Isis, gli interrogatori degli "italiani" arrestati - FOTO e VIDEO
Dall gip Manuela Cannavale gli interrogatori di garanzia per le due coppie "integrate" e il campione di kickboxing. "Solo fanfaronate al telefono"
2 maggio - Volevano andare in Siria per aiutare la popolazione e i bimbi "martoriati" per via del conflitto che va avanti da anni e non per affiancare l'esercito dell'Isis.
Hanno spiegato così i loro propositi di lasciare l'Italia e di raggiungere i territori dello Stato Islamico, i coniugi di Lecco arrestati con altre due persone all'alba di giovedì scorso nell'ambito dell'operazione congiunta Ros-Digos e coordinata dalla Procura di Milano e pare in via di trasferimento in Calabria o in Sardegna in carceri di massima sicurezza.
Chi sono?
Abderrahim Moutaharrik, il marocchino campione di muay thai e la moglie Salma Bencharki, casalinga e madre dei suoi due figlioletti di 2 e 4 anni, interrogati stamane dal gip Manuela Cannavale, alla presenza anche del pm Enrico Pavone, non hanno negato, come emerge dalle intercettazioni agli atti dell'indagine, di aver parlato di lasciare l'Italia o di martirio.
Come ha riferito il loro difensore, l'avvocato Francesco Pesce, che ha annunciato istanza di scarcerazione al Tribunale del Riesame, "hanno precisato che le frasi da loro pronunciate vanno lette in un contesto più ampio e che dal dire al fare ne passa".
Durante l'interrogatorio, durato circa mezz'ora ciascuno, il giudice non ha fatto alcuna domanda specifica sull'attentato a Roma, al Vaticano, che il metalmeccanico, secondo l'inchiesta, si sarebbe reso disponibile a compiere eseguendo l'ordine di un non ben identificato sceicco. "Però - ha aggiunto il legale - hanno raccontato di essere in Italia da 16 anni, di essere cresciuti qui e di essersi integrati al punto che mai avrebbero seriamente fatto male a qualcuno".
Riguardo alle espressioni di ammirazione per il fratello morto 'martire' di Abderrahmane Khachia, il 23enne anche lui in carcere da quattro giorni, hanno sostenuto che "nei loro discorsi non hanno esaltato l'attentatore ma il martire", figura, quest'ultima di un certo rilievo per il Corano.
Secondo il legale, inoltre, i due, "disperati" in quanto pensano ai loro bambini ora affidati ai nonni, "hanno ammesso di avere avuto rapporti con persone, però non erano direttamente collegate all'Isis, alle quali avevano chiesto il nulla osta, la tazkia, per entrare in Siria dove volevano andare ad aiutare la popolazione dopo avere visto le immagini dei bimbi martoriati"
Quanto ai finanziamenti chiesti dalla coppia, per gli inquirenti per il viaggio verso il Califfato, "hanno giustificato - ha riferito sempre il difensore - che servivano per coprire altri debiti come l'acquisto on line di un passeggino per un amico".
Questa mattina davanti al gip si sono difesi anche Abderrahmane Khachia, fratello di Oussama, da qualche mese morto martire nel Califfato, e Wafa Koraichi, sorella di Mohamed Koraichi, altro presunto jiahdista che, con la moglie Alice Brugnoli, più di un anno fa e' scomparso da Bulciago (Lecco) per arruolarsi nell'esercito di Al Baghdadi (i due sono destinatari di un provvedimento di arresto).
Wafa, che avrebbe fatto attività di reclutamento e si sarebbe adoperata per far ottenere la 'tazkia', ha negato di far parte dell'organizzazione terroristica dello Stato Islamico e di aver fatto opera di proselitismo.
Infine Khachia. "I miei al telefono erano solo discorsi esagerati, fanfaronate - avrebbe detto al magistrato -. Non avevo intenzione di fare assolutamente nulla, non avrei mai fatto male a nessuno".
Il giovane, come ha tenuto a precisare il suo difensore, l'avvocato Luca Bauccio, "ha solo detto delle parole in libertà ma non ci sono fatti sui quali trovare un riscontro". Il legale, che presenterà istanza di scarcerazione, ha parlato del suo assistito come di un ragazzo di 23 anni "con una vita normale che non corrisponde alla figura del terrorista. Di uno che è caduto in una situazione di cui non ha saputo capire la gravità".
29 aprile - Gli investigatori della Digos e del Ros, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Enrico Pavone e Francesco Cajani, stanno analizzando pc, smartphone e altro materiale informatico sequestrato ai 4 arrestati nel blitz antiterrorismo di ieri in Lombardia che ha fatto emergere progetti di attentati a Roma da parte di presunti jihadisti legati all'Isis.
Abderrahim Moutaharrik, operaio e atleta di kickboxing di origini marocchine, la moglie Salma Bencharki, Abderrahmane Khachia, marocchino di Varese e fratello di Oussama, foreign fighter morto 'martire', e Wafa Koraichi, sorella di Mohamed che è in Siria con la moglie Alice Brignoli e i figli a combattere da oltre un anno (i due risultano latitanti), sono stati tutti portati nel carcere milanese di San Vittore (è probabile che poi vengano trasferiti ad Opera).
Gli interrogatori di garanzia davanti al gip di Milano Manuela Cannavale si dovrebbero tenere lunedì prossimo 2 maggio.
La coppia Moutaharrik-Bencharki e Khachia sono difesi dal legale Francesco Pesce.
Le intercettazioni
"Ti faccio conoscere un po' di ragazzi, attiriamo questi giovani di Lecco anche loro e gli metteremo a posto la testa".
Così Moutaharrik, condivideva, lo scorso 21 marzo, "con l'amico" Abderrahmane Khachia, marocchino di Varese fratello di Oussama morto "martire", la "sua azione di proselitismo, da effettuare presso giovani, per indottrinarli".
Nella carte, tra l'altro, si delinea anche una rete di altri soggetti legati alla 'galassia' dell'estremismo islamico.
Dalle intercettazioni risulta che Khachia sarebbe stato in contatto con alcuni soggetti definiti "Imam di Varese" (non identificati) e con un'altra persona chiamata "il turco".
Tra le persone coinvolte anche Meryem Koraichi, altra sorella (Wafa è stata arrestata) di Mohamed Koraichi, che è in Siria con la moglie.
Erano molto pericolosi
"Queste persone erano molto pericolose, in diretto collegamento con altri soggetti già operanti in Siria che incitavano a fare attentati in Italia: parliamo di un livello di pericolosità molto alto". Così il procuratore Antiterrorismo e Antimafia Franco Roberti ospite di 24Mattino su Radio 24 parla della cellula di presunti jihadisti sgominata ieri in Italia e prosegue: "Il loro livello di operatività era invece basso non abbiamo trovato tracce di avvio di esecuzione dei progetti di attentati. Non abbiamo trovato armi, esplosivi o altri materiali. Siamo intervenuti in fase molto anticipata".
Roberti ha confermato a Radio 24 che, quanto segnalato dall'intelligence Usa all’Italia circa la presenza di terroristi pronti a colpire nel nostro paese: "L'indagine di ieri è la conferma che è vero quello che dicono gli Stati Uniti che c’è il percolo Lo diciamo da mesi. Il pericolo c'è, non c’è dubbio, però le forze di polizia, la magistratura e l'intelligence sono mobilitate e fanno veramente un'opera capillare di raccolta e circolazione di informazioni per prevenire i rischi di attentati. Anche l'indagine di ieri ha preso il via da un'informazione dell'Aisi e poi si è sviluppata con le forze di polizia".
Roberti poi ha confermato durante il suo intervento a 24Mattino che le carceri sono luoghi a rischio di radicalizzazione di potenziali terroristi: "Infatti sulle carceri è stato acceso un focus particolare: i detenuti a rischio, anche quelli minorenni, sono costantemente monitorati dal dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, attraverso il proprio corpo di polizia".
Roberti infine ha parlato della riforma della giustizia in Italia, rilanciando l'idea di utilizzare agenti infiltrati per contrastare la corruzione: "Io sono favorevole dalla prima ora all'utilizzo di operazioni sotto copertura. Quando fu fatta la riforma del reato di corruzione io suggerii l'utilizzo dell'agente sotto copertura, che è già previsto dal nostro ordinamento per contrastare il traffico di droga, di armi e la criminalità organizzata. Questo non va confuso con l'agente provocatore che è quello che provoca il reato per poi denunciare. L'agente sotto copertura è una figura ben diversa che interviene nel reticolo corruttivo per raccogliere informazioni, laddove c'è già un indizio di reato".
CHI SONO I JIHADISTI CHE PROGETTAVANO LE STRAGI IN ITALIA
Quattro bambini che indossano una tuta e con l'indice di una mano rivolto al cielo in atteggiamento che simboleggia l'esaltazione del martirio, sono ritratti in una foto agli atti dell'inchiesta che oggi ha portato all'operazione Digos-Ros anti-terrorismo in Lombardia.
I bambini sono i tre figli di una coppia di Bulciago (Lecco) che ora risulta essere nel Califfato.
Il quarto è il figlio di Oussama Khachia, operaio 30enne che sarebbe morto in Siria, dopo essersi unito all'Isis.
Ci sono anche Alice Brignoli, italiana di 39 anni, che ha cambiato il nome in Aisha dopo la conversione all'Islam, e il marito 31enne Mohamed Koraichi, nato in Marocco, tra i sei destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare.
Il caso della coppia, che risiedeva a Bulciago (Lecco), sparita dal febbraio 2015 assieme ai figli e che si sospetta abbia raggiunto i territori siriano-iracheni per unirsi alle milizie dell'Isis, era già emerso nelle scorse settimane. I due sono tuttora latitanti.
Tra gli arrestati nell'operazione, coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Enrico Pavone e Francesco Cajani, c'è un'altra coppia di presunti estremisti islamici che voleva partire da Lecco per unirsi alla jihad, Abderrahim Moutaharrik (pugile, arrestato a Lecco) e sua moglie Bencharki Salma. Arrestata anche la sorella di Koraichi.
Destinatario della misura restrittiva per il reato di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale è anche Abderrahmane Khachia, marocchino di 23 anni, residente in provincia di Varese.
Il ragazzo è fratello di Oussama Khachia, operaio 30enne che sarebbe morto in Siria, dopo essersi unito al Califfato.
Khachia, che era cresciuto a Brunello, in provincia di Varese, fu espulso dall'Italia il 28 gennaio 2015 per alcuni post su Facebook a favore dell'Isis. In seguito fu allontanato anche dalla Svizzera e infine avrebbe raggiunto la Siria dove sarebbe morto.
Dalle zone di guerra siriano-irachene sarebbe arrivata "la richiesta di effettuare attentati sul territorio italiano, una indicazione non generica ma specifica che ci risulta da messaggi che abbiamo intercettato".
Lo ha spiegato il procuratore nella conferenza stampa. Moutaharrik "è uno sportivo di qualità, un pugile di kickboxing di alto livello in Italia e all'estero". Sarebbe stato lui, hanno spiegato gli inquirenti, a ricevere la richiesta di compiere attentati in Italia da parte di un connazionale che era residente a Bulciago e che più di un anno fa è andato con la moglie e i tre figli nelle zone di guerra.
"Voglio picchiare (inteso come colpire e far esplodere, ndr) Israele a Roma". Lo diceva, intercettato, lo scorso 6 febbraio, Abderrahim Moutaharrik, parlando con Abderrahmane Khachia, anche lui finito in carcere.
Nell'intercettazione, in particolare, si legge nell'ordinanza, Moutaharrik fa riferimento "a un suo disegno per compiere un attentato all'Ambasciata di Israele" chiarendo "di avere contattato un soggetto albanese per procurarsi le armi, non riuscendo nell'intento".
"Per questi nemici giuro, se riesco a mettere la mia famiglia in salvo, giuro sarò io il primo ad attaccarli (...) in questa Italia crociata, il primo ad attaccarla, giuro, giuro che l'attacco, nel Vaticano con la volontà di Dio".
È un audio inviato lo scorso 25 marzo da Moutaharrik a Mohamed Koraichi, arrestati entrambi nel blitz antiterrorismo. "L'unica richiesta che ti chiedo - dice Moutaharrik - è la famiglia, tu sai voglio almeno che i miei figli crescano un po' nel paese del califfato dell'Islam".