Lotta al terrorismo: i leader del mondo si riuniscono a Roma
Fouad Makhzoumi, imprenditore libanese, rivela a Panorama.it che i ministri degli esteri di Usa e Russia e dei Paesi arabi si confronteranno in un forum senza precedenti, aperto a imprenditori e industriali
In un'intervista in esclusiva per Panorama.it a margine dell'assemblea generale dell'ATA (Atlantic Treaty Association) e del Mediterranean Gulf Forum (MGForum) che si è tenuta recentemente a Bruxelles Fouad Makhzoumi, il re del gas libanese, fa il punto sulla "nuova strategia" per battere il terrorismo e svela che il governo italiano sta organizzando una tre giorni di dibattito di altissimo livello a Roma, dal 10 al 12 dicembre.
"L'Italia non è la Francia e non avete lo stesso background politico. Avete buone relazioni con tutti i Paesi del Mediterraneo e siete in prima linea per l'immigrazione. Avete l'unico governo veramente stabile in Europa, perché le elezioni ci saranno tra due anni, e potete riempire il vacuum dell'Europa per guidare il cambiamento nella lotta al terrorismo. Siete i più qualificati per guidare questo cambiamento" dice Makhzoumi.
Il MED - Rome Mediterranean Dialogues, è un'iniziativa di alto profilo promossa dal ministero degli Esteri e dall'ISPI (Istituto per gli Studi Politici Internazionali) che, a poche ore dall'avvio del Giubileo porterà nella capitale i big del mondo per discutere di come fronteggiare la minaccia terroristica.
Insomma, Matteo Renzi non vuole più giocare di rimessa e desidera dimostrare che l'Italia c'è e non ha paura di assumersi la responsabilità di guidare il cambio di passo nella lotta al terrore dell'Isis e - soprattutto - che non ha dimenticato (o abbandonato) il suo ruolo di mediatore privilegiato, in grado di parlare con tutti e di far sedere allo stesso tavolo americani, russi e iraniani.
Alla tre giorni di Roma ci saranno il segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov con ministri e leader di tutti i Paesi arabi, a cominciare dal re Abdullah di Giordania. Il forum sarà aperto da Giorgio Napolitano e a seguire si terrà un discorso di Renzi, indirizzato a una platea vasta che sarà impegnata su 20 tavoli di confronto. Sarà presente anche il ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond, oltre alla crema dell'imprenditoria italiana, dall AD dell'ENI Claudio Descalzi, al presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Il "sistema Italia" tornerà quindi presto al centro del palcoscenico internazionale.
Bruxelles. Il re del gas libanese, Fouad Makhzoumi, parla di misure contro il terrorismo all'assemblea dell'ATA, organizzata con il Mediterranean Gulf ForumMGForum - Bruxelles
Quello della "nuova" lotta al terrorismo è un tema complesso, che vede intrecciarsi diversi fattori e tante variabili. Dall'11/9 a oggi, dopo gli attentati di Parigi, c'è stato un cambio di passo. Ma bisogna ancora lavorare molto per trovare l'unità contro un "nemico comune" rappresentato dall'Isis o Daesh che dir si voglia. Ne è convinto Fouad Makhzoumi, a capo di Future Group, una holding con 4500 dipendenti in tutto il mondo, e, oltre che filantropo, appassionato di politica. Circolano voci che potrebbe essere il prossimo premier del Libano.
Fouad Makhzoumi, dopo i tragici attacchi a Beirut e a Parigi e dopo l'esplosione del jet russo, come vede la situazione internazionale?
Fino a oggi da parte degli Stati Uniti c'è stata l'idea di "contenere" Daesh, invece che di distruggerla. L'Europa a lungo ha sostenuto con i paesi del Medio Oriente che questo è un problema loro e che, quindi, sono gli stessi paesi mediorientali a dover fare pulizia e a riportare l'ordine. Quello che constatiamo oggi, invece, è che il terrorismo è globale e non più locale. In più, attraverso i cyber media si stanno allevando terroristi nostrani, che crescono nei Paesi che poi vengono attaccati.
Come possiamo sconfiggere definitivamente Daesh?
La reazione della Francia dal nostro punto di vista va bene, ma quello che vediamo in Occidente è che solitamente la reazione ha il sapore di una vendetta, piuttosto che di una strategia a lungo termine. Questo è quello che è successo in Afghanistan, in Libia e in Iraq. Ci auguriamo che adesso ci sia una politica chiara su come attaccare e distruggere Daesh. Il problema più grande che abbiamo è che nel 2014 Daesh ha preso Falluja e Mosul, e nel 2015 hanno preso Palmyra e si sono strutturati come uno Stato. Questo li differenzia da Al Qaeda. I qaedisti sono soliti colpire e sparire, mentre i terroristi del Califfato stanno creando uno Stato e incassano profitti. Ma, quando si vende qualcosa, dalle antichità al petrolio, c'è sempre qualcuno che compra. Se guardiamo ai confini della Siria, troviamo la Turchia, la Giordania, il Libano e l'Iran. L'Iran al momento è impegnato nel combattere Daesh per una serie di motivi che vanno dalla religione ad altro. Il Libano è troppo piccolo e di questo stiamo pagando il prezzo, e la Giordania è come il Libano. Quindi, ci resta la Turchia. Ci auguriamo che, dopo il G20 ad Antalya, la posizione turca sia sincera e che la Turchia si impegni a contenere Daesh, sia dal punto di vista logistico che da quello finanziario. Perché è ovvio che gas e petrolio venduti vengono comprati da qualcuno. Gli attacchi di Parigi sono un allarme serio per l'Europa. Questa è gente che si muove, entra ed esce dai Paesi. Purtroppo fino ad ora non abbiamo visto una politica comune dell'Ue, né per gli Affari esteri né per la Difesa e nemmeno nel campo della Sicurezza.
Crede sia davvero possibile far sedere allo stesso tavolo l'Arabia saudita, il Qatar, l'Iran e la Turchia?
Sfortunatamente la definizione di "nemico" di questi tempi varia da un Paese all'altro. Prima del 1990 era un'idea comune, dopo il 1990 si cambia. Prenda l'Iran, prima nemico, poi amico, e per alcuni Paesi oggi resta nemico. Insomma, c'è una grande confusione. Molti pensano che Bashar al Assad è il nemico. Daesh è il grande nemico di tutti, ma con priorità diverse. Fino a che non ci troveremo tutti d'accordo su chi è il nemico e come unirci per sconfiggerlo non andremo da nessuna parte. L'Iran è parte del processo. Ovviamente, se non coinvolgiamo la Repubblica islamica nella soluzione della crisi siriana non accadrà nulla. Se guardiamo alla Russia e all'Iran, al momento entrambi hanno una road-map su cui concordano. Ci auguriamo che l'Arabia Saudita oggi si sieda di fronte all'Iran e parli in modo chiaro. Uno dei problemi del mondo arabo è che puntiamo sempre troppo in alto, mentre quello che dobbiamo fare è abbassare le aspettative e definire chi è il nemico comune. Ed è quello che spero venga fuori dal recente riavvicinamento tra Kerry e Lavrov: che riescano a portare l'Arabia Saudita e l'Iran a sedersi allo stesso tavolo, perché non si può fare nulla se questi due paesi non salgono a bordo.
La Turchia di Erdogan però rappresenta una spina nel fianco...
Per andare dalla Cecenia alla Siria bisogna passare per la Turchia. Se si viene dall'Europa per andare in Iraq e Siria bisogna passare per la Turchia. La Turchia voleva istituire una no fly zone lungo il confine siriano, per via delle mire ottomane sul nord della Siria. Ma sarebbe stato un terribile errore, perché avremmo diviso la Siria in due. In più, la Turchia usa il cappello Nato per regolare i conti con il PKK, (il partito curdo di Ocalan ndr). I curdi stanno combattendo duramente contro Daesh, ma finora non hanno ricevute adeguate compensazioni per il loro impegno, a differenza della Turchia. Insomma, la Turchia è importante, ma la questione di fondo è che dando denaro alla Turchia non si risolve il problema in Giordania e in Libano, e questo significa che bisogna guardare alla situazione in modo diverso.
Come?
La Turchia deve accettare che non può più reincarnare l'impero ottomano. Abbiamo sofferto per 400 anni e ancora subiamo le conseguenze di quel periodo. Quindi, vogliamo una Turchia forte, perché la Turchia, l'Iran, l'Egitto e l'Arabia Saudita sono molto importanti per la stabilità della regione, ma è necessario non spostare l'equilibrio in favore di qualcuno e a discapito di qualcun altro. L'Iran è ormai parte della comunità internazionale, adesso dobbiamo tirare dentro anche i sunniti.
Dagli attacchi di Parigi si parla di "nuove strategie" per sconfiggere Daesh. Di cosa si tratta?
Ho sentito parlare il rappresentate belga presso la Nato ed è chiaro che associa l'islam al terrorismo. Come dire: sappiamo che il 95 per cento dei musulmani sono buoni, ma c'è sempre un 5 per cento di cattivi. Quando gli Stati Uniti sono andati in Afghanistan e in Iraq lo hanno fatto sulla base di un'agenda politica ben chiara, con degli obiettivi che sono stati raggiunti. Perché oggi si crede che i Paesi arabi abbiano una sorta di agenda segreta e stiano mostrando il loro volto peggiore? Sono molto orgoglioso di essere un musulmano sunnita e questo è il modo in cui viviamo. Stiamo combattendo Daesh e il terrorismo perché non vogliamo cambiare il nostro stile di vita. Ma, non possiamo essere etichettati come "potenziali terroristi" solo perché musulmani. Questo per noi è inaccettabile. Inoltre, dobbiamo arrivare a capire che bisogna proteggere l'Islam dai politici, perché l'abuso viene fatto dai politici che tentano di convincerci che la maggioranza dei musulmani la pensa nello stesso modo. L'Occidente sbaglia quando definisce l'islam. In tanti ci dicono di scegliere quale islam vogliamo. No, non è questa la strada da seguire. Invece di definire l'islam, definiamo le modalità in base alle quali combattere questo nemico, perché solo i bombardamenti non faranno altro che generare nuovi nemici.
Oltre alle bombe cos'altro fare?
Se non si investe sullo sviluppo dei giovani, dando loro gli strumenti per progredire, allora li si lascia facile preda degli estremismi. La maggior parte della popolazione araba è giovane, e tanti di loro non hanno un futuro, non guadagnano, non lavorano. Il sistema politico non gli permette di far parte del sistema. Tutte queste persone si sono dimesse da cittadini, o emigrano o si accodano a ciò che ritengono un'alternativa. Inoltre, non siamo più partner strategici degli Usa per il gas e il petrolio. Presto saranno gli Stati Uniti a esportarli. Questo genererà ulteriori tensioni e rivolte, ma quello che il mondo arabo non ha capito è come educare una rivolta e indirizzarla sulla strada migliore, quella della democrazia. Si può ottenere ciò che si vuole attraverso la lotta politica senza bisogno di uccidere. Finché non capiremo questo e non cambieremo la nostra mentalità, non potremo avere successo su Daesh o su minacce simili.
Alla luce del recente attentato a Beirut, qual è la situazione in Libano?
In Libano viviamo ancora un periodo di transizione. Il problema è che non abbiamo una Costituzione appropriata. Si immagina una Carta che non riesce a obbligare i politici ad andare a votare o a prendere decisioni? La mancanza di leadership in Libano è colpa di tutti, di Hezbollah e degli altri. In mancanza di un presidente, ogni ministro si comporta come un presidente. Quello che sta accadendo in Siria tra Hezbollah, i russi e gli iraniani sta cambiando le carte sul tavolo. E' ovvio che Daesh non ha alcuna possibilità di vincere in Siria contro questi alleati, quindi quello che farà sarà di mettere più pressione al Libano, così che Hezbollah si distolga dalla questione siriana per occuparsi di problemi interni. Ma questo con Hezbollah non funziona, perché combattere in Siria dà al partito di Dio un ruolo di leadership all'interno della regione. Un ruolo che non vuole perdere. Purtroppo, immagino che vedremo ancora del sangue scorrere in Libano.
Qual è il ruolo che l'Europa può giocare su questo scacchiere così complesso?
In questo momento L'Europa sta soffrendo. Una popolazione sempre più vecchia, che comporta meno sviluppo. Un territorio quasi completamente circondato dal mare. Quale futuro c'è per l'Europa?. Per mantenersi in vita nei prossimi quaranta anni l'Europa deve aprire le porte all'immigrazione legale ed investire negli immigrati alla fonte, in Libano o in Giordania per esempio. Scegliere le persone più qualificate da fare entrare, investire per rendere i migranti e i rifugiati delle persone migliori. L'Italia in questo gioca un ruolo importante. Non è la Francia e non avete lo stesso background politico. Avete buone relazioni con tutti i Paesi del Mediterraneo e siete in prima linea per l'immigrazione. Avete l'unico governo veramente stabile in Europa, perché le elezioni ci saranno tra due anni, e potete riempire il vacuum dell'Europa per guidare il cambiamento nella lotta al terrorismo. Insomma, siete i più qualificati per guidare questo cambiamento, come dimostra la conferenza di dicembre a Roma".