Toti sfida Berlusconi: "così cambiamo il centrodestra"
Il fondatore del nuovo movimento arancione vuole raccogliere l'eredità del Cavaliere. Una scommessa rischiosa e "social"
«Avrà tempo il centrodestra per andare al voto meglio…». Intercettato da Panorama al meeting di Comunione e liberazione a Rimini, Giovanni Toti commenta l’ipotesi di alleanza tra Partito democratico e movimento 5 Stelle. Accade prima che la crisi evolva verso una soluzione, ma nasconde una speranza evidente: nonostante spinga pubblicamente per il voto anticipato, al governatore ligure serve tempo per strutturare Cambiamo, il partito arancione travestito da associazione che ha fondato insieme a un manipolo di scissionisti da Forza Italia.
Per affermarsi sul piano nazionale, Toti ha ancora da assemblare la squadra, organizzare un tour, spiegare il suo progetto sui territori. Tuttavia il problema più grande del governatore non è né organizzativo né politico, bensì sentimentale.
Il consiglio, riservatissimo, gli arriva da più parti: affinché la sua avventura politica abbia serie speranze di successo, Toti dovrebbe smetterla di aggredire genericamente Forza Italia, le sue corti e i «cerchi magici», e più precisamente taluni colonnelli, tenenti e sergenti, per concentrarsi sul Capo di stato maggiore del piccolo esercito azzurro, ovvero Silvio Berlusconi. Soltanto Berlusconi, e nessun altro, ha infatti nel suo portafogli i voti sui quali il governatore punta per imporre la sua leadership su un bacino elettorale che i sondaggisti valutano tra il 15 e il 20 per cento del totale. Da chi è composto? Per i sondaggi che lo stesso Toti ha in mano, da resilienti di Forza Italia, astenuti di centro che non credono più in Silvio e il 4-5 per cento raccolto sui territori (Comuni e Regioni) dalle liste post-democristiane o post-forziste.
Insomma, per tentare davvero l’Opa sul «Grande centro», Toti dovrebbe decidersi ad attaccare frontalmente il suo antico mentore e scopritore politico. «Ma difficilmente lo farà, difficilmente dirà in pubblico e pure a Matteo Salvini “o me o Silvio”» raccontano con vincolo di riservatezza due deputati azzurri galleggianti, di quelli alla perenne ricerca di una casa politica (e della rielezione). «Ci perdoni» aggiungono i due «se galleggia Giovanni, perché non dovremmo farlo noi? D’altronde il suo è un problema che hanno in tanti: vogliono ancora troppo bene a Berlusconi. Pure Toti arriva solo fino a un certo punto della sfida. Poi, puntualmente comincia a parlare della riconoscenza che deve al presidente…».
Una riconoscenza che Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, proprio non ha. Soprattutto per questo, ma non solo per questo, è stato congelato forse per sempre il progetto di federazione tra Cambiamo e FdI. Meloni vuole decisamente superare Berlusconi e il berlusconismo, Toti vorrebbe assorbirlo con dolcezza. Il risultato di cotanto sentimentalismo è che la scissione da Forza Italia a Cambiamo, pur attraendo a tavolino una cinquantina tra senatori e deputati azzurri, si è fermata a poche unità, seppur di peso. Tra i totiani in parlamento spiccano Gaetano Quagliariello, Luigi Vitali, Massimo Vittorio Berruti. Ma anche Paolo Romani - ex fedelissimo di Berlusconi, al suo fianco fin dai tempi di Lombardia Tv - e Manuela Gagliardi, Alessandro Sorte, Stefano Benigni. Altri due noti parlamentari, Osvaldo Napoli e Laura Ravetto, per giorni hanno tergiversato, prima aderendo a Cambiamo, poi arretrando. Alla fine Napoli pare aver scelto di uscire (non ancora completamente) da Forza Italia, Ravetto di rimanervi ma non si sa per quanto tempo. Come recita il poeta: del domani non v’è certezza…
Per dirla chiara, il domani di molti parlamentari (non tutti) dipende dai rapporti con Salvini, che gestirà di fatto alleanze e candidature del centrodestra al prossimo giro elettorale. Toti ha un rapporto diretto e sincero con il leader della Lega, che lo preferisce a Berlusconi, se non altro per questioni anagrafiche. Ma Berlusconi, nella gestione della crisi di governo, si è rivelato utile, oltre che fedele, alle istanze salviniane. Quindi adesso il capo del Carroccio è molto attento a tenersi equidistante tra i due contendenti, il maestro Silvio e l’allievo Giovanni. Al momento delle elezioni si vedrà, anche perché in queste settimane Salvini è impegnato in ben altre faccende, tipo affrontare la crisi di governo. Faccende che incidono nell’immediato anche su Cambiamo, vittima di un maledetto bisogno di organizzarsi in maniera veloce. Anzi, velocissima.
Va però detto che per Toti a livello periferico le cose vanno decisamente meglio che a Roma. Il governatore ha già annunciato e pianificato un tour che partirà da Matera il 2 settembre e coprirà l’intero Stivale grazie all’impegno di molta ex classe dirigente locale di Forza Italia, stufa di aver portato per anni acqua al mulino elettorale di deputati e senatori scelti da Berlusconi e non espressione dei territori. Centinaia di donne e uomini entusiasti di Cambiamo anche perché, senza il tappo di Roma, sperano legittimamente di compiere il grande salto elettorale partendo allo stesso livello di chi ha già ottenuto soddisfazione. Lo stesso Toti, infatti, spiega che «chi ha aderito, così come chi aderirà ai circoli, lo farà senza ruolo, gradi né mostrine del passato, ma da semplice militante». Ovviamente, i Circoli (locali, provinciali e regionali) avranno dei portavoce, che però verranno scelti in maniera più o meno democratica, attraverso primarie o congressi, un metodo che è sempre mancato a Berlusconi.
Ecco, il metodo. In fondo, oltre a utilizzare strumenti di propaganda più contemporanei (a partire dai social) e a rinnovare il linguaggio, la differenza culturale e strategica tra Cambiamo e Forza Italia è minima. Entrambi i partiti, l’arancione e l’azzurro, si offrono sul mercato elettorale nella stessa accezione di centrodestra liberale. Per il governatore «l’Italia ha bisogno di più cantieri, più soldi nelle buste paga, più consumi, più esportazioni, più occupazione, più formazione professionale per i giovani, più ricerca e più merito. Meno burocrazia, meno leggi e regolamenti, meno codici e codicilli che bloccano appalti grandi e piccoli, meno nepotismo, meno tasse». Insomma, ascolti Toti e sembra di risentire Berlusconi.
A essere completamente diverso è, appunto, il metodo di reclutamento della classe dirigente. Toti considera superato il modello di FI mentre ritiene ancora esistente buona parte del popolo che la votava. Si tratta di «un blocco sociale di borghesia produttiva che Salvini fa fatica a rappresentare» spiega il filosofo ed editorialista Corrado Ocone. Un blocco, questo, anche elettorale, persone in carne e ossa che ormai Forza Italia stenta a conquistare ma convinte, per dirla ancora con Ocone, che «con una buona iniezione di temperato liberismo si possa contribuire a rendere più forte un Salvini a cui, al contrario di Berlusconi, riconoscono la leadership, conquistata sul campo, del centrodestra».
Dunque, il progetto politico di Toti è chiaro e semplice: sopperire con l’energia nuova (almeno lui spera) di Cambiamo al calo di consensi di Forza Italia. Anche perché, dice lui stesso, sarebbe dannoso se il centrodestra si presentasse «con il vecchio tridente d’attacco della Seconda Repubblica durato 25 anni».
Il governatore è forte di un discreto gradimento personale sul piano nazionale, un riconosciuto appeal televisivo e la buona prova esibita da presidente della Regione Liguria. I sondaggi, per ora, sono discordanti: danno il suo partito tra il 3 il 7 per cento del totale; insomma, c’è una bella differenza tra l’accredito minimo e quello massimo, e comunque il partito arancione rimane al momento ben lontano dal largo bacino potenziale del 15 per cento di voti. Resta infatti da sconfiggere la più grande debolezza di Toti: l’affetto verso Berlusconi. È la politica, bellezza: non prevede sconti per alcuno. A maggior ragione per gli allievi che puntano a superare i maestri.
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