Stromboli: l'eruzione del 1930 | foto
Vi furono 5 morti e 20 feriti, oltre ad un'onda di tsunami. Fu anche peggiore di quelle del 1343 e del 1919
La notte tra il 10 e l'11 settembre 1930 il vulcano Stromboli si svegliò tra boati e forti scosse sismiche. Nel buio dell'isola delle Eolie ancora accarezzata dai venti della tarda estate, gli abitanti delle case più esposte alla minaccia di "Iddu" (come veniva chiamato nel dialetto isolano il vulcano) furono evacuate frettolosamente.
L'esplosione, una delle più violente mai registrate nella la storia del vulcano, avvenne attorno alle 10 del mattino dell'11 settembre, quando diversi abitanti dell'isola si trovavano nelle campagne. L'eccezionale eruzione fu in grado di raggiungere anche chi si reputava al sicuro dalla pioggia di massi e fuoco. La maggior parte delle vittime e dei feriti di quell'eruzione si registrò negli abitati di Ginostra, ma soprattutto a San Vincenzo e San Bartolomeo nella zona settentrionale dell'isola. La colata lavica dal fronte di 50 metri, pur importante, non fu il fenomeno che causò la maggior parte delle vittime. Fu piuttosto un'improvvisa e violentissima fuoriuscita di un'onda di gas, cenere e lapilli infuocati che si sprigionò improvvisamente da una fenditura sul fianco del vulcano ad investire la zona abitata, senza che i presenti potessero avere alcuna possibilità di scampo. Le coltivazioni, le vigne, gli arbusti e le case dei due piccoli villaggi finirono inceneriti in pochi istanti. Sulla roccia scura e ricoperta da uno spesso strato di ceneri giacevano i corpi carbonizzati di Maria Famularo e di sua figlia, abbracciate nell'istinto di proteggersi a vicenda. A poca distanza, nelle acque di fronte a San Vincenzo giaceva annegato il pescatore Giuseppe Tropi, forse colpito da uno dei massi (il cui peso arrivò a superare i 150 kg.) scagliati dalla bocca infuriata dello Stromboli, o forse colto dal violento tsunami che l'eruzione provocò e che raggiunse anche le coste calabresi. Le altre due vittime erano un uomo e una donna: Salvatore Saltalamacchia e Concetta Mirabile. Quest'ultima risultava dispersa e con tutta probabilità il suo corpo fu inghiottito dalla massa di cenere, lava e massi.
I feriti erano una ventina, le case danneggiate gravemente altrettante. I soccorsi partirono il giorno stesso dalla vicina Lipari, su un motoscafo veloce Mas con a bordo il Console della Milizia e 30 uomini. Dal porto di Messina salpava poco dopo il cacciatorpediniere Giuseppe Sirtori, con il compito di inviare personale sanitario ed evacuare i feriti più gravi. Mentre le operazioni di assistenza alla popolazione di Stromboli erano in corso, la furia di "Iddu", liberatosi con forza eccezionale dal tappo che ne ostruiva la bocca di fuoco, si calmò. Gli abitanti delle sue pendici e dei villaggi dell'isola eolica continuarono a fissarlo nelle ore successive, sgomenti. Non tanto per la furia che il vulcano aveva scaricato contro di loro, ma perché erano consapevoli del fatto che molti di loro avrebbero lasciato le proprie case raggiungendo i parenti emigrati in America o in Australia.
L'eruzione del 1930 fu simile a quella violentissima che la precedette di alcuni anni, quella del 23 maggio 1919, caratterizzata da un maremoto che durò 10 lunghissimi minuti e causò 3 morti e 15 feriti. Tornando indietro di circa sei secoli nella storia del vulcano, le cronache riportano alla devastante eruzione del 25 novembre 1343, quando la forza dell'esplosione causò il crollo del fianco Nord-occidentale dello Stromboli. In quei giorni a Napoli, a 200 chilometri dall'isola siciliana, si trovava Francesco Petrarca che fu testimone di una eccezionale tempesta e dal violento maremotoproveniente da Stromboli, che raggiunse e sconvolse il porto partenopeo. Per l'effetto devastante di quell'evento'isola delle Eolie rimarrà spopolata fino all'inizio del '600. Petrarca lasciava questa preziosa testimonianza scritta della terribile calamità:
«Aperta la finestra che guarda verso occidente Vidi la luna avanti a mezzanotte nascondersi dietro il monte di S. Martino, con la faccia piena di tenebre e di nubi».
«Era pieno tutto quello spatio di persone affogate o che stavano per affogarsi: chi con la testa, chi con le braccia rotte e altri che uscivano loro le viscere, nè il grido degli uomini e delle donne che abitavano nelle case vicino al mare era meno spaventoso del fremito del mare».