Stato-mafia: un papello leggendario
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Stato-mafia: un papello leggendario

Manca il foglio originale con le richieste dei boss. Mancano i riscontri calligrafici. E sulla data esatta del papello i pentiti si contraddicono. Perde un altro pezzo l'ipotesi accusatoria della procura palermiatana

Il pentito Giovanni Brusca, interrogato venerdì 1° febbraio a Rebibbia durante l’udienza preliminare palermitana sulla trattativa Stato-mafia, accusa Nicola Mancino di essere stato il destinatario del «papello». Il papello, è un foglio di carta con 12 frasi che per la procura di Palermo, contiene le richieste dei boss allo Stato. È la fotocopia di una copia, consegnata ai magistrati della Procura di Palermo il 14 ottobre 2009 dai legali del figlio di Vito Ciancimino, Massimo. Una copia viene anche consegnata alla procura di Caltanisetta, tramite fax da una ricevitoria di Bologna.  L’originale non c’è. Ma per i magistrati di Palermo questo foglio sarebbe il suggello della trattativa fra Stato-mafia.

La polizia scientifica ha repertato questa copia su mandato della Procura di Palermo,  comparando la grafia di 27 boss fra cui Gaspare Lo Nigro, Antonio Cinà, Piero Aglieri Leoluca, Bagarella, Francesco Bonura, Giovanni Brusca, Tommaso Cannella, Leoluca Di Miceli, Carmelo Gariffo, Vincenzo Giammanco, Antonino Giuffrè, Marianna Impastato, Arturco, Cinzia e Giuseppe Lipari, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Totò Riina con i figli Giovanni e Giuseppe e Maria Concetta, Antonino Rotolo, Giacinto Sciacca, Carlo Greco, Giuseppe Madonia, Giovanni Mercadante e Bernardo Provenzano.

La risposta arriva il 3 giugno 2010: “Le comparazioni con le restanti scritture hanno dato esito negativo”. Quindi il papello non ha paternità.  

Il 20 ottobre 2009 Mario Mori, nel processo cui lo vede indagato per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, dichiara al tribunale di Palermo che non c’è mai stata alcuna trattativa tra la mafia e lo Stato, e in una intervista successiva smentisce di aver mai ricevuto dalle mani di Ciancimino, né di alcun altro, il presunto papello, preannunciando azioni legali in merito.

A parlare per primo del papello è stato proprio Giovanni Brusca: ne rivela l’esistenza nel settembre 1996, nell’aula bunker di Rebibbia davanti ai magistrati di Palermo, di Caltanissetta e di Firenze.  Il pentito secondo il racconto di Francesco Viviano, che su La Repubblica titola il 20 settembre 1996 Delitti eccellenti e trame di Stato, avrebbe rivelato che “nell’agosto del 1992 quando l’allora governo presieduto da Giuliano Amato prese delle dure contromisure nei confronti dei mafiosi contemporaneamente sarebbe partito un tentativo di trattativa tra spezzoni dello Stato e lo stesso Riina”.

Brusca sostiene che attraverso alcuni mediatori siciliani, schegge degli apparati istituzionali, avrebbero sondato il capo di Cosa nostra per sapere a quale prezzo sarebbe stato disposto a cessare le stragi. Riina avrebbe elaborato un "papello" e cioè un elenco di richieste: “La sospensione del carcere duro, un ridimensionamento dell' uso dei pentiti, la garanzia di aggiustare i processi".

Ma Brusca, a distanza di anni fornisce diverse versioni davanti ai magistrati sul leggendario “papello”,  soprattutto sulla sua datazione storica.   Il 27 marzo 1997, ancora Viviano, con l’articolo Riina trattò con lo Stato, su La Repubblica fornisce altri elementi importanti del verbale d’interrogatorio nell’aula bunker di Brusca.  Ecco il corpo del testo: “Dopo le stragi di Capaci e di via D' Amelio, Totò Riina presentò il papello, una sorta di conto e condizioni e "qualcuno si fece vivo". Secondo Brusca gli attentati di Falcone e Borsellino "si dovevano fare, però l' occasione fu sfruttata a livello politico per dire: se non la smettete ora noi continuiamo a fare altre stragi e secondo me è nato questo contatto, cioè il famoso contatto del papello".

E il 30 luglio del 1997, sempre su quell’interrogatorio di Brusca a Roma, su La Repubblica a firma di Marina Garbesi, dal titolo Uccidevamo i suoi rivali ma poi Andreotti ci tradì,  emerge che “Brusca cita un 'famoso papello' , una carta di richieste vergata da Totò Riina da presentare alle "autorità" dopo la strage di Falcone nel maggio del '92. Non entra nel dettaglio Brusca, le indagini sono ancora in corso, ma si apprende che il papello riguardava una revisione del carcere duro per i boss e una riforma della legge sui pentiti.

Quindi il papello è collocato non più dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, ma a maggio 1992.

Durante il processo di Firenze sulle stragi del 1993, il 13 gennaio 1998, lo “scannacristiani” di  San Giuseppe Jato viene sentito dai magistrati toscani e sul “mitico” papello aggiusta il tiro  sia sulla datazione storica e  sia sugli interlocutori.  “L’obiettivo era quello di  costringere lo Stato ad accettare le richieste di Cosa nostra: una trattativa sotterranea sarebbe stata avviata dopo l'uccisione di Giovanni Falcone". "Si sono fatti sotto - avrebbe detto Toto' Riina a Brusca nell'estate 1992 -, gli ho presentato un "papello" (un conto da pagare, n.d.r.) di richieste lungo così e ora aspetto una risposta". "Non so chi c'era dall'altro lato del tavolo, Riina non me l'ha detto - ha affermato Brusca -, non so se si tratti di magistrati, poliziotti, carabinieri o massoni. Conoscendo chi gravitava intorno a Riina, posso dire però che la persona che può aver stilato il "papello" potrebbe essere il dottor Antonino Cina' (medico di Riina ndr), forse con Ciancimino o altri”.

Quindi, nel 1998 Brusca, dichiara che il papello viene vergato dopo l’uccisione di Falcone e con magistrati, poliziotti, carabinieri o massoni.  Nel 2009 davanti ai magistrati siciliani, al Tribunale di Palermo, rivela che: “Nell' estate del 1992, tra la strage di Capaci che uccise Giovanni Falcone e quella di via D' Amelio dove morì Paolo Borsellino, la mafia trattò con lo Stato. Da una parte Totò Riina, dall' altra «un uomo delle istituzioni». Riina mi disse il nome dell' uomo delle istituzioni con il quale venne avviata la trattativa con Cosa Nostra, attraverso uomini delle forze dell' ordine”. Il pubblico ministero gli chiede di rivelarlo ai giudici, ma il pentito ribatte: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere; vi sono indagini in corso e non posso rivelare nulla”. E a alla domanda del penalista Piero Milio, durante il controesame, su dove avesse visto il papello, Brusca risponde candidamente: “L’ho dedotto... no l’ho dedotto, l’ho letto su La Repubblica”.

L’ultima dichiarazione oggi nell’aula bunker del carcere di Rebibbia all’udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia. Il destinatario del papello, sarebbe Nicola Mancino, e ridata il papello, “dopo la strage di Capaci e prima di via D’Amelio”.

Le varianti di Brusca, rese a verbale e poi ritrattate sulla collocazione storica del papello, e su i nuovi interlocutori della presunta trattativa fra Stato e mafia, che si affacciano via via sulla scena come un canovaccio teatrale sono pittoresche e suggestive. Se non fosse che vengono dichiarate in un’aula di giustizia da parte di un sedicente “pentito”, il macellaio della strage di Capaci, ritenuto credibile dalla Procura di Palermo, che oggi davanti al gup Morosini, proclama: “Totò Riina è il mio maestro d’arte”.

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Anna Germoni