La tragedia di Cutro e i suoi mille interrogativi
L'opinione dei legali che seguono i parenti delle vittime del naufragio dello scorso 26 febbraio
Luigi Li Gotti, autorevole penalista originario di Crotone, guida un pool di esperti che rappresentano i parenti delle vittime, insieme ai colleghi Francesco Verri e Vincenzo Cardone del Foro di Crotone e Mitja Gialuz ordinario di diritto processuale penale a Genova. La linea difensiva del collegio, pronto a depositare lunedì una corposa memoria difensiva, si poggia su un buco nero nelle comunicazioni di salvataggio che pare sia durato dalle 23.00 del 24 febbraio alle 4.00 del 25 e che, a loro dire, avrà contribuito a causare la tragedia: gli esperti sono convinti che se alle operazioni di approdo della carretta del mare stipata di oltre centro migrati avessero partecipato uomini esperti, in grado di far approdare quella vecchia barca in un luogo più sicuro, oggi non si parlerebbe di “tragedia di Cutro”.
Panorama.it ha incontrato l’avvocato Luigi Li Gotti, penalista di origini crotonesi, da cinquant’anni al centro di importanti casi giudiziari, sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Prodi, e il penalista crotonese Francesco Verri esperto in diritto penale umanitario.
Avvocato Li Gotti, partiamo dall’inizio.
«Occorre partire dalle ore 23.03 del 25 febbraio quando l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nota come Frontex, registra un avvistamento di un natante in avvicinamento lungo le coste ioniche calabresi: immediatamente viene allertato il nostro Ministero dell’Interno perché dalle rilevazioni effettuate tramite thermoscanner emerge la presenza di un numero consistente di persone a bordo. E’ dal porto di Crotone che un’unità navale della Guardia di Finanza prende il largo: non intercetta il barcone ed è costretta a far rientro in rada a causa delle avverse condizioni meteo-marine».
Eccolo il “buco nero” nei soccorsi che lei denuncia…
«E’ da quel momento, sino alle successive 04.00 del 26 febbraio, che su tutta la vicenda cala il classico buco nero: ancora oggi non riusciamo a spiegarci perché il silenzio sulle comunicazioni unito alle proibitive condizioni meteorologiche siano riusciti a causare una tragedia. Sarebbe bastato che l’approdo fosse stato spostato per superare la secca situata alla foce del fiume Tacina e si sarebbero salvate 100 vite umane».
Siete al lavoro per spiegare queste incongruenze.
«Forse anche omissioni, mi perdoni. Stiamo acquisendo dati e documenti che faremo analizzare ai nostri consulenti, in modo da affiancare la Procura di Crotone e fare luce sull’accaduto. Dal nostro punto di vista sono in discussione le responsabilità nella catena dei soccorsi partendo proprio da chi aveva il compito di intervento. La nostra domanda, sin da subito, è stata una sola: «perché è stata allertata immediatamente la Guardia Costiera che da sempre nel nostro Paese salva le vite in balia delle onde?».
C’è un documento che lei considera conducente, una sorta di “pistola fumante”.
«Non c’è una pistola fumante, ma poco prima della mezzanotte del 24 febbraio era stato lanciato un “mayday”, ovvero quel segnale radiofonico internazionale che un’imbarcazione o un velivolo emettono per indicare una situazione di emergenza. Quel segnale è stato attivo sino alle 04.57 della mattina del 25 febbraio, mentre l’avvistamento operato da Frontex si riferisce alla serata dello stesso 25».
Quindi il “mayday” era stato lanciato ben prima che Frontex intervenisse!
«Dobbiamo accertare se a lanciare quella richiesta d’aiuto fosse stato lo stesso natante in balia delle onde o in avaria al motore. Perché se a lanciare la richiesta d’aiuto fosse stato un altro natante, è evidente che ad oggi non se ne hanno tracce».
Insomma, ancora oggi non si sa chi abbia lanciato la richiesta di aiuto?
«E’ l’oggetto della nostra indagine. Abbiamo un S.A.R. (richiesta di Search and rescue”, ricerca e soccorso) lanciato, senza che fosse seguito dall’accertamento del natante, perché non abbiamo notizia di uno sbarco sullo steso tratto di costa. Ecco perché parlo di un misterioso “buco nero”. I nostri accertamenti sono diretti a verificare se a lanciare la richiesta di soccorso fosse stato lo stesso barcone poi collassato su sé stesso. Abbiamo solo il dato di partenza, una richiesta di soccorso lanciata a tutte le navi in transito nel mare Ionio. Inoltre il buco nero è relativo all’avvistamento da parte di Frontex comunicato alle 23.03 del 25 febbraio e il soccorso delle 04.30 del mattino del 26, a naufragio avvenuto. Perché nulla per circa 6 ore?».
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Avvocato Verri, lei è anche uomo di mare.
«Dirigo il centro velico di Crotone, e conosco bene la situazione meteomarina dell’area. La boa di Capo Colonna, ovvero il punto di rilievo ondametrico di Crotone, ubicata al largo di Capo Colonna -il punto più orientale della Calabria- in un tratto di mare con profondità nominale di 80 metri, è inserita nella rete ufficiale di rilevamento, e la notte tra il 24 e il 25 gennaio, segnava onde di 2 metri e mezzo».
C’era un obbligo di soccorso in capo alle autorità marittime?
«Mi spiego. L’intero viaggio di questi disperati rappresenta una situazione di pericolo, da quando queste barche lasciano le coste di provenienza. Perché è notorio che si tratti di natanti fatiscenti, occupate oltre ogni limite di capienza, che affrontano un mare per il quale non sono assolutamente equipaggiate, per di più condotte da equipaggi -è un eufemismo…- del tutto impreparati ad affrontare il mare. E’ proprio da questa situazione di fatto che nasce l’obbligo di soccorso».
Da giorni sentiamo parlare di “operazione di polizia” e attività di “ricerca e soccorso”.
«Per legge l’una non esclude l’altra. E’ scritto nero su bianco nel Decreto del Ministro dell’Interno del 2003: l’articolo 6 prevede che “nelle acque territoriali e interne italiane le unità navali delle Forze di polizia svolgono attività di sorveglianza e di controllo ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti. Le unità navali della Marina Militare e delle Capitanerie di Porto concorrono a tale attività attraverso la tempestiva comunicazione dell’avvistamento dei natanti in arrivo o mediante tracciamento e riporto dei natanti stessi, in attesa dell’intervento delle Forze di polizia”».
Quella notte le condizioni meteomarine hanno fatto sentire il proprio peso…
«La norma se ne occupa: infatti, “quando in relazione agli elementi meteomarini ed alla situazione del mezzo navale sussistano gravi condizioni ai fini della salvaguardia della vita umana in mare, le unità di Stato presenti, informata la Direzione centrale e sotto il coordinamento dell’organizzazione di soccorso in mare provvedono alla pronta adozione degli interventi di soccorso curando nel contempo i riscontri di polizia giudiziaria”».
Poi ci sono le norme comunitarie…
«Per il Regolamento UE del 2014, in mare la situazione è di pericolo quando si nota qualcosa che “‘può far pensare alla probabilità del pericolo”».
Partiamo da Frontex: che ha dichiarato di aver segnalato un natante. Siamo in ipotesi di “Search and rescue”?
«Frontex avvista l’imbarcazione e lancia l’allarme. D’altra parte, l’operazione “Themis” in cui era impegnato l’aereo di Frontex, testualmente ha lo scopo di migliorare il “law enforcement”, cioè il rafforzamento dell’attività di Polizia, ma “continuando a considerare la ricerca e il soccorso come componente cruciale”».
Il thermoscanner aveva rilevato a bordo la presenza di persone…
«Che a bordo della barca naufragata ci fossero “migranti” era apparso evidente da subito (non solo in base ai dati trasmessi da Frontex) anche perché gli sbarchi in questi anni sul tratto di costa Crotonese sono stati decine, con migliaia di persone. Non è vero che si tratti di una rotta inedita, come ho sentito dire: al contrario, anche perché i processi contro i presunti scafisti sono moltissimi, mentre non mi risultano processi per contrabbando, traffico di armi o narcotraffico via mare».
Conclusione?
«Una barca che naviga verso Crotone o Cutro di notte, con il mare grosso senza comunicare con nessuna autorità, trasporta rifugiati, senza alcun dubbio. Rifugiati in pericolo per definizione, come dicono leggi e precedenti giudiziari».
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Luigi Li Gotti, nativo di Mesoraca (Kr), classe 1947, dopo essersi laureato in legge a Bari, si trasferisce a Roma nei primi anni Settanta, dopo aver avviato l’attività di penalista a Crotone. Parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ha rappresentato i familiari del maresciallo Oreste Leonardi e dell’appuntato Antonio Ricci nel processo Aldo Moro, la famiglia del commissario Luigi Calabresi, Francesco Gratteri imputato nel processo per le vicende accadute nella Scuola Diaz a Genova, partecipando anche ai processi per le stragi di Capaci, di via D’Amelio e degli Uffizi, e al recente Aemilia, sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel nord-est. Formatosi politicamente nella destra sociale, nel 1998 abbandona Alleanza Nazionale approdando a Italia dei Valori nel 2001: dal maggio del 2006 sino alla fine del secondo governo Prodi è stato sottosegretario -non deputato- alla Giustizia e poi senatore dal 2008 al 2013.
Francesco Verri, crotonese, classe 1971, è avvocato penalista del Foro di Crotone. Nel corso della sua attività per un verso ha approfondito le problematiche relative al diritto penale economico e, per altro, si è dedicato al tema della diffamazione per il tramite dei mezzi di comunicazione di massa curando la difesa di varie testate cartacee e radiotelevisive. Con il collega Vincenzo Cardone ha pubblicato Diffamazione a mezzo stampa e risarcimento del danno (Giuffrè Editore, Milano, 2003, 2007, 2013) diretta da Paolo Cendon. Ha anche diretto il Centro Velico di Crotone