Il suicidio di Leelah Alcorn
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Il suicidio di Leelah Alcorn

Cosa ci insegna la morte del giovane transgender, ucciso da una società senza rispetto

È una delle prime notizie dell’anno; una di quelle che rimbalzano sui media internazionali, classicamente ignorata dalla stampa italiana. 
Mi sconvolge come tutte le storie in cui il protagonista sente negati i propri diritti a tal punto da volersi immolare per affidare alla memoria dei postumi il suo grido di dolore, la sua richiesta di attenzione, il suo bisogno di giustizia. Ad amplificare lo shock c’è il fatto che il protagonista, in questo caso, è minorenne.

Joshua “Leelah” Alcorn aveva diciassette anni, viveva in Ohio, Stati Uniti e si sentiva una donna imprigionata in un corpo maschile: era un trasgender e in quanto tale era discriminato e ripulso anche dalla sua stessa famiglia.

La fine della sua sofferenza l’ha cercata ai margini di un’autostrada il 28 dicembre 2014, non trovando altra disperata soluzione che quella di suicidarsi buttandosi sotto le ruote di un camion in corsa.
Qualche ora dopo la sua morte, mentre ancora ci si chiedeva se fosse stato solo un terribile incidente, sul suo profilo Tumblr è comparso un post programmato in cui Leelah spiegava i motivi del suo gesto, affidando al web il suo inequivoco messaggio di addio che comincia così:

"Se state leggendo questo messaggio, vuol dire che mi sono suicidata e quindi non sono riuscita a cancellare questo post programmato.
Per favore, non siate tristi, è meglio così. La vita che avrei vissuto non sarebbe stata degna di essere vissuta… perché sono transessuale".

Il messaggio di Leelah è un forte J’accuse, in primis contro i genitori, cattolici ortodossi, praticanti e intransigenti: non hanno mai accettato l’orientamento sessuale del figlio, avrebbero, invece, cercato di correggerlo, di convincerlo che il suo desiderio fosse sbagliato perché “dio non commette errori”; genitori come tanti contro cui si scagliano le insofferenze di un adolescente come pochi; genitori che di errori, senz’altro, ne hanno commessi loro stessi ma che sono la metonimia fin troppo banale ed evidente della società tutta, che sbaglia impudente ed impunita in ogni parte del mondo.

Come non rammentare, in Italia, il caso divenuto mediatico di Andrea, “il ragazzo dai pantaloni rosa”, suicidatosi a Roma nel novembre 2012 gettandosi dalla finestra della sua classe perché non sopportava il bullismo a sfondo omofobo di cui era vittima.

Da allora, però, non c’è stato nessun concreto intervento normativo; al contrario: la proposta di un disegno di legge introduttivo del reato di omofobia ha generato un vero e proprio movimento di protesta, quello delle Sentinelle in piedi, mobilitatosi in moltissime piazze italiane e che ha generato scontri e subbugli.
Eppure giungono da lontano leggende di ordinamenti che legalizzano il terzo sesso, istituiscono il genere neutro, sanciscono la libertà costituzionale di autodeterminazione sessuale, ma sono voci troppo lontane ed isolate per sembrare reali.
Irreale ed assurda sembra paradossalmente anche la storia di Leelah, che parrebbe davvero appartenere a un’altra Era se non fosse per la modalità telematica del messaggio di addio, giunto “ex post” come inatteso monito da un Aldilà virtuale, come a parodia di quella voce divina che molti volevano imporle.
Torniamo allora alla voce senza genere di Leelah ed al suo messaggio: è proprio per quel dito puntato contro, che non possiamo fare a meno di reagire, perché ne siamo tutti tirati in causa.
Il 2 gennaio i genitori hanno ottenuto la rimozione del post del figlio, ma grazie ai pregi del web il post era già stato copiato, ritrasmesso e tradotto ovunque, miracolosamente moltiplicato, con una forza soprannaturale e una straordinaria capacità pervasiva che forse nemmeno il suo autore poteva immaginare.
In pochi giorni la notizia ha fatto il giro del mondo, è nata una petizione per un progetto di legge (Leela’s Law petition) che ha raccolto in poche ore quasi 300.000 firme.
In Italia, dove regna sovrano l’immobilismo che le celebri sentinelle perfettamente incarnano, aspettiamo ancora che qualcuno se ne accorga.
La gente dice che “le cose cambiano” ma nel mio caso non è vero. Le cose peggiorano. Le cose peggiorano ogni giorno.
La mia morte deve significare qualcosa. La mia morte dev’essere contata tra quelle dei transessuali che si sono suicidati quest’anno.
Voglio che qualcuno guardi a quel numero e dica “questa cosa è assurda”, e si occupi di sistemarla. Sistemate la società. Per favore.
Addio.
Leelah Josh Alcorn

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Daniela Missaglia

Avvocato matrimonialista e cassazionista, è specializzata in Diritto di famiglia e in Diritto della persona. Grazie alla sua pluridecennale esperienza è spesso ospite in trasmissioni televisive sulle reti Rai e Mediaset. Per i suoi pareri legali interviene anche su giornali e network radiofonici. Info: https://www.missagliadevellis.com/daniela-missaglia

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