Trattativa Stato-mafia: condanna per il maresciallo Masi
È il carabiniere di scorta di uno dei pubblici ministeri che guidano il processo. Ecco la sua storia fino al verdetto della Cassazione
Saverio Masi, il carabiniere di scorta di uno dei pubblici ministeri che guidano il processo palermitano sulla presunta trattativa tra Stato-mafia, e testimone dell'Accusa (è il numero 54 della lista della procura di Palermo) nella serata del 24 aprile è stato condannato dalla Cassazione.
Dopo una lunga riunione di camera di consiglio, il presidente della Quinta sezione penale del Palazzaccio di Roma, Gennaro Marasca, ha rigettato in toto il ricorso presentato dall'avvocato dell’ex capo di scorta del dottor Di Matteo, notificando anche il pagamento delle spese processuali.
La multa falsificata
La vicenda risale al 2008 quando Masi lavorava al nucleo investigativo del comando provinciale dell’Arma a Palermo. Con la sua auto privata il militare racconta di eseguire di iniziativa propria un pedinamento. Prende una multa. Per evitare tale contravvenzione scrive che la macchina privata era usata per motivi di servizio. Al comando dei Carabinieri viene chiesta contezza della vicenda e si apre un fascicolo nei confronti del maresciallo dalla procura palermitana. Per i giudici di primo grado, il militare avrebbe falsificato la firma del suo superiore, con le ipotesi di reato di falso materiale, falso ideologico e truffa. Nel 2013 viene condannato dalla corte d’Appello di Palermo a sei mesi di reclusione per falso materiale e truffa.
L’avvocato del militare aveva annunciato il ricorso in Cassazione che si è celebrato il 24 aprile, chiedendo l’annullamento senza rinvio per entrambi i reati, perché il fatto non sussiste e avrebbe insistito sulla figura chiave del suo assistito, in qualità di testimone della procura di Palermo nel processo Stato-mafia. Strategia difensiva che sembrerebbe aver suscitato qualche brusìo da parte dei giudici della Cassazione, vista la non pertinenza del caso con il ricorso pervenuto. Il procuratore generale ha invece chiesto l’assoluzione per la truffa e la condanna di 5 mesi e 10 giorni per falso materiale.
Il 24 aprile il verdetto: i giudici hanno rigettato il ricorso del legale, dell’ex capo scorta del pm Di Matteo, con il pagamento delle spese processuali. Condannato.
I guai giudiziari del maresciallo Masi
Ora per il militare, si prospetterebbero provvedimenti di Stato tra cui la degradazione, fino all’espulsione dall’Arma. Ma c'è di più.
Il 19 gennaio scorso il maresciallo Saverio Masi, il suo ex collega Salvatore Fiducia e il loro avvocato Giorgio Carta sono stati rinviati a giudizio per diffamazione. Processo che inizierà il 16 maggio del 2016 davanti al tribunale di Roma. A giudizio anche una serie di giornalisti della tv, della carta stampata, tra loro i direttori de "Il Fatto Quotidiano" Antonio Padellaro e di "Servizio Pubblico" Michele Santoro.
Nel 2013, durante una conferenza stampa indetta dal legale di Masi, nel suo studio romano, avevano accusato gli ex vertici del nucleo operativo di Palermo di avere di fatto “ostacolato” le indagini che avrebbero potuto portare all'arresto del boss Matteo Messina Denaro e di Bernardo Provenzano. Prontamente i superiori dell’ex capo scorta di Di Matteo, Giammarco Sottili, Michele Miulli, Fabio Ottaviani e Stefano Sancricca, li avevano denunciati alla procura di Roma per diffamazione.
Sulla base di tale esposto, era nato uno scontro tra le due Procure di Roma e di Palermo. I pubblici ministeri del capoluogo siciliano avevano eccepito l’incompetenza a indagare da parte dei colleghi capitolini. Ma la querelle finita davanti alla Cassazione, ha dato ragione alla Procura guidata da Giuseppe Pignatone.
Inoltre mentre il fascicolo aperto dai pm palermitani non è ancora concluso dopo querele e contro-denunce tra Masi e gli alti ufficiali dell’Arma, per la mancata cattura di Provenzano, risulta invece che la procura di Bari abbia chiesto già il rinvio a giudizio per diffamazione nei confronti proprio di Masi, accogliendo così favorevolmente l’esposto degli alti ufficiali dell’Arma.
Malgrado ciò, il militare continua a girare l’Italia partecipando a convegni di legalità e parlando dei processi in corso.