Terrorismo, come e perché Isis ci vuole colpire
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Terrorismo, come e perché Isis ci vuole colpire

I veri rischi, per l'Italia e per l'Europa, di un eventuale attacco terroristico sul nostro territorio

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La sfida dei servizi segreti non è solo arginare i fenomeni terroristici, ma rintracciare le cause che originano tanto odio nei confronti dell’Occidente. Per rispondere alla sfida, serve farsi le domande giuste

Abbattere aerei commerciali imbarcando “bombe intelligenti”. Provocare il panico facendo esplodere le metropolitane di New York e Parigi. O, peggio, compiere un attentato in Piazza San Pietro a Città del Vaticano, simbolo della cristianità.

Sono solo alcuni degli allarmi diffusi nelle ultime settimane e da fonti diverse, in una sorta di competizione a individuare il rischio e il luogo del possibile attentato. Segnali di pericolo che vengono lanciati tanto dal Dipartimento della Homeland Security statunitense quanto dal Consiglio Supremo di Difesa che ha lanciato un allarme sui «rischi rilevanti» per l'Europa e per l'Italia a causa dell'intervento in Iraq e Siria (Isis) e messo in guardia la politica di monitorare con attenzione quanto sta avvenendo in Libia.


Questi annunci si aggiungono a una già fitta letteratura sul tema dell’allarme-terrorismo, quasi fosse ormai un genere a sé, da classificare sotto la voce “malattie del nuovo millennio”. Certo è che, in seguito agli attentati alle Twin Towers di New York, in Occidente siamo caduti preda di una sorta di schizofrenia collettiva del terrore, dalla quale non riusciamo a liberarci ma che, come ogni malattia mortale, non possiamo neanche ignorare o sottovalutare.

Prima di tentare di dare un’opinione sul tema e analizzare l’origine e la fondatezza dell’allarme, dobbiamo però toglierci gli occhiali dell’ideologia e leggere i fatti secondo una prospettiva non univoca e, soprattutto, non occidentale.

Lo spartiacque dell’11 settembre

Due cose sappiamo del fenomeno del terrorismo internazionale agli albori del nuovo millennio. La prima è che oggi il terrorismo è legato principalmente al mondo musulmano radicale. Questo è, in parte, un fatto nuovo per l’Occidente. Finché il mondo è stato diviso in due grandi blocchi cui facevano riferimento due ideologie nette e contrapposte, la paura aveva un nome e un volto, e ciò valeva tanto a Est quanto a Ovest.

Oggi molto è cambiato. La figura di Osama Bin Laden, gli atti terribili compiuti dalla sua fabbrica del terrore (Al Qaeda) e le successive guerre che l’Occidente gli ha scatenato contro, hanno creato la realtà in cui viviamo oggi. L’11 settembre 2001 ha davvero segnato un’epoca e costituisce indubbiamente uno spartiacque.

La seconda cosa che sappiamo è che stiamo assistendo a una guerra inedita, asimmetrica, che opera in luoghi e secondo schemi inusuali e imprevedibili, ai quali non siamo sufficientemente preparati.

Questo ha precipitato l’Occidente in uno stato di allerta permanente, perché la guerra viene portata avanti da un nemico irriconoscibile, che non indossa una divisa, non ha passaporto, e agisce senza una catena di comando riconoscibile in un governo o in un’entità statuale.


Una parte della comunità che vive in quel territorio non riconosce più quelle frontiere

Individuare le cause del problema

Abbiamo detto che oggi il pericolo del terrorismo proviene soprattutto da Oriente. Dalle masse di quel mondo musulmano che si sono ribellate alla concezione di Stato nazione elaborata dai Paesi colonizzatori nei secoli passati, i quali hanno confinato popoli e religioni in territori in cui essi non si riconoscono.

Se lo Stato Islamico oggi ridisegna i confini in Iraq e Siria è anche perché una parte della comunità che vive in quel territorio non riconosce più quelle frontiere. Anzi, non le ha mai volute. E tanti altri esempi potremmo citare, dalla Palestina al Kurdistan, dalla Libia alla Nigeria, eccetera.

In pratica, la spartizione del nuovo mondo che fu deciso alla Conferenza di Yalta dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, oggi non funziona più. Ce ne saremmo dovuti accorgere già all’indomani del crollo del Muro di Berlino, invece ce ne accorgiamo solo ora.

Eppure, come ha giustamente sottolineato lo stesso presidente USA, Barack Obama - che pronuncia sempre bei discorsi, ai quali però seguono spesso pessime azioni - “l’Islam non è il nemico” e quello in atto “non è uno scontro di civiltà”. Ciò nonostante, il terrorismo islamico esiste ed è pronto a colpire. È un fatto indiscutibile.

Il problema è allora che l’Occidente non riesce ad aprirsi alla cultura millenaria dell’Islam e, di conseguenza, teme in maniera crescente il mondo musulmano in genere. E lo fa anche a causa dei fatti di sangue che oggi caratterizzano gran parte del Medio Oriente, dove l’Islam è in guerra prima di tutto con se stesso. Però l’Islam è anche in casa nostra e dobbiamo conviverci.

Dalle moschee a internet

Uno degli aspetti più preoccupanti della jihad, la cosiddetta “Guerra Santa” che una parte dell’Islam combatte in nome della restaurazione del Califfato islamico o della lotta contro l’oppressore occidentale (a seconda del caso), è certamente costituito dalla diffusione del suo messaggio. Un messaggio veicolato attraverso le moschee e la rete internet.

Siamo abituati a pensare, e a ragione, che la propaganda politica dell’Islam più radicale e incendiario provenga in primis dalle moschee, luogo non solo di culto ma anche di aggregazione sociale e di condivisione tanto delle pratiche religiose, quanto del pensiero e del credo politico.

Perciò, è indispensabile per i servizi d’intelligence infiltrare uomini nelle moschee, dove peraltro si deve proibire la predicazione in lingua araba, e si devono obbligare gli imam a pronunciare i sermoni nella lingua ufficiale del Paese in cui ci si trova. Norma che, ad esempio, ancora oggi non esiste in Italia.

Ma, per diffondere messaggi aggressivi e far circolare idee malsane, esiste anche internet, un ancor più micidiale veicolo di propaganda. Monitorare la rete è, infatti, tra gli aspetti più utili per le indagini dell’anti-terrorismo e su questo il controllo dovrà crescere considerevolmente.


Perciò, è indispensabile per i servizi d’intelligence infiltrare uomini nelle moschee

Dove colpirà il terrorismo?

Le agenzie d’intelligence europee e americane puntano il dito principalmente su aeroporti, stazioni e metropolitane. Più difficile un attentato nel primo caso (a meno che non si voli sopra zone di guerra): gli aeroporti sono controllatissimi e per poter innescare una bomba a bordo di un velivolo, nascondendola tanto in un dentifricio quanto in un Ipad, servono alta preparazione e tecnologie all’avanguardia. Ma l’effetto è assicurato e il numero di vittime sempre molto alto.

Stazioni e metropolitane, invece, come insegnano gli attentati di Londra e Madrid, sono obiettivi più facili da raggiungere e, se comportano meno vittime, hanno però il medesimo effetto psicologico sulla popolazione. Bombe fatte detonare a distanza o indossate dagli attentatori stessi sono più facilmente progettabili. Dunque, bisogna monitorare capillarmente la rete delle infrastrutture, che rappresentano degli obiettivi sensibili in ogni periodo storico.

Ma per capire davvero come Al Qaeda, ISIS o altre cellule terroristiche indipendenti potrebbero agire d’ora in avanti, occorre anzitutto considerare che un attentato è sempre pensato in ragione di un obiettivo da raggiungere. La domanda giusta allora è: qual è l’obiettivo dei terroristi?

Se riteniamo che l’obiettivo sia cacciare gli infedeli dalle terre dell’Islam, allora è ragionevole ritenere che investiranno forze e mezzi su quel terreno, come già sta avvenendo in Iraq, Siria e in parte in Libia. Dunque, la sfida dell’intelligence va indirizzata su quel teatro di guerra, in prima linea.

Se, al contrario, riteniamo che l’obiettivo del terrorismo consista nella vendetta, nella destabilizzazione dell’ordine mondiale e nello scontro ideologico, allora è ipotizzabile che l’obiettivo sarà colpire i Paesi ostili direttamente in patria, perché l’Occidente paghi un alto tributo di sangue e “impari la lezione”.

Rispondendo a queste domande, avremo forse più chance di evitare il contagio del terrore in casa nostra. Ma è solo smettendo di creare allarmi ingiustificati, che avremo la razionalità e la lucidità per gestire efficacemente e chirurgicamente questa immane sfida che la storia ci pone davanti.

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Luciano Tirinnanzi