Tiziana si è uccisa perché la piazza virtuale è più crudele di quella reale
Era stata anche condannata a rimborsare spese legali per circa 20 mila euro. La vicenda apre diversi interrogativi su nuovi media e sanzioni penali
Tiziana Cantone ha commesso un solo grave errore: giocare con una telecamera durante i suoi rapporti sessuali e non cancellare le immagini ma lasciarle a disposizione di uno o più amici. La ragazza napoletana si è anche fidata e ha sottovalutato gli effetti potenzialmente devastanti della condivisionite acuta, il morbo per cui se non partecipi qualcosa ad almeno uno dei tuoi contatti, è come se quella cosa non l'avessi mai vissuta.
Così facendo Tiziana ha scoperto troppo tardi quanto la piazza virtuale sia totalmente differente da quella reale, dove comunque ti viene consentito di voltare pagina per metterti alle spalle serate sopra le righe.
Una volta era facile: quando le dicerie si diffondevano di bocca in bocca e di bar in bar, e la tua reputazione risultava compromessa, bastava tornare a casa, chiudere la porta, aspettare che passasse la burrasca, nei casi più gravi iniziare a frequentare persone diverse, trasferirsi, cambiare quartiere o addirittura città per riprendere una nuova vita.
Oggi non funziona così, la grande agorà digitale è molto più cattiva e persecutoria. Ti insegue ovunque, ti bracca mentre sei al lavoro o a passeggio con gli amici, in vacanza al mare o in montagna. Non hai scampo, se hai sbagliato una volta, le ferite si rimargineranno col tempo, ma le cicatrici te le porterai dietro per sempre, nascoste ma non troppo sotto qualche motore di ricerca.
Che fare allora? Certo, educare i ragazzi al corretto utilizzo del telefono, dei social network e dell'universo digitale, è meglio di niente. Ma non basta.
Ci vogliono nuove regole, leggi che si adattino a tempi che non sono più quelli delle pomiciate nei vicoli col rischio di finire sotto occhi indiscreti.
I suicidi dovuti al cyberbullismo sono in drammatico aumento. E tocca adulti come Tiziana e adolescenti come Aurora, la quattordicenne di Venaria che si è gettata dal settimo piano del suo palazzo.
Non si può restare impigliati nella rete, e dopo aver allargato il discorso al cinismo e alla cattiveria del branco, liquidare ogni cosa all'insegna del tutti colpevoli nessun colpevole.
Occorre necessariamente restringere il campo alle responsabilità dei singoli. Diffondere un video privato, passarlo a uno o più contatti del proprio telefonino, è un gesto che si può liquidare come goliardata? O va considerato un atto grave e come tale va punito, con una scala di risposte che possono andare dal daspo per il telefono fino alla confisca del computer?
E soprattutto: pubblicare in rete un video privato di un'altra persona, è una leggerezza alla quale reagire con una tirata d'orecchie, oppure un crimine da punire con la galera?