La Svizzera nel mondo: intervista all'ambasciatrice elvetica in Italia
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La Svizzera nel mondo: intervista all'ambasciatrice elvetica in Italia

Monika Schmutz Kirgözanalizzala posizione della Confederazione elvetica, fra innovazione, rapporti europei e neutralità

Panorama ha incontrato Monika Schmutz Kirgöz nell’ambasciata svizzera a Roma, dove da settembre 2021 ha iniziato il suo mandato in qualità di ambasciatrice per l’Italia, Malta e San Marino. Parla fluentemente l’italiano e altre quattro lingue, tra cui il turco, retaggio dell’esperienza diplomatica che nel 2000 l’ha portata ad Ankara come responsabile degli affari politici e culturali. In seguito è stata vice capo missione a Tel Aviv, poi console generale a Istanbul nonché ambasciatrice svizzera a Beirut dal 2017 al 2021. Prima di concludere il suo mandato italiano a fine anno, l’ambasciatrice lancia un appello: «Potenziate il collegamento tra Zurigo e Milano, un asse che potrebbe diventare il nuovo power center della ricerca e dell’innovazione dell’Europa centrale» Intanto, mentre la Confederazione posticipa senza drammi i suoi obiettivi sulla mobilità elettrica , Berna torna a discutere di nuove centrali nucleari.

In questa difficile congiuntura economica, dove importanti economie europee come quella tedesca e francese sono in sofferenza, quali sono i fattori su cui la Svizzera si è concentrata per proteggere e sviluppare la sua industria e la sua economia?

L’innovazione, la ricerca e la formazione giocano un ruolo chiave nella produzione di benessere economico. La Svizzera è posizionata da 13 anni come il Paese più innovativo al mondo secondo il Global Innovation Index e il secondo al mondo in competitività secondo il World Competitiveness Ranking. Ciò è facilitato dal suo sistema educativo accademico e duale –attraverso le università e la formazione professionale con i tirocini e le scuole universitarie professionali, uniche nel loro genere. La grande apertura della Svizzera verso l’estero, in particolare con i Paesi confinanti, è fondamentale per questo straordinario posizionamento. L’Italia e la Svizzera, che condividono quasi 800 km di confine, hanno una stretta collaborazione in tutti questi settori.

Dopo i terribili anni del Covid, i rapporti commerciali e le relazioni tra Berna e Roma hanno subito mutamenti?

Nel 2023, l'Italia è stata il terzo partner commerciale della Svizzera con 44 miliardi di franchi svizzeri di scambi in merci, senza contare i servizi, pari all'8,8% del commercio estero totale della Confederazione. La cooperazione è sempre stata multiforme e le sinergie sono favorite da accordi bilaterali, anche di tipo accademico. I continui contatti tra università svizzere e italiane costituiscono un elemento centrale di questi scambi. L’Università della Svizzera italiana (Usi) e la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi) hanno un ruolo particolare, in quanto unici atenei italofoni fuori dalla Penisola. I contatti bilaterali tra la Svizzera e l’Italia nel campo della scienza e della ricerca sono stati rafforzati anche grazie alle reciproche borse di studio. Nell’ultimo decennio il Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica ha sostenuto più di 1.500 progetti con una componente di cooperazione italiana e i nostri atenei sono pieni di studenti italiani.

Zurigo è al 3° posto nel Global Liveability Index 2024, mentre la “Greater Zurich Area” ospita il più grande quartier generale di Google in Europa. Anche i cantoni più piccoli, come il Ticino, stanno investendo molto nelle nuove tecnologie. Quali sono i fattori vincenti del modello Svizzera e perché una start-up europea oggi preferisce insediarsi a Zurigo anziché altrove?

Posso rispondere elencando alcuni dei nostri fattori vincenti, validi a Zurigo come a Lucerna o in Ticino: un’economia guidata dall'innovazione, industrie competitive a livello internazionale, un sistema educativo efficiente unito a una posizione geografica ideale per accedere al mercato europeo. Rispetto ad altri, la Svizzera riesce ad attrarre forza lavoro altamente qualificata, attirata da un ambiente commerciale liberale e da infrastrutture all'avanguardia. Oltre che da una qualità di vita elevata, che si salda con un regime fiscale attrattivo per le imprese.

Tuttavia dal recente sondaggio “Svizzera come stai?”, svolto dall’istituto di ricerca Gfs.bern lo scorso settembre, emerge che il 35% dei cittadini intervistati è preoccupato per la propria situazione finanziaria e teme che in futuro il suo tenore di vita si dovrà adeguare a quello dei Paesi europei limitrofi, come si spiega?

Questo lo ripetono soprattutto i cittadini che sono contrari all’integrazione con l’Unione Europea perché sono convinti che con il mercato unico, e con la Svizzera che occupa già il 30% di lavoratori stranieri, «non c’è più spazio» per loro. Un concetto che da noi viene definito «Dichtestress», lo stress della densità, che è diventato lo slogan dell’anno per quanti ritengono che sia inconcepibile una «Svizzera dei dieci milioni di abitanti». Nonostante circa il 60%del nostro territorio siano montagne. In dieci anni siamo cresciuti di due milioni. È vero, ma accade nei grandi centri urbani.

Durante la pandemia la Svizzera ha interrotto gli accordi quadro con l’Unione europea: quali sono state le motivazioni?

A maggio 2021 il Consiglio federale, che è l’organo esecutivo composto da sette ministri, ha preso questa decisione. Perché quello che era stato negoziato non avrebbe mai potuto ottenere la maggioranza popolare, dato che ogni intesa con l’Europa va sottoposta a referendum. Gli accordi bilaterali riguardavano la necessità di equiparare la nostra legislazione all’evoluzione del diritto europeo nei vari settori, quindi la necessità di un framework agreement in cambio della partecipazione al mercato unico. Ma buona parte dell’opinione pubblica svizzera ritiene questo scenario una «colonizzazione» da parte dell’Unione europea. Tuttavia, anche noi dobbiamo adattare la nostra legislazione se vogliamo essere parte integrante di questo mercato unico, di cui approfittiamo molto. Una parte consistente della Svizzera è contro un’ulteriore integrazione nell’Unione Europea, ma anche i sostenitori dell’integrazione sono numerosi. Questi però fanno meno rumore di quelli che sono contro. L’integrazione europea è vista con criticità da circa metà della nostra popolazione, io invece la ritengo fondamentale per mantenere il benessere del Paese. Anche se con l’Italia siamo in negativo con la nostra bilancia commerciale…

Oggi che segnali riflettono l’economia e l’industria rispetto all’import-export con i vostri vicini e con l’Italia in particolare? E quali sono i settori che hanno tenuto di più o che sono diventati trainanti per la vostra crescita?

A causa della posizione geografica il 40% di questi scambi si concentra nelle 4 Regioni di confine. I rapporti commerciali tra Italia e Svizzera sono estremamente solidi e ogni settimana vengono scambiati beni e servizi per un valore di oltre 1 miliardo di euro. Secondo i dati italiani più recenti, la Lombardia da sola rappresenta il 35% di tutti gli scambi bilaterali tra Svizzera e Italia: la regione ha esportato beni per un valore di 11 miliardi di euro in Svizzera e ne ha importati per 6 miliardi di euro. Tuttavia, gli italiani sanno pochissimo di noi, come il fatto che gli svizzeri vanno pazzi per il «made in Italy»: ne compriamo di più di India, Cina, Canada e Brasile messi insieme. Parliamo di un mercato di 3 miliardi di consumatori, e noi svizzeri siamo neanche 10 milioni di abitanti. Inoltre Zurigo e Milano hanno delle analogie che sono incredibili: l’ETH, il Politecnico di Zurigo che è la nostra migliore università, collabora molto con il Politecnico di Milano. Se l’Italia potenziasse gli investimenti nella mobilità, in 2 ore e 40 si potrebbe viaggiare in treno da Milano a Zurigo. E le nostre relazioni bilaterali, che sono già buone, potrebbero diventare incredibili. Sono a Roma da quasi 3 anni e mezzo e posso dire che proprio l’asse Zurigo-Milano ha tutte le carte in regola per diventare il power-center dell’Europa centrale.

La Svizzera non raggiungerà i suoi obiettivi di mobilità elettrica, che prevedono di aumentare la percentuale di veicoli elettrici di nuova immatricolazione al 50% entro il 2025. A pochi mesi dalla scadenza, la quota supera appena il 27%. Come si orienterà Berna tra chi spinge per un rinvio delle scadenze del Green Deal europeo, come il nostro ministro Adolfo Urso, e chi è intransigente sulla neutralità climatica entro il 2050?

Il nostro obiettivo era che il 50% dei veicoli di nuova immatricolazione fossero ricaricabili entro il 2025, come stabilito dalla “Roadmap della mobilità elettrica 2025”. Tuttavia il Consiglio federale ha deciso di prorogare la scadenza al 2030. Il nostro rallentamento nella transizione all’elettrico si deve a molteplici fattori: la nuova situazione creatasi in seguito alla definizione degli obiettivi di decarbonizzazione, il ritardo nella costruzione di impianti di produzione di energia rinnovabili (parchi eolici, impianti fotovoltaici e idroelettrici) e la guerra di aggressione russa in Ucraina, sommati a una crescita della popolazione più importante del previsto (lo scorso giugno sono stati superati i 9 milioni di abitanti, ndr). Questi fattori rendono necessario riflettere sull’energia nucleare come fonte di approvvigionamento complementare. Riguardo alla proposta del ministro Urso, speriamo di incontrarlo molto presto in modo che tra i nostri ministri si possa aprire un dialogo. Il settore dell’automotive è importantissimo sia per l’Italia che per la Germania, ma anche per noi, poiché l’industria componentistica è estremamente solida in Svizzera.

La Svizzera potrebbe implementare il numero delle sue centrali nucleari?

Al momento è in corso una discussione sul divieto di costruire nuove centrali nucleari. Si vuole tenere conto della preoccupazione scaturita da una nuova iniziativa popolare denominata «Elettricità per tutti in ogni momento (stop al blackout)», che va in controtendenza rispetto al referendum del 2017. Il Parlamento potrebbe discuterne già all’inizio del prossimo anno. Ma è solo il popolo che può decidere di cambiare opinione, e qualsiasi scelta non verrà mai imposta dal governo.

Oggi le relazioni diplomatiche si fanno spesso tese, dall’Ucraina al Medioriente passando per l’Africa. Quanto è importante la vostra neutralità, sia come Paese chiamato a mediare nei teatri di guerra internazionali che come fattore di competizione per l’economia e l’industria elvetica?

La Svizzera è conosciuta all’estero per la sua neutralità, che ne guida anche le decisioni in materia di politica estera. Restiamo neutrali, ma neutralità non significa indifferenza. Italia, Svizzera ed Europa fanno parte della stessa comunità di valori. Inoltre, la Svizzera promuove costantemente i processi di risoluzione dei conflitti. Dopo aver organizzato l’Ukrainian Recovery Conference nel 2022 e la Conferenza di alto livello sulla pace in Ucraina lo scorso giugno sul Bürgenstock, Berna è l’organizzatrice dell’Ukraine Mine Action Conference UMAC2024 il prossimo ottobre a Losanna. L’obiettivo è sottolineare la cruciale importanza dello sminamento quale parte integrante della ricostruzione sociale ed economica del Paese. La Svizzera sostiene l’Ucraina con le proprie competenze e contribuisce, stanziando 100 milioni di franchi in quattro anni, alla bonifica di aree civili. Inoltre la Confederazione è stata incaricata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite di organizzare una conferenza delle Alte Parti contraenti delle Convenzioni di Ginevra da svolgersi entro sei mesi. Saranno invitati a partecipare tutti i 196 Stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra, compresi Israele e Palestina, per esaminarei principi del diritto internazionale che devono essere adottati per attuare la Quarta Convenzione di Ginevra nei Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est, e per garantirne il rispetto.

Parte della popolazione vi rimprovera di aver aderito all’applicazione delle sanzioni economiche alla Russia, mentre per altri cittadini le confische sono state inferiori alle attese, rispetto alla capillarità delle misure intraprese da altri Paesi.

Per una parte dei nostri cittadini ci siamo già troppo avvicinati alla Nato e questo sarebbe in contraddizione con la nostra neutralità. L’iniziativa popolare promossa dall’associazione ProSuisse prevede che, in futuro, la neutralità della Svizzera sia sancita a livello costituzionale e sia permanente e armata. Essa vieta alla Svizzera di aderire ad alleanze militari o difensive e Berna non potrebbe adottare misure coercitive non militari (sanzioni) nei confronti di Stati belligeranti, come consentito oggi. Tuttavia noi abbiamo valutato l’invasione dell’Ucraina come un atto di aggressione militare della Russia. Vista la gravissima violazione del diritto internazionale abbiamo ritenuto di doverci associare alle sanzioni. Anche per evitare il rischio di diventare un teatro in cui si potessero aggirare. Abbiamo aderito senza venire meno al nostro status e alle nostre obbligazioni e questo si riflette come un vantaggio anche per le imprese, sia come certezza di stabilità che a garanzia dello stato di diritto. È da 700 anni che siamo una nazione multiculturale, multireligiosa e indipendente e che riesce, attraverso la sua formazione e la sua innovazione, a sfruttare questo vantaggio pur senza allinearsi completamente alle normative emanate dall’UE. Inoltre, in qualità di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a ottobre la Svizzera ha assunto per la seconda volta la presidenza del Consiglio. Costruire una pace sostenibile e proteggere la popolazione civile saranno le priorità che porteremo al centro dei lavori del Consiglio.

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Beatrice Nencha