Storie di ordinaria follia italiana
Il taglieggiamento fiscal-burocratico e la surreale vicenda di un edicolante, specchio di un'Italia che va a picco
Un paese bloccato, ingessato, ibernato. Ovunque mi giri incontro persone che mi raccontano la loro piccola grande storia di calvario burocratico, di autorizzazioni e permessi e traversie attraverso gli uffici pubblici. Storie di ordinaria follia cartacea, di profonda incomprensione tra Stato e cittadino. Ultimo della serie, il mio edicolante. Una persona per bene, mite, precisa. Anzi, scrupolosa. Uno che pur di non avere un problema col Comune o col fisco sarebbe disposto ad accettare torture e crudeltà. E pagare sempre.
Il dato complessivo è 38. Gli anni che ha impiegato per mettersi in regola con tutte le leggi e i cavilli. Trentotto anni nei quali è stato più o meno un irregolare. Ma con una gran voglia, per natura, di osservare le regole e pagare le tasse. Tant’è che è rimasto sempre aperto, in 38 anni, senza che le mancate autorizzazioni inducessero le autorità a mettere i sigilli al suo chiosco. Mi ha raccontato che non avendo oliato gli ingranaggi, alla fine la situazione si è sistemata insieme a quella di altre decine di giornalai, grazie a una sanatoria e al coinvolgimento dell’associazione di categoria. Una volta è aumentata la tassa sul suolo pubblico e l’avviso di pagamento gli è stato consegnato alla vigilia di Natale ben oltre la scadenza del 2 dicembre. Ha dovuto pagare. E ha pagato tutte le volte che non arrivavano i permessi che chiedeva. Una bella tassa (in senso sarcastico) è stata quella applicata all’occupazione dello spazio aereo. Sì, avete sentito bene. Ci sono edicole che presentano sui lati una sporgenza minima di tendaggi per proteggere il cliente dal sole d’estate e dal gelo d’inverno. E su quella sporgenza pagano un balzello ad hoc che rientra nella fruizione della tenda come pubblicità (ancorché non vi sia più un solo strillo di propaganda come una volta). Per una vecchia consuetudine. “Avrei dovuto noleggiare un aereo per fare foto dall’altro. Me la sono cavata alla bene e meglio”. Sempre ce la caviamo alla buona, ovviamente dietro pagamento di ogni tipo d’imposta.
Un continuo, scientifico taglieggiamento fiscal-burocratico. Mi racconta l’amico edicolante che una volta gli sono stati chiesti sei documenti, lui li ha raccolti e portati allo sportello, dove una signora che aveva l’aria di non sapere di cosa si stesse parlando ha sfogliato invano la documentazione, consultato una specie di manuale e poi candidamente detto che così non andava bene, senza spiegare perché. Ma gli stessi documenti sono stati poi timbrati e protocollati da quella stessa impiegata quando li ha riportati un conoscente autorevole del mio amico, che li ha debitamente presentati con l’aria dello “stia attenta che se non li timbra le faccio passare un guaio coi suoi capi”.
Il mio amico potrebbe stare le ore a raccontarmi la sua storia d’amore (e odio) con la burocrazia. Ma anch’io ho qualcosa da raccontargli. La storia di un altro mio amico che in un’isoletta del sud si è trovato a rimettere a posto una proprietà di campagna. Voleva piantare un uliveto. Be’, lo volete sapere? Non ha ottenuto l’autorizzazione per via degli uccelli migratori. Sì, pare che non stia bene fargli trovare (agli uccelli) un po’ di alberi nuovi: i migratori potrebbero disorientarsi. Ops! Che cos’è successo qua, dove mi appoggio per una pennichella? Allo stesso modo il mio amico non ha potuto delimitare la proprietà col classico muretto a secco pietra su pietra. Perché? È un manufatto. Rimedi? La proprietà va recintata con una siepe. Tombola!
E poi ci stupiamo che l’Italia vada a picco.