Terremoto in Centro Italia, un altro inverno senza casette
Il decreto Mezzogiorno proroga lo stato di crisi al prossimo febbraio. E, di fatto, allunga i tempi per gli alloggi sostitutivi
La Protezione civile e il commissario per la ricostruzione Vasco Errani non si possono più nascondere dietro alle promesse. Gran parte degli sfollati per il terremoto nel Centro Italia trascorreranno anche il prossimo inverno in abitazioni provvisorie, sballottati tra alberghi e case in affitto.
Lo certifica, tra le righe, un emendamento del governo al decreto sul Mezzogiorno che fissa due proroghe di scadenze importanti. Il primo slittamento, il più importante, riguarda lo "stato di emergenza" nei circa 130 Comuni della zona del cratere. Avrebbe dovuto concludersi il 9 agosto ed è stato protratto di sette mesi, fino al 28 febbraio 2018, con la possibilità di un ulteriore prolungamento, se sarà necessario. In questa situazione particolare rientra l'erogazione del contributo per l'autonoma sistemazione e l'alloggio negli alberghi di chi è rimasto senza un tetto.
Significa ammettere che gran parte della popolazione non avrà le fantomatiche casette nemmeno per l'inverno 2017-2018 e che i sopralluoghi per attestare l'abilitabilità degli edifici, presupposto necessario a far rientrare i terremotati nelle case, continueranno per mesi.
La lentezza burocratica, oltre ai disagi, fa aumentare i costi. Per una famiglia di tre persone con un anziano, il contributo per l'autonoma sistemazione (detto Cas) ammonta a circa 900 euro mensili. La Regione Marche, che ha circa 30 mila sfollati di cui 28 mila con il Cas, ha finora erogato oltre 69 milioni di euro e stima di dover stanziare, per il prolungamento dello stato di emergenza, circa 11 milioni al mese.
A questo si aggiunge la spesa per gli alberghi. Sono più di 3.400 le persone ancora in hotel e ad oggi, la Regione ha pagato oltre 39 milioni. È questo il costo del fallimento dell'operazione casette e dei sopralluoghi.
Un altro flop è quello della ricostruzione leggera. Doveva partire subito invece, a ridosso della scadenza del 31 luglio per presentare i progetti con annessa richiesta dei contributi pubblici, i cantieri aperti sono poche decine. Il governo è stato costretto a spostare i termini al 31 dicembre. Anche in questo caso, tutto è frenato dalla complessa burocrazia: una montagna di documenti e un labirinto di autorizzazioni.