rumore era di frattura ideologica, e duecento euro per un risarcimento autobiografico non sono niente.