Stefano Fassina: Renzi, cacci i dissidenti come il vecchio Pci?
Per l'econominista "rosso" con curriculum al Fmi sarebbe surreale l'espulsione di chi non ha votato a favore per il Jobs act
Stefano Fassina ("Fassina chi?", come lo apostrofò Matteo Renzi), dopo la laurea alla Bocconi, a 34 anni era già volato dalla sua Nettuno a Washington, nella stanza dei bottoni del potere economico mondiale. Al Fondo monetario internazionale (Fmi) lavorò come consulente fino a 39 anni, l’età del premier. Non solo per i ferrei principi di una sinistra ancora "rossa", ma è anche in virtù di un curriculum del genere, ottenuto venendo da una famiglia povera, che l’ex viceministro all’Economia, dimessosi proprio dopo quel "Fassina chi?", tiene botta al segretario-premier.
I fedelissimi di "Matteo" hanno minacciato espulsioni per i senatori civatiani che non hanno votato il Jobs act. Fassina in questa intervista, replica a muso duro: "Non parli di disciplina chi contribuì al caos sull’elezione del capo dello Stato". Invita il segretario-premier a non fare "come il Pci che radiò il gruppo del Manifesto: sarebbe surreale". Ammette: "Sono deputato, ma se fossi stato senatore avrei fatto come i civatiani". Annuncia: "Se il provvedimento non cambia io alla Camera non lo voterò, uscirò dall’aula".
Onorevole Fassina, il moderno Pd renziano è come il Pci che cacciò Rossana Rossanda e tutti gli altri del Manifesto?
Mi pare che saremmo davvero in una dimensione surreale se si cercasse di affrontare i problemi politici attraverso misure disciplinari.
E però qui renziani spinti come Roberto Giachetti sembrano invocarle e lo stesso vicesegretario Lorenzo Guerini le ha fatte balenare…
Ritengo che sarebbe un fatto grave, anche perché questo richiamo alla disciplina viene da coloro che ad aprile 2013 non solo non rispettarono le indicazioni del partito e del gruppo parlamentare, ma operarono attivamente per allargare l’area del dissenso rispetto all’elezione del presidente della Repubblica.
Sta accusando i renziani di aver fatto parte della famosa carica dei 101?
No, ma sto dicendo che erano nella carica di quelli che non votarono Franco Marini e così contribuirono al caos di quei giorni. Fino alla bocciatura di Romano Prodi e al sacrificio di Giorgio Napolitano per un secondo mandato. E l’elezione del capo dello Stato non mi pare proprio una questione di coscienza. Quindi parlare ora di disciplina di partito mi sembra davvero singolare. Ma trovo singolare anche un’altra cosa…
Prego?
Ecco, come si fa a chiamare questo partito "comunità" e poi, invece di organizzare un appuntamento per ascoltare i responsabili territoriali, si fa una riunione di corrente alla Leopolda?
Si riferisce all’appuntamento dato da Renzi il 25 ottobre a Firenze?
Sì, invece di convocare i coordinatori di circolo, Renzi fa la sua assemblea di corrente alla Leopolda.
Ma non sarebbe anche singolare che i dissidenti del jobs act vadano in piazza il 25 ottobre con la Cgil dopo che la gran parte di voi al Senato ha votato per "senso di responsabilità" quello stesso documento del governo?
Io quel provvedimento non l’avrei votato, e se rimane così non lo voto alla Camera.
Ha paura di essere cacciato da Renzi?
Io cerco di essere coerente con il mandato che gli elettori ci hanno dato. Sono stato eletto in parlamento con un programma che prevedeva di contrastare la precarietà e di non attuare, proprio noi, la piattaforma della destra, dei conservatori europei e italiani che aggrava la precarietà.
Ma Renzi non ha scontentato anche il centrodestra?
Non è vero, sono le misure che Maurizio Sacconi (Ncd, ex ministro Pdl) ha sempre cercato.
Non le sembra più democratico Silvio Berlusconi che i suoi dissidenti, anche dopo lo scontro con Raffaele Fitto, non li espelle?
Ritengo che anche nel Pd ci sia attenzione alle posizioni diverse. Il punto è che i riflessi d’ordine non funzionano da nessuna parte. Si devono affrontare i nodi politici. Il problema per quello che ci riguarda è che un’area importante del Pd, di iscritti e elettori, non comprende questa virata liberista e conservatrice sul lavoro.
Però, a forza di non riformare mai, la sinistra si trova poi in queste condizioni. Non crede che qualche errore in passato sia stato commesso?
Gli errori certamente sono stati fatti, ma questa è una regressione, non è una riforma. Riforma è quando si migliorano le condizioni delle persone. Fare riforme significa ad esempio trovare risorse per finanziare gli ammortizzatori sociali per i lavoratori precari. Fare riforme vorrebbe dire avere il coraggio di un forte allentamento del patto di stabilità per ridare ossigeno all’edilizia e all’artigianato. La delega lavoro invece oltre ad essere profondamente iniqua aggrava la recessione.
Lei sarà in piazza il 25 con la Cgil?
Dipende da quando riusciamo a correggere la legge delega. Ma se non viene corretta come chiediamo, io in piazza con la Cgil ci vado.
Pier Luigi Bersani, al quale lei è molto vicino, avrebbe votato sì al Senato.
Io invece non avrei partecipato al voto. Ho una posizione diversa. Non dobbiamo essere subalterni a una svolta conservatrice che aggrava la recessione.
Bersani dice che lui anziché accoltellare preferirebbe prendersi una coltellata, alludendo a Renzi. Lei?
Io punto sempre agli abbracci.
Sorride, l’economista rosso, mite ma ferreo, che mentre Renzi doveva ancora cominciare era già nelle stanze dei bottoni di Washington.