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La dura vita delle suore

La dura vita delle suore

Che la loro azione sia fondamentale lo si riconosce anche in Vaticano (incluso il Papa). Nella pratica, però, pur essendo più dei sacerdoti, restano molto lontane dal loro trattamento.

Forse per emulare ciò che accade di là dal Tevere il Papa ha compiuto una nomina sorprendente: anche lo Stato pontificio ha la sua Giorgia Meloni. È Raffaella Petrini, 56 anni, laurea e master in Scienze politiche, suora francescana che a capo del Governatorato è dal primo marzo la «presidente del Consiglio» del Vaticano. Fa parte del ristrettissimo circolo cosiddetto «le tre dell’Ave Maria»: oltre a lei ci sono Helen Alford, suora domenicana di Santa Caterina da Siena, economista di razza, a capo della Pontificia accademia delle Scienze sociali, uno dei punti di forza del pontificato di Bergoglio e Simona Brambilla, suora delle Missionarie della Consolata, che è a capo del Dicastero degli istituti di vita consacrata.

Tocca a lei decidere di sfrattare le suore (e i frati) dai conventi che il Vaticano vuole vendere per fare cassa e raddrizzare bilanci in bilico. Proprio la pressione sugli istituti religiosi sta creando molti sussurri e altrettante grida in seno alla Chiesa. Sono le suore che forse non ne possono più del silenzio e dell’obbedienza. Francesco sulla condizione della donna nella Chiesa ha detto: «La Chiesa è donna, uno dei grandi peccati che abbiamo avuto è maschilizzare la Chiesa». Ma quando gli hanno chiesto, in una intervista della Cbs nel maggio scorso, se si potesse pensare a un diaconato al femminile la risposta è stata secca, quasi irata: «Se si tratta di diaconi con l’Ordine Sacro, no. Le donne hanno sempre avuto, direi, la funzione di diaconesse senza essere diaconi, giusto? Le donne sono di grande servizio come donne, non come ministri all’interno dell’Ordine sacro. Fare spazio alle donne nella Chiesa non significa dare loro un ministero». Da parte sua il cardinale Víctor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede ha ribadito: «La questione delle donne diacono non è ancora matura. Per questo il Papa chiede che il Sinodo non s’intrattenga su di essa». Magari è «acerba», ma divide e di certo esiste una questione femminile tra le consacrate.

Lucetta Scaraffia, scrittrice, storica e militante femminista, non più tardi di sei mesi fa è stata ultimativa: «Sono le donne a tenere in piedi la Chiesa, non ci sono più le suorine ignoranti, schiave, ubbidienti, testimoni assolute del dolore e dell’orrore di cui erano vittime».
Nonostante questo il potere nella Chiesa è ancora tutto maschile e il Papa ha un atteggiamento cerchiobottista. Doris Reisinger, teologa e scrittrice tedesca ed ex suora, stima che «una suora su tre ha subito un abuso sessuale e non è neanche il peggiore dei maltrattamenti». Suor Mary Lembo, congolese della congregazione di Santa Caterina Vergine e Martire, nel suo dossier certifica che «molte suore sono vittime dei loro pastori spirituali; sulla pedofilia si è aperto un velo, ma sulle suore no perché si ritiene che siano consenzienti». Accade soprattutto in Asia e Africa, gli unici continenti dove le religiose sono in crescita. Stando all’annuario statistico dell’Agenzia Fides (dati 2024) a fronte di 407 mila sacerdoti ci sono poco meno di 600 mila religiose che però hanno pochissimi diritti.

Non hanno uno «stipendio» come i parroci: vengono pagate solo se fanno servizi civili come insegnanti o infermiere, ma la Chiesa che le usa come perpetue, come «suore delle pulizie» non versa loro nulla; da anziane quelle italiane possono al massimo accedere alla pensione sociale. Le africane e le asiatiche neppure a quella. Per loro restare in comunità è l’unica speranza di sopravvivenza. Ma oggi i conventi vengono minacciati dal bisogno di fondi che ha il Vaticano. Con la Costituzione apostolica Vultum Dei quaerere firmata da Papa Francesco nel 2016 l’Istituto condotto oggi da suor Brambilla ha via libera a sfrattare le suore. I conventi sono 46 mila, coprono 38,6 milioni di metri quadrati. Metterli a reddito è la sfida della Santa sede così gli sfratti alle suore si moltiplicano. Prima si comincia con le blandizie poi si arriva alla scomunica.

È accaduto in Spagna alle dieci clarisse di Belorado, nel comune di Burgos, e a Orduña, nei Paesi Baschi, che hanno lasciato la Chiesa e adesso hanno aperto un ristorante e fabbricano cioccolatini. Annosa è la resistenza delle domenicane di Marradi, sull’Appennino tosco-romagnolo: si sono barricate nel convento; è finita a carte bollate lo sfratto delle suore di Fognano in Romagna, in provincia di Bologna, appesa a un filo è la sorte delle cinque Maddalene di Vigevano, nel Pavese. Da quattro anni, le suore di Casa Raphael ad Albaro, sobborghi di Genova, lottano con le «sorelle» Sacramentine di Monza, proprietarie del loro monastero, che le hanno sfrattate. Questi episodi rappresentano solo un minimo spaccato del malessere delle religiose cattoliche di cui si è fatta interprete l’Uisg, che riunisce quasi duemila Superiori generali di altrettanti monasteri. Lucetta Scaraffia sostiene che è «anche un sindacato delle suore» che però il Papa non riconosce. Francesco – come ha fatto parlando prima del ricovero per la sua malattia – preferisce dire: «Le suore devono studiare, crescere, formarsi: si è investito poco su questo, meno che con il clero perché considerate di “seconda classe”. Bisogna superare una mentalità clericale e maschilista». Di strada da fare ce n’è ancora molta.

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